Attività diverse e attività di interesse generale: quali sono le differenze? E quali i limiti da rispettare per gli ETS, Enti del Terzo Settore. La riforma del terzo settore con il d. lgs. 117/2017 prevede una divisione delle iniziative che è possibile mettere in campo.
Quali sono le differenze tra attività diverse e attività di interesse generale degli ETS? E quali sono i limiti da rispettare? Una panoramica sul tema.
La riforma del terzo settore entra nel dettaglio su molteplici aspetti caratterizzanti la struttura portante del mondo no profit, andando a definire puntualmente anche le attività esercitabili dagli enti che ne vogliono far parte, e a dare una quantificazione numerica del rapporto che le attività primarie hanno nei confronti di quelle considerabili invece ad esse strumentali.
Gli enti del terzo settore secondo la riforma introdotta dal d.lgs 117/2017 possono esercitare due tipologie di attività:
- quella principale sancita dall’art. 5 del CTS e denominata “di interesse generale” ;
- ed una seconda espressa all’interno dell’art. 6 e descritta come “diversa”.
L’art. 6 del d.lgs 117/2017 espone difatti che “Gli enti del Terzo settore possono esercitare attività diverse da quelle di cui all’articolo 5, a condizione che l’atto costitutivo o lo statuto lo consentano e siano secondarie e strumentali rispetto alle attività di interesse generale, secondo criteri e limiti definiti con decreto del DML di concerto con il MEF, sentita la Cabina di Regia”.
Attività di interesse generale e attività diverse: differenze e riferimenti normativi
Il codice del terzo settore ha previsto un elenco dettagliato delle attività considerabili di “interesse generale” che gli enti possono svolgere in via principale.
L’elenco è contenuto all’interno dell’art. 5 del d. lgs 117/2017 e conta attualmente 26 tipologie di attività, potenzialmente aggiornabili in futuro.
L’ente del terzo settore, che deve aggiornare il proprio statuto per poter entrare a far parte del RUNTS, o di nuova costituzione, deve quindi configurare i propri obiettivi all’interno di una delle attività di interesse generale proposte dall’art. 5 del cts.
L’attività principale svolta da un ente del terzo settore deve quindi assolutamente ricadere tra una di quelle contenute all’interno dell’articolo citato e per poterla esercitare l’associazione deve inserirla all’interno del proprio statuto.
L’ente può svolgere però anche altre attività oltre quella definibile come principale, a patto che le inserisca all’interno dello statuto, come specificato dall’ art. 6 del codice del terzo settore.
L’associazione può difatti esercitare attività diverse da quelle di interesse generale purché in ottica strumentale a quella esercitata in via principale.
La natura “strumentale” delle attività “diverse” esercitate dall’ente non si declina in base all’oggetto ma solo in base alla funzione di sostegno da essa esercitata alle finalità istituzionali.
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Attività diverse degli ETS: criteri e limiti
Al fine di poter definire numericamente l’entità dell’attività diversa esercitabile al fine di non permettere che essa travalicasse quella principale, si è atteso un decreto emanato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il MEF, il cui testo dopo esser stato vagliato in Cabina di regia è stato pubblicato.
Qualsiasi attività che sia considerabile strumentale all’esercizio di quella esercitata in via principale dall’ente, definibile come istituzionale, di interesse generale, può essere considerata ad essa secondaria e ricompresa in quanto dettato dall’art. 6 del d.lgs 117/2017.
Il legislatore per porre dei limiti a questa previsione ha però stabilito dei criteri numerici grazie ai quali è possibile determinare la linea di confine tra attività diverse e attività di interesse generale, approfondendo così anche la percentuale esercitabile delle attività strumentali alle principali.
Il decreto ha previsto due criteri alternativi, necessari ad individuare la correttezza strutturale dell’attività esercitata dall’ente. Le attività diverse possono essere ritenute secondarie se ricorre almeno una delle due condizioni di seguito elencate, entrambe relative ai ricavi dell’attività determinati in ciascun esercizio:
- non devono superare il 30% delle entrate complessive dell’Ets;
- non devono superare il 66% dei costi complessivi dell’Ets.
“Ai fini di questo calcolo per ricavi si intendono le entrate da corrispettivo per beni o servizi ceduti o scambiati dall’Ets. Si considerano entrate complessive, inoltre, quelle derivanti da quote e contributi associativi, da erogazioni liberali e gratuite, da lasciti testamentari, i contributi pubblici senza vincolo di corrispettivo, le attività di raccolta fondi e le somme ricevute tramite il 5 per mille”.
L’organo di amministrazione dovrà decidere quale dei due criteri utilizzare al fine di determinare il corretto rispetto della soglia.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Le attività diverse degli ETS: limiti e criteri