Rimborso IVA e cessazione attività: si applica il termine di prescrizione ordinario decennale, e non quello biennale, attuabile in via sussidiaria e residuale, solo in mancanza di disposizione specifiche. A stabilirlo è la Corte di Cassazione nell'Ordinanza numero 17495 del 21 agosto 2020.
Con l’Ordinanza numero 17495 del 21 agosto 2020, la Corte di cassazione ha affermato che, in tema di rimborso dell’eccedenza IVA risultante dalla cessazione dell’attività, si applica il termine di prescrizione ordinario decennale, e non quello biennale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, attuabile in via sussidiaria e residuale, solo in mancanza di disposizione specifiche.
Inoltre il diritto al rimborso spetta anche in caso di omessa presentazione del quadro VR qualora il contribuente cessato abbia esposto il credito IVA a rimborso nella dichiarazione annuale (rigo RX4), che configura già formale esercizio del diritto.
I fatti – Il caso è stato originato dall’impugnazione di un diniego di rimborso del credito IVA che la titolare di una ditta individuale, cessata il 31 dicembre 2005, aveva indicato nel quadro RX della dichiarazione Mod. Unico 2001.
Il ricorso proposto dalla contribuente è stato accolto dalla CTP mentre la CTR ha riformato la sentenza di primo grado e accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, sostenendo che la contribuente aveva compilato il quadro RX4 tra quelli da portare in compensazione, sicché l’istanza di rimborso doveva ritenersi tardiva perché avanzata oltre il termine biennale di cui all’art. 21 d.lgs. n. 546 del 1992.
Avverso tale decisione la contribuente ha proposto ricorso per cassazione denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e 38 bis del d.P.R. n. 633 del 1972 e 21 d.lgs. n. 546 del 1992, censurando la sentenza d’appello che aveva escluso il rimborso del credito d’imposta vantato con riferimento all’anno 2005 per avere erroneamente ritenuto tardiva l’istanza anche nell’ipotesi di cessazione dell’attività.
La Corte di cassazione ha ritenuto fondato il motivo di doglianza, cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha confermato l’originario ricorso della contribuente.
Nella decisione in commento il Collegio di legittimità ha confermato il consolidato orientamento per cui la domanda di rimborso del credito d’imposta maturato dal contribuente deve considerarsi già presentata con la compilazione del corrispondente quadro della dichiarazione annuale (“RX4”), che configura formale esercizio del diritto, con l’importante precisazione che, ove si tratti - come nel caso di specie – “di richiesta di rimborso relativa all’eccedenza d’imposta risultata alla cessazione dell’attività, la fattispecie è regolata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, e la richiesta è soggetta al termine di prescrizione ordinario decennale, non a quello biennale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, applicabile in via sussidiaria e residuale, solo in mancanza di disposizione specifiche”.
Quanto al termine prescrizionale, infatti, la Corte di cassazione ha più volte affermato che il credito Iva esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale “in quanto l’istanza di rimborso non integra il fatto costitutivo del diritto, ma solo il presupposto di esigibilità del credito per dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso stesso”.
La ratio di tale principio soggiace sulla considerazione che, con la cessazione, l’attività non prosegue e non sarebbe possibile portare l’eccedenza in detrazione, e tanto meno in compensazione, l’anno successivo.
Oltretutto non può disconoscersi il rimborso del credito IVA solo perché il contribuente ha avanzato richiesta di compensazione in sede di dichiarazione annuale e non di rimborso, “in quanto, non essendo sorto un debito IVA della contribuente (che ha cessato l’attività), non può dirsi verificato l’effetto estintivo di cui all’art. 1242 cod. civ”.
Deve pertanto considerarsi superato l’orientamento secondo cui, in caso di cessazione dell’attività, solo una domanda di rimborso conforme al modello ministeriale corrisponderebbe allo schema tipico delineato dall’art. 30 del decreto IVA, con la conseguenza che la domanda difforme resterebbe assoggettata alla decadenza biennale prevista, in via residuale, dal citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21.
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