Per l’applicazione del regime di IVA differita, cash accounting, è necessario che le relative fatture rechino espressamente l'annotazione che si tratta di simili operazioni. Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione
L’articolo 7 del DL n. 185/2008 consente ai contribuenti che effettuino cessioni di beni o prestazioni di servizi nei confronti di cessionari o committenti che agiscano nell’esercizio di impresa, arte o professione, di avvalersi del regime di IVA differita di cui all’art. 6, comma 5, del DPR n. 633/1972.
Questo a condizione che le relative fatture rechino espressamente l’annotazione che si tratta di operazioni con imposta a esigibilità differita e che rechino l’indicazione della relativa norma.
Questo il principio contenuto nell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 4112 del 2024.
No al cash accounting se manca l’annotazione in fattura, un caso pratico
La controversia trae origine dal ricorso proposto da una società avverso un avviso di accertamento per maggiore IVA, con cui l’Agenzia delle Entrate accertava che l’imposta era stata contabilizzata e versata al momento del pagamento delle prestazioni, con imposta differita per cassa (cash accounting), in violazione dell’articolo 7 del DL n. 185/2008 per avere omesso di indicare nelle relative fatture l’annotazione relativa alla esigibilità differita di cui alla norma dell’art. 7 del decreto citato.
La CTR, in parziale riforma della sentenza della CTP, ha accolto l’appello dell’Ufficio finanziario deducendo che la società contribuente non avrebbe potuto usufruire della esigibilità differita dell’imposta senza la specifica annotazione in fattura.
Da qui il ricorso in Cassazione, con cui la società ha lamentato violazione dell’articolo 7 del DL n. 185/2008 e dell’art. 6, comma 5, del DPR n. 633/1972, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che non potesse invocarsi la disciplina della esigibilità differita in mancanza di annotazione nelle fatture della disciplina dettata dalla suddetta normativa.
A supporto della propria tesi la parte ricorrente ha sottolineato che l’art. 7 del DL n. 185/2008 è stato sostituito dall’art. 32-bis, comma 5, del DL n. 83/2012, secondo il quale il regime dell’IVA differita (per cassa) rinvia per l’applicazione a un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, che fa salva, ai fini dell’applicazione del suddetto regime, la valutazione del comportamento concludente del contribuente, ove ciò risulti dalla dichiarazione IVA annuale.
Nel caso di specie tale comportamento era desumibile dall’esame dei registri IVA e, in particolare, dalle dichiarazioni periodiche, dalle quali emergeva l’opzione per tale regime.
Nel dichiarare infondato il motivo di ricorso la Corte di legittimità ha ripercorso le vicende normative riguardanti il regime del cash accounting.
Regime di IVA differita per cassa, il quadro normativo
In particolare, l’art. 6, comma 5, del DPR n. 633/1972 prevede, a regime, nell’ambito delle deroghe concesse ai singoli Stati membri dall’articolo 66, par. 1, lett. b) della Direttiva 2006/112/CE, il differimento dell’esigibilità dell’IVA (in deroga al momento della effettuazione della prestazione) al momento del pagamento della prestazione, ove la prestazione rientri in uno dei casi espressamente previsti da tale disposizione (es. cessioni di farmaci da parte di farmacisti, servizi erogati ad alcuni enti pubblici).
Come contrappeso a questa facoltà attribuita al contribuente (a sua discrezione), il legislatore ha richiesto che per le operazioni per cui vi sia stata l’opzione per l’IVA differita per cassa “la fattura reca l’annotazione che si tratta di operazione con imposta ad esigibilità differita, con l’indicazione della relativa norma”, pena l’applicazione del regime ordinario.
La suddetta disposizione è stata abrogata (con decorrenza dal 1° dicembre 2012) dall’entrata in vigore dell’art. 32-bis della legge n. 132/2012 di conversione del DL n. 83/2012, di attuazione dell’art. 167-bis della Direttiva 112/2006/CE, introdotto dalla Direttiva 2010/45/UE.
Il citato articolo 32-bis prevede che per le cessioni intermedie, operate da soggetti passivi con fatturato non superiore a 2 milioni di euro, l’imposta divenga esigibile (così differendo anche l’esercizio della detrazione) al momento del pagamento del corrispettivo, ove il contribuente faccia opzione per questo “regime”.
Le modalità attuative del regime sono indicate nel provvedimento del Direttore AdE n. 165764/2012 che dispone che l’opzione per la liquidazione dell’IVA per cassa si desume anche dal comportamento concludente del contribuente.
Sotto quest’ultimo profilo, la Circolare n. 44/E del 2012 afferma che l’annotazione sulle fatture non costituisce adempimento funzionale al differimento del diritto alla detrazione in capo al soggetto che riceve la fattura, a differenza di quanto avveniva per il DL n. 185/2008, ma risponde all’esigenza della regolare tenuta della contabilità per il cedente o prestatore che assoggetti all’IVA per cassa solo alcune operazioni e non inficia l’applicazione del regime IVA per cassa, ove il comportamento concludente del contribuente sia altrimenti riscontrabile.
Fatte queste dovute premesse, la Corte di Cassazione ha chiarito che tra l’art. 7 del DL n. 185/2008 e l’art. 32-bis del DL n. 83/2012 non vi sia continuità normativa, a differenza di quanto dedotto dalla società ricorrente, in primo luogo perché le due norme hanno diversa copertura di Diritto dell’Unione.
A ciò si aggiunga che l’articolo 7 consente al contribuente di avvalersi del regime di IVA per cassa solo per determinate operazioni, mentre l’art. 32-bis istituisce un vero e proprio “regime opzionale”, operante per tutte le operazioni sottostanti, il cui riscontro può essere effettuato anche sulla base di fatti concludenti del contribuente.
Con riferimento alla disciplina del richiamato art. 7, invece, l’annotazione del regime di IVA per cassa sulle singole operazioni opzionate dal contribuente diviene requisito normativo per poter usufruire della specifica disciplina agevolativa, eccezionalmente accordata dal legislatore interno al contribuente (e non interpretabile estensivamente) per le singole operazioni opzionate, risultando diversamente impossibile stabilire (e controllare) a posteriori quali operazioni hanno fruito del regime ordinario e quali no.
Avendo fatto la CTR buon uso del seguente principio, la Corte di Cassazione ha deciso per il rigetto proposto dalla società ricorrente.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: No al cash accounting se manca l’annotazione in fattura