Il fine dell’autotutela è quello di realizzare l’interesse pubblico e non quello di attribuire al contribuente un ulteriore mezzo di difesa, oltre a quelli già previsti dall’ordinamento, così da determinare una doppia tutela giurisdizionale ovvero di scardinare il sistema delle decadenze
Non costituisce atto tacito impugnabile il silenzio serbato dall’Amministrazione finanziaria su istanza di autotutela.
La giurisprudenza di merito e di legittimità è intervenuta più volte sul tema, come avvenuto da ultimo con il principio dettato dall’ordinanza della Corte di Cassazione numero 5176/2023.
Istanza di autotutela e silenzio dell’amministrazione finanziaria: la posizione della Corte di Cassazione
Senza qui entrare nel merito della complessa questione affrontata dai massimi giudici – che comunque investe il silenzio/rifiuto ad una istanza di autotutela - ci preme evidenziare le regole ed i principi dettati dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n.5176 del 17 febbraio 2023, che richiama precedenti interventi, e possono sicuramente essere da guida sulla questione:
“ogni pubblica amministrazione opera secondo il canone di legalità di cui al primo comma dell’articolo 97 della Costituzione, ivi concretandosi il principio di sovranità popolare che, attraverso la produzione legislativa affidata alle due Camere (art. 70 Cost.), fissa i parametri dell’azione amministrativa.
Le situazioni giuridiche soggettive, gli interessi legittimi pretensivi od oppositivi vengono bilanciati e fissati in atti provvedimentali - capaci di incidere autoritativamente ed unilateralmente sui diritti personali e patrimoniali - avverso i quali è sempre ammesso ricorso giurisdizionale per violazione di legge (art. 113 Cost.), risolvendosi l’azione in una sentenza che definisce con la forza del giudicato i rapporti, trasformando gli interessi legittimi (qualsiasi cosa essi siano) in diritti soggettivi perfetti. Certo, permane ancora la possibilità della P.A. di intervenire sul rapporto, in ragione del generale potere a provvedere (art. 21 e ss. l. n. 241/1990), tuttavia giustificato da sopravvenuti eccezionali elementi che debbono essere posti in bilanciamento con la forza del giudicato e risultare prevalenti, tanto da incidere sulla sentenza che tradizionalmente è “legge del caso particolare” ”
Pertanto:
- non vi è dunque un dovere di provvedere in autotutela, bensì, all’opposto, una motivazione rafforzata sul carattere sopravvenuto e rilevantissimo degli elementi che inducono a superare il giudicato, tanto che è nullo (art. 21 septies l. n. 241/1990 e art. 30, quarto comma, d.lgs. n. 104/2010) l’atto adottato in violazione od elusione del giudicato. Ed un tanto è posto a garanzia dei consociati, affinché non si produca una serie di provvedimenti con rincorsa defatigante al loro annullamento, ma è anche funzionale a prevenire l’abuso del diritto, al solo scopo di rimettere nel circuito giurisdizionale profili ormai definiti, minando la stabilità dei rapporti e l’affidamento sui diritti quesiti (cfr. Cass. S.U. 3698/2009, V, n. 15220/2012). Né tali eccezionali e rilevantissimi motivi possono ridursi all’indicazione di errori nella quantificazione o calcolo di imposta, riducendosi a profili di interesse della sola parte contribuente (cfr. Cass. V, n. 1965/2018);
- non costituisce “atto tacito impugnabile il silenzio serbato dall’Amministrazione finanziaria su istanza di autotutela di cui all’art. 2 quater, primo comma, d.l. n. 564/1994, invocato nei motivi in scrutinio, poiché non si tratta di inadempimento amministrativo, posto che l’azione si è già esplicata e la revisione non è atto dovuto (cfr. Corte cost. n. 181/2017)”;
- in tema di contenzioso tributario, “poiché il rigetto è atto definitivo in sede amministrativa, autonomamente impugnabile, sono inammissibili l’istanza di revisione di detto rigetto e l’impugnazione del relativo diniego, costituendo l’istanza una mera sollecitazione del potere di autotutela, il cui esercizio è discrezionale e funzionale alla soddisfazione di esigenze di rilevante interesse generale (cfr. Cass. V, n. 18604/2019)”.
Istanza di autotutela e silenzio dell’Agenzia delle Entrate: brevi note tecniche ed operative
Il termine autotutela sta ad indicare
la potestà che ha la Pubblica Amministrazione di intervenire, sia d’Ufficio che su istanza di parte, al fine di modificare od annullare provvedimenti precedentemente emessi, consentendo quindi alla stessa Amministrazione di autodifendersi dai propri errori al fine di assolvere correttamente i propri compiti istituzionali
Il legislatore attraverso l’articolo 2-quater, della Legge numero 656/1994, di conversione del DL 564/1994, e il D.M. 11.02.97, n. 37, ha individuato gli organi dell’amministrazione finanziaria competenti per l’esercizio del potere di autotutela e la disciplina della relativa procedura.
I presupposti congiunti e necessari affinchè si possa verificare l’autotutela sono:
- illegittimità dell’atto o dell’imposizione (determinato da errore di persona, evidente errore logico o di calcolo, errore sul presupposto dell’imposta, doppia imposizione, mancata considerazione di avvenuti pagamenti d’imposta, mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza, sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regime agevolati, precedentemente negati, errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’amministrazione);
- interesse pubblico (L’art. 3 del regolamento stabilisce che, nell’esercizio di tali poteri, deve essere data priorità “alle fattispecie di rilevante interesse generale e, fra queste ultime, a quelle per le quali sia in atto o vi sia il rischio di un vasto contenzioso“. L’esistenza di uno specifico e concreto interesse pubblico all’eliminazione dell’atto deve essere prevalente rispetto all’interesse pubblico alla stabilità delle norme giuridiche).
L’annullamento in autotutela è comunque espressione di un potere caratterizzato da discrezionalità amministrativa, e cioè della possibilità per l’Amministrazione di scegliere se, quando e in che modo esercitarlo.
Esiste, infatti, un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l’esercizio del potere di autotutela rappresenterebbe non già un obbligo, bensì una pura facoltà discrezionale dell’Amministrazione interessata, come tale inidonea ad attribuire un corrispondente diritto all’annullamento dell’atto al soggetto leso da quest’ultimo.
Il sindacato del giudice, nell’ipotesi di impugnazione degli atti di rifiuto dell’esercizio del potere di autotutela da parte dell’A.F., deve riguardare comunque, ancor prima dell’esistenza dell’obbligazione tributaria, il corretto esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione.
Le Sezioni unite della Cassazione, con la sentenza n. 3698 del 16 febbraio 2009 (ud. del 13 gennaio 2009), hanno affermato che il ricorso contro il diniego di annullamento di un avviso di accertamento rimasto inoppugnato non è legittimo, in quanto, diversamente opinando:
“si darebbe in ammissibilmente ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo”
La stessa Corte di Cassazione, con la sentenza n.2870/2009, sempre a SS.UU., dopo aver ribadito che è devoluta alla cognizione del giudice tributario la controversia relativa all’impugnazione del provvedimento di rigetto - espresso o tacito - dell’istanza di autotutela promossa dal contribuente per l’annullamento di un atto impositivo dell’A.F. in dipendenza del carattere generale assunto della giurisdizione speciale laddove sia comunque dedotto nel giudizio un rapporto giuridico d’imposta, ha riconfermato che
“è inammissibile il ricorso avverso il provvedimento di rigetto, espresso o tacito, dell’istanza di autotutela promossa dal contribuente volta ad ottenere l’annullamento di un atto impositivo divenuto definitivo (nella specie, per l’intervenuto giudicato formatosi sulla decisione di reiezione del ricorso davanti alla commissione tributaria provinciale), in conseguenza sia della discrezionalità nell’esercizio del potere di autotutela quanto dell’inammissibilità di un nuovo sindacato giurisdizionale sull’atto di accertamento munito del carattere di definitività”
Successivamente la sentenza n. 9669/2009, anche questa a SS.UU., ha concesso la possibilità di sindacare il rifiuto di esercizio dell’autotutela in presenza di atti divenuti definitivi, purché tale riesame riguardi soltanto la legittimità del rifiuto e non anche la fondatezza della pretesa tributaria.
L’impugnazione del diniego, secondo la Corte Suprema, non può sostituire l’impugnazione del merito che si attua attraverso l’impugnazione dell’atto impositivo.
Pertanto, le diverse sentenze della Corte di Cassazione richiamate confermano che il fine dell’autotutela è quello di realizzare l’interesse pubblico e non quello di attribuire al contribuente un ulteriore mezzo di difesa, oltre a quelli già previsti dall’ordinamento, così da determinare una doppia tutela giurisdizionale ovvero di scardinare il sistema delle decadenze.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Non impugnabile il diniego di autotutela