Il mercante d’arte a titolo continuativo è imprenditore

Gianfranco Antico - Dichiarazione dei redditi

Con l'ordinanza n. 1603/2024, la Corte di Cassazione afferma che la cessione in modo continuativo di opere d'arte costituisce attività d'impresa. Un focus sulla differenza tra la nozione civilistica e quella tributaristica di imprenditore commerciale

Il mercante d'arte a titolo continuativo è imprenditore

La nozione civilistica e quella tributaristica di “imprenditore commerciale” divergono per un aspetto essenziale, ossia quello della necessità dell’“organizzazione”, essendo tale requisito indispensabile per il diritto civile ma non indispensabile per quello tributario, ai fini del quale è sufficiente la professionalità abituale dell’attività economica, anche senza l’esclusività della stessa.

E per questi motivi, nel caso di specie, la cessione in modo continuativo di opere d’arte costituisce attività d’impresa.

Così si esprime la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 1603/2024.

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Chi vende con continuità opere d’arte va considerato come un imprenditore, con tutte ciò che ne consegue in tema di obblighi civilistici e fiscali

L’Agenzia delle entrate aveva notificato ad un contribuente due avvisi di accertamento con i quali, relativamente agli anni di imposta 2004 e 2005, aveva richiesto il pagamento dell’Irpef, Iva e Irap non versate, in quanto lo stesso aveva svolto attività di commercio di opere d’arte.

Avverso i suddetti atti impositivi il contribuente aveva proposto separati ricorsi che, previa riunione, erano stati parzialmente accolti dalla Commissione tributaria provinciale di Venezia.

Avverso la pronuncia del giudice di primo grado sia il contribuente che l’Agenzia delle entrate avevano proposto appello, che la Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto parzialmente. In particolare ha ritenuto, per quel che ci interessa in questa sede, che il contribuente aveva svolto attività di impresa di commercio di opere d’arte, pur riconoscendo dei costi pari a all’80 per cento dell’ammontare dei ricavi, trovando altresì applicazione, ai fini Iva, il regime del margine.

L’Agenzia delle entrate ha quindi proposto ricorso principale per la cassazione della sentenza affidato a due motivi di censura, cui ha resistito il contribuente depositando controricorso contenente ricorso incidentale affidato a quattro motivi di censura.

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Per gli Ermellini i motivi addotti dall’Amministrazione finanziaria sono fondati.

Preso atto che la pretesa dell’ufficio era fondata, oltre che su quanto riscontrato in sede di verifica presso una società d’arte, cioè sul contenuto delle dichiarazioni sottoscritte dal cedente, anche sulle movimentazioni bancarie relative al contribuente, sicché le stesse costituivano un elemento presuntivo di accertamento ulteriore rispetto a quello ricavabile dalle dichiarazioni, per la Corte Suprema, rispetto a tali elementi fattuali, il giudice del gravame si è limitato alla considerazione che i ricavi imponibili dovevano essere determinati con riferimento ai dati rilevati presso le imprese rivenditrici delle opere d’arte cedute dal contribuente:

“che sono state anche controllate con le movimentazioni bancarie, in quanto costituiscono degli elementi certi di valutazione dell’attività espletata”.

In sostanza:

“il giudice del gravame ha preso in considerazione, ai fini della determinazione del maggiore reddito imponibile e del maggiore volume di affari, unicamente gli importi risultanti dalle dichiarazioni rinvenute presso le imprese rivenditrici, senza tenere conto della circostanza che le movimentazioni bancarie costituivano elementi di prova presuntiva ulteriore ed aggiuntiva rispetto a quella già inerente al contenuto delle dichiarazioni”

Così facendo, il giudice di appello ha sostanzialmente svalutato la rilevanza di prova presuntiva che le movimentazioni bancarie possono avere, ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 51, comma 2, d.P.R. n. 633/1972, essendosi limitato a ritenere che avessero unicamente funzione rafforzativa del valore di prova presuntiva delle dichiarazioni.

In ordine alla qualifica fiscale del contribuente, osserva la Corte che:

“la nozione civilistica e quella tributaristica di “imprenditore commerciale” divergono per un aspetto essenziale, ossia quello della necessità dell’“organizzazione”, essendo tale requisito indispensabile per il diritto civile ma non indispensabile per quello tributario, ai fini del quale è sufficiente la professionalità abituale dell’attività economica, anche senza l’esclusività della stessa (v. sul piano normativo l’art. 55, già art. 51, TUIR, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4; nella giurisprudenza di questa Corte, Cass. civ., 7 novembre 2012, n. 19237; Cass. civ., 5 dicembre 2014, n. 25777; Cass. civ., 6 aprile 2017, n. 8982; Cass. civ., n. 36502/2022)”

Inoltre:

“è stato in più occasioni ribadito che l’art. 55 del T.U.I.R. intende come tale l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate dall’art. 2195, cod. civ., anche se non organizzate in forma d’impresa, e prescinde quindi dal requisito organizzativo che costituisce, invece, elemento qualificante e imprescindibile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti civilistici, esigendo soltanto che l’attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità abituale ancorché non esclusiva (Cass. civ., 16 dicembre 2022, n. 36992; Cass. civ., 20 dicembre 2006, n. 27211)”

E ciò va precisato anche con riferimento all’Iva, atteso che il d.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 1, così come l’analogo art. 55, comma 1, del T.U.I.R., intende come tale “l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva”, delle attività indicate dall’art. 2195, cod. civ., anche se non organizzate in forma di impresa, e prescinde quindi dal requisito organizzativo, che costituisce invece elemento qualificante e imprescindibile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti civilistici, esigendo soltanto che l’attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità abituale, anche se non esclusiva; in sostanza, l’espressione “esercizio per professione abituale” dell’attività va intesa, più semplicemente, come esercizio dell’attività in via abituale, cioè non meramente occasionale.

Occorre, cioè, che l’attività sia svolta con caratteri di stabilità e regolarità e che si protragga per un apprezzabile periodo di tempo, pur se non necessariamente con rigorosa continuità (cfr. Cass. 6853/2016); sotto questo profilo, nello specifico ambito delle attività inerenti la vendita di opere d’arte, si è affermata in sede di legittimità la seguente differenziazione:

  • è da qualificarsi come mercante di opere d’arte colui che professionalmente e abitualmente ne esercita il commercio anche in maniera non organizzata imprenditorialmente, col fine ultimo di trarre un profitto dall’incremento del valore delle medesime opere;
  • è speculatore occasionale chi acquista occasionalmente opere d’arte per rivenderle allo scopo di conseguire un utile;
  • è mero collezionista, infine, chi acquista le opere per scopi culturali, con la finalità di incrementare la propria collezione e possedere l’opera, senza l’intento di rivenderla generando una plusvalenza, avendo interesse non tanto per il valore economico della res quanto per quello estetico-culturale, per il piacere che il possedere le opere genera, per l’interesse all’arte, per conoscere gli artisti, per vedere le mostre.

Il discrimine su cui fondare la diversa qualificazione è stato individuato nel requisito dell’abitualità, di cui all’art. 55 TUIR sopra richiamato in tema di reddito d’impresa, sicché si è rinvenuta l’esistenza di un’attività commerciale in ragione di elementi significativi idonei a dimostrare la sistematicità e la professionalità dell’attività d’impresa:

“numero delle transazioni effettuate, importi elevati, quantitativo di soggetti con cui sono stati intrattenuti rapporti, varietà della tipologia di beni alienati, non assumendo rilievo, ai fini impositivi, il fatto che il profitto conseguito sia stato capitalizzato in beni e non in denaro, in quanto porta sempre intrinsecamente un arricchimento del patrimonio personale del soggetto (Cass. 31 marzo 2008, n. 8196).”

Il mercante d’arte: quando l’attività costituisce reddito d’impresa secondo la giurisprudenza

Rispetto al quadro normativo sopra delineato, la Guardia di Finanza con la circolare n.1/2018 ha offerto a propri verificatori una serie di indicazioni per individuare, concretamente, se una attività sia produttiva di reddito d’impresa:

  • dal punto di vista oggettivo, fondamentale appare il requisito della professionalità abituale, consistente nella continuativa e normale destinazione del tempo, delle energie e delle capacità produttive di un certo soggetto a una attività oggettivamente commerciale ai sensi dell’articolo 2195 c.c. che, per tale via, viene a rappresentare una ordinaria occupazione del soggetto stesso. “Non assume quindi rilevanza l’organizzazione in forma d’impresa, vale a dire le modalità specifiche con cui l’attività viene svolta; il difetto del requisito della professionalità abituale, determina l’occasionalità dell’attività commerciale e, quindi, l’inquadramento del reddito prodotto nella categoria dei “redditi diversi” di cui all’art. 67 TUIR”. Così che configura esercizio di impresa commerciale anche “lo svolgimento di un singolo affare che presenta notevole rilevanza economica e comporta una molteplicità di operazioni per la sua realizzazione”;
  • l’organizzazione in forma d’impresa assume rilevanza con riferimento alla previsione del comma 2, lett. a), dell’articolo 55, del T.U. n. 917/1986. “Rientrano in questa previsione le attività professionali che, proprio perché diverse da quelle indicate nella citata previsione civilistica, non possono essere definite commerciali in senso stretto, ma la cui organizzazione imprenditoriale ne determina la natura commerciale; può essere il caso, ad esempio, delle associazioni fra professionisti nelle situazioni in cui l’organizzazione della struttura domina l’opera intellettuale del professionista”.

Sul versante dei redditi occasionali, la lettera i), del comma 1, dell’articolo 67 del T.U. n. 917/1986, comprende, tra i redditi diversi, quelli derivanti da attività commerciali, non esercitate abitualmente. Pertanto, ogni attività non svolta in maniera consueta e continua, senza il carattere della professionalità, deve considerarsi occasionale.

Nell’ambito dell’attività commerciale il carattere dell’abitualità sussiste anche quando le relative prestazioni, ancorché non esclusive, siano poste in essere più volte nel corso dell’anno, con il carattere della stagionalità.

Sul punto, la posizione dell’Amministrazione finanziaria è da considerare granitica. Infatti, già la circolare n. 20/E/1973 e poi confermato con la circolare n. 45/E/1973, ha ritenuto che per:

“impresa costruttrice si deve intendere l’impresa che normalmente svolge attività di produzione di immobili per la successiva vendita, anche se affida la materiale esecuzione dei lavori, in tutto o in parte, ad altre imprese.”

A distanza di parecchi anni, con la risoluzione n. 204/E/2002, è stato chiarito che la qualifica di imprenditore deve essere attribuita anche a chi utilizzi e coordini soltanto un proprio capitale per fini produttivi, non essendo necessario che la funzione organizzativa abbia ad oggetto anche le altrui prestazioni lavorative, autonome o subordinate, o che i mezzi di cui ci si avvalga costituiscano un apparato strumentale fisicamente percepibile, in quanto quest’ultimo può ridursi al solo impiego di mezzi finanziari.

Inoltre:

“è del tutto irrilevante che l’esercizio dell’impresa si esaurisca in un singolo affare, poiché anche la realizzazione di un unico affare può costituire impresa quando implichi il compimento di una serie coordinata di atti economici.”

Considerazioni ribadite con la risoluzione n. 273/E/2002. Così come la costruzione e la successiva locazione di box auto costituisce esercizio di attività commerciale qualora implichi la predisposizione di un’apposita organizzazione di mezzi e risorse ovvero l’impiego e il coordinamento del capitale per fini produttivi nell’ambito di un’operazione di rilevante entità economica (risoluzione n.286/E/2007).

Pur se in alcuni casi non è semplice distinguere una attività occasionale da una attività abituale, che non dipende dall’importo dell’opera, e che può però essere configurabile anche in presenza di un solo affare, la posizione dell’Amministrazione finanziaria (civile e militare), così come della stessa Cassazione, appare chiara.

Pertanto, l’attività è esercitata con organizzazione in forma d’impresa quando, per lo svolgimento della stessa, vengono predisposti mezzi e risorse funzionali all’ottenimento di un risultato economico.

La commercialità dell’attività svolta sussiste, quindi, qualora detta attività sia caratterizzata dai connotati tipici della professionalità, sistematicità e abitualità, ancorché non esclusiva o occasionale.

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