L'accertamento con adesione, oltre alla convenienza fiscale, in alcuni casi produce anche vantaggi dal punto di vista penale per il contribuente
Il vecchio articolo 13, del D.Lgs.n.74/2000 prevedeva la cd. attenuante, sancendo che le pene previste per i delitti di cui al D. Lgs. n. 218/97, sono diminuite fino ad 1/3 – senza applicazione delle pene accessorie indicate nell’articolo 12, qualora prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di 1° grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi sono stati estinti mediante il pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie.
Dette disposizioni - abrogate - non sono applicabili ai fatti compiuti successivamente al 22 ottobre 2015, data di entrata in vigore del D. Lgs. numero 158 del 2015, che ha innovato profondamente le regole.
L’articolo 12, del D.Lgs.n.158/2015, ha inserito l’art.13-bis rubricato circostanze del reato.
Fuori dai casi di non punibilità di cui all’art. 13, le pene per i delitti di cui al D.Lgs. n. 74/2000 sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’art. 12 se prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie.
Per i delitti previsti nel D. Lgs. numero 74/2000, l’applicazione della pena patteggiata ai sensi dell’art.444 del C.p.p. può essere chiesta dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, estinzione del debito prima dell’apertura del dibattimento, nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’articolo 13, comma 1 e 2 (cioè, le cause di non punibilità).
Rileviamo, per completezza, che l’ultimo comma dell’articolo 13-bis, ha introdotto una aggravante speciale per l’intermediario correo:
“le pene sono aumentate della metà se il reato è commesso dal concorrente nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale”
Il principio del doppio binario nell’accertamento tributario
L’autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale risiede nel fatto che nel primo vigono limitazioni della prova e sono utilizzabili anche presunzioni fiscalmente idonee ma non idonee nel processo penale.
Ne deriva che non sussiste nessuna efficacia automatica del giudicato penale nel processo tributario, restando salva però la possibilità per il giudice tributario, nell’esercizio dei propri autonomi poteri, di verificarne la rilevanza nel suo ambito specifico.
Lo stesso fatto, tuttavia, può essere letto in maniera opposta da due giudici diversi, chiamati a decidere, con il rischio concreto di sentenze contraddittorie, al di là di differenti valutazioni determinate attraverso strumenti deflativi.
La determinazione dell’imposta evasa
Nell’ipotesi in cui, nel contesto delle attività ispettive siano acquisite risultanze tali da configurare una violazione tributaria penalmente rilevante - e, dunque, non già semplici indizi di reato - i verificatori della G.d.F. devono provvedere senza ritardo ad informare il Pubblico ministero competente, a norma dell’articolo 347 c.p.p.; analogo obbligo è previsto dall’articolo 331 c.p.p. per i pubblici ufficiali che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o servizio, abbiano notizia di un reato perseguibile d’ufficio.
Importante, in questo contesto, è la nuova “definizione” di imposta evasa, contenuta nella lettera f) del comma 1 dell’articolo 1 del D. Lgs. 74/2000:
“differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero nell’intera imposta dovuta in caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine”
Da notare che la disposizione di legge - con un linguaggio che è stato definito “faticoso” e che mal si concilia con quella chiarezza che dovrebbe sempre contraddistinguere la norma penale tributaria - definisce cosa non costituisce imposta evasa, così da individuare il “reale” risparmio.
È previsto, in particolare, che non si considera imposta evasa:
“quella teorica e non effettivamente dovuta collegata a una rettifica in diminuzione di perdite dell’esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili”
Inoltre, il comma 13 dell’art. 10-bis, della Legge n. 212/2000 sancisce che
“le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie”
Le contestazioni fondate sull’abuso del diritto, riferibili, ex art. 10-bis, comma 1, primo periodo, della Legge n. 212/2000, ad operazioni prive di sostanza economica che realizzano vantaggi fiscali indebiti, non integrano, dunque, ipotesi di violazioni penali tributarie.
Tuttavia, l’obbligo di inoltro della notitia criminis sussiste nella circostanza in cui i criteri di valutazione concretamente applicati non siano stati indicati in alcuno dei richiamati documenti, sempre che le relative rettifiche eccedano la percentuale del 10% e risultino superate le prescritte soglie di punibilità.
Resta fermo che, laddove in sede ispettiva vengano sindacate talune operazioni dal punto di vista estimativo, le quali, tuttavia, appaiano contestualmente essere connotate anche da profili simulatori, mendaci o, in generale, fraudolenti, tali operazioni possono, comunque, integrare le più gravi fattispecie dichiarative di cui agli artt. 2 o 3 del D.Lgs. n. 74/2000.
Gli effetti dell’atto di adesione sui reati penali
Al di là della possibilità, normativamente prevista, di beneficiare delle attenuanti, una volta raggiunto l’accordo con il Fisco, occorre verificare se tale concordato, possa modificare automaticamente l’iniziale determinazione dell’imposta evasa, coincidente con quella presa a base per la formulazione dell’imputazione in sede penale, così magari da scendere sotto soglia.
In via di principio, il fatto che la pretesa tributaria possa essere rivalutata in sede di adesione non vincola il giudice penale e quindi non può escludersi che il medesimo possa eventualmente pervenire - sulla base di elementi di fatto in ipotesi non considerati dal giudice tributario - ad un diverso convincimento e ritenere lo stesso superata la soglia di punibilità, anche se l’ammontare dell’imposta evasa è superiore a quella concordata.
Il principio che ne deriva è che il giudice penale non è vincolato all’accertamento del giudice tributario, così che la sopravvenienza di un accordo amministrativo, che va a modificare sostanzialmente l’iniziale determinazione dell’imposta evasa, coincidente con quella presa a riferimento per la formulazione dell’imputazione in sede penale, non comporta l’automatico venir meno dell’ipotesi delittuosa originaria.
La pretesa tributaria può essere rivalutata e ridimensionata in sede di accordi concordati tra le parti del rapporto o addirittura annullata dal giudice tributario, senza che ciò però vincoli il giudice penale e quindi non può escludersi che il medesimo possa eventualmente pervenire - sulla base di elementi di fatto in ipotesi non considerati dal giudice tributario - ad un diverso convincimento e ritenere lo stesso superata la soglia di punibilità, se l’ammontare dell’imposta evasa è superiore a quella concordata.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: I vantaggi penali dell’accertamento con adesione