Nel caso di utilizzo indebito del plafond, in materia di IVA all'importazione, si può accedere al ravvedimento operoso ma pagando anche le sanzioni e gli interessi. La violazione non è di carattere meramente formale
In materia di IVA all’importazione, in caso di indebito utilizzo del “plafond” è ammissibile il ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 472 del 1997, ma devono essere corrisposte anche le sanzioni, perché la violazione non ha carattere meramente formale dal momento che incide sul versamento del tributo, nonché gli interessi, poiché l’IVA all’importazione rientra tra i tributi che vanno corrisposti in occasione delle operazioni doganali e non in un momento successivo.
È questo il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione nell’Ordinanza n. 25318/2023.
Utilizzo indebito del plafond IVA: la Corte di Cassazione sul ravvedimento operoso
La vicenda trae spunto dalla notifica dell’avviso di rettifica dell’accertamento per l’acquisto di beni di provenienza extra comunitaria ai sensi dell’art. 8 comma 2 del DPR n. 633/72.
L’Agenzia delle entrate aveva contestato alla contribuente di aver proceduto senza addebito di imposta sulla base di dichiarazioni di intento ritenute false, non avendo effettuato alcuna esportazione o cessione infracomunitaria e, quindi, in assenza di plafond IVA, come documentato dall’apposito processo verbale di constatazione.
La società deduceva di operare sul mercato cinese, di aver presentato istanza per essere riconosciuta come esportatore abituale e, comunque, di aver regolarizzato la propria posizione IVA attraverso il ravvedimento operoso, con conseguente assenza di danno alcuno per l’erario.
Avverso il summenzionato atto la società proponeva ricorso, respinto dalla CTP ma poi accolto dalla Commissione Tributaria Regionale.
L’Amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado, per aver la CTR mancato di riconoscere l’applicabilità della sanzione al tributo evaso.
I giudici della Suprema Corte hanno ritenuto fondato il motivo di ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
In via preliminare, la società ricorrente rivesta formalmente lo status di esportatore abituale ai sensi dell’art. 8 co. 1 lett. c) del D.P.R. 633/1972. La veste di esportatore abituale si acquisisce quando l’ammontare dei corrispettivi relativi alle operazioni non imponibili con l’estero, effettuate sia con Paesi UE che Extra UE, registrati nell’anno precedente o nei 12 mesi precedenti, è superiore al 10 per cento del volume d’affari.
Tali soggetti possono acquistare beni e servizi senza dover corrispondere l’Iva ai propri fornitori, nell’ambito di un limite quantitativo annuale (il c.d. “plafond“). che si sono costituiti.
Al fine di usufruire del beneficio degli acquisti senza applicazione dell’IVA l’esportatore abituale è tenuto a rilasciare al proprio fornitore la cd. lettera d’intento, anteriormente all’effettuazione dell’operazione, previo invio telematico all’Agenzia delle entrate. Il fornitore, a sua volta, all’atto della ricezione della dichiarazione d’intento è tenuto a verificare, sul sito dell’Agenzia delle Entrate, il corretto invio della dichiarazione d’intento.
Tra le operazioni non imponibili che contribuiscono a generare il plafond sono comprese le cessioni all’esportazione, consistenti nel trasporto o nella spedizione dei beni fuori dal territorio UE.
Come chiarito dalla stessa Amministrazione finanziaria, affinché una cessione possa essere qualificata come esportazione non imponibile ai fini IVA “è indispensabile non solo la materiale uscita dei beni dal territorio comunitario, ma anche il verificarsi di un trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento oltre naturalmente al pagamento di un corrispettivo” (così Ris. 94/E/2013).
La decisione della Corte di Cassazione sul ravvedimento operoso per l’utilizzo indebito del plafond IVA
Come visto, dallo “status” di esportatore abituale, di cui al citato art 8 deriva il riconoscimento della sospensione di imposta nei limiti del “plafond” disponibile così maturato, e siffatto “status” è acquisito dall’impresa che esporta o effettua vendite intracomunitarie di beni e servizi per almeno il dieci per cento, avuto riguardo alle operazioni poste in essere nell’anno precedente.
Nella presente controversia, tale fatto è pacificamente escluso in capo alla contribuente cui, conseguentemente, per il periodo di imposta rilevante non è stato riconosciuto lo “status” di esportatore abituale.
A parere della Corte di cassazione, con riferimento all’assenza di tale “status”, il “plafond” costituisce solo un limite quantitativo monetario, pari all’ammontare complessivo dei corrispettivi delle esportazioni, utilizzabile nell’anno successivo per effettuare acquisti in regime di sospensione d’imposta.
Il plafond, quindi, non incide sulla sussistenza del credito impositivo ma soltanto sull’esecutività dello stesso, tenuto conto del maggior credito nei confronti dell’Erario strutturalmente collegato all’attività di esportatore abituale: ne deriva che, in mancanza di detto “status”, detto limite viene meno.
Di conseguenza, ai fini della decisione del caso concreto, non è di per sé dirimente l’assenza di “plafond”, ben potendo astrattamente operare il meccanismo del ravvedimento operoso anche in tal caso.
Quanto all’invocato principio di neutralità fiscale dell’IVA, la Corte reitera che esso esige che la detrazione a monte sia accordata solo se gli obblighi sostanziali sono stati soddisfatti e ciò equivale al mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, con la conseguenza che, ove il contribuente voglia validamente beneficiare del ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del DLgs. n. 472 del 1997, deve necessariamente corrispondere, oltre alla sanzione indicata dalla predetta disposizione, anche l’imposta.
La CTR nella sentenza impugnata non compie alcun accertamento riguardo all’intervenuto pagamento della sanzione di cui all’art. 13 e agli interessi, profilo decisivo di incongruenza ai fini della sussunzione della fattispecie nel legittimo esercizio del ravvedimento operoso.
In riferimento all’aspetto sanzionatorio va infatti rammentato che, in tema di sanzioni tributarie, la violazione ha carattere meramente formale - e, pertanto, non è punibile ai sensi dell’art. 10 della L. n. 212 del 2000 - ove non comporti un pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo ed, al contempo, non incida sulla determinazione della base imponibile e sul versamento del tributo.
In conclusione, la Corte afferma il seguente principio di diritto: “in materia di IVA all’importazione, in caso di indebito utilizzo del “plafond” è ammissibile il ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del DLgs. n. 472 del 1997, ma devono essere corrisposte anche le sanzioni, perché la violazione non ha carattere meramente formale dal momento che incide sul versamento del tributo, e gli interessi, poiché l’IVA all’importazione rientra tra i tributi che vanno corrisposti in occasione delle operazioni doganali e non in un momento successivo”.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Ravvedibile l’irregolare utilizzo del plafond