L'attuale meccanismo del trattamento integrativo toglie la possibilità del bonus fiscale agli incapienti, cioé ai contribuenti che hanno un reddito al di sotto di un certo limite che non consente loro di beneficiare di detrazioni
Il trattamento integrativo in busta paga è “scisso” tra credito fiscale e detrazione sui redditi da lavoro e ciò complica le regole in materia di rinuncia e restituzione.
È l’effetto della nuova disciplina introdotta dalla manovra di bilancio di un paio di anni fa, che mantiene il diritto a beneficiare del trattamento integrativo in busta paga solo per i lavoratori dipendenti con redditi non superiori a 15.000 euro.
Superata tale soglia, il trattamento integrativo si trasforma in detrazione IRPEF, ad eccezione dei contribuenti fino a 28.000 euro e per i quali l’imposta è già abbattuta da altri sgravi fiscali.
In tal caso, per evitare che in sede di conguaglio venga meno il beneficio riconosciuto dal datore di lavoro, si torna alla disciplina del bonus IRPEF, calcolato in base alla differenza tra imposta lorda e specifiche detrazioni in corso di fruizione relative a spese sostenute fino al 31 dicembre 2021.
Nessun salvaguardia invece per chi supera i 28.000 euro di reddito: dal 1° gennaio 2022 non è più prevista l’ulteriore detrazione per i contribuenti fino a 40.000 euro di reddito.
Soffermiamoci quindi caso per caso sulle regole in materia di rinuncia e restituzione del trattamento integrativo in busta paga, e della disciplina prevista per i lavoratori per i quali il bonus IRPEF è assorbito dalle ulteriori detrazioni fiscali in busta paga.
Trattamento integrativo 2023, rinuncia e restituzione a due vie per il nuovo bonus IRPEF. Il caso dei contribuenti incapienti
La rinuncia al credito IRPEF in busta paga è da sempre una delle vie per superare il rischio di dover restituire le somme erogate in sede di conguaglio fiscale o con la dichiarazione dei redditi.
L’ex bonus Renzi, poi trasformato in trattamento integrativo di importo fino a 100 euro, è infatti erogato sulla base del reddito presunto, e solo a chiusura d’anno è possibile determinare l’effettiva spettanza delle somme riconosciute.
Se si supera il limite di reddito, o se si ricade nella no tax area, il diritto a beneficiarne viene meno, e scatta l’obbligo di restituzione del credito.
Una regola che continua ad applicarsi anche nel 2023, ma con alcune particolarità.
I lavoratori con redditi fino a 15.000 euro mantengono il diritto a beneficiare del trattamento integrativo in busta paga, di importo fisso e pari a 100 euro mensili.
Come evidenziato dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 4 del 18 febbraio 2022, il trattamento integrativo IRPEF è riconosciuto automaticamente in busta paga dal datore di lavoro, verificata la capienza dell’imposta rispetto alle detrazioni sui redditi da lavoro dipendente e l’importo del reddito previsionale.
Il lavoratore può in ogni caso comunicare al proprio datore di lavoro la rinuncia al bonus IRPEF erogato in busta paga.
Conviene rinunciare all’attribuzione dei 100 euro mensili quando ad esempio si è titolari di altri redditi, diversi rispetto a quelli erogati dal datore di lavoro, o se si presume di percepire un importo inferiore a 8.174 euro, soglia della no tax area che comporta quindi una situazione di incapienza.
La rinuncia al bonus IRPEF fa quindi venir meno il rischio di dover restituire alla fine dell’anno l’importo riconosciuto. Se a chiusura del periodo d’imposta dovessero risultare rispettati i requisiti per beneficiarne, il trattamento integrativo di 1.200 euro complessivi può essere richiesto con la dichiarazione dei redditi.
Trattamento integrativo 2023: quando il bonus IRPEF spetta per i redditi fino a 28.000 euro
Non è del tutto perso il trattamento integrativo per i contribuenti con redditi che superano i 15.000 euro.
La Legge prevede infatti che il bonus IRPEF sia comunque riconosciuto in caso di redditi fino a 28.000 euro se la somma di alcune detrazioni supera l’imposta lorda.
In sostanza, se la fruizione di specifici sgravi IRPEF per spese comporta una situazione di incapienza, il trattamento integrativo spetta per un importo pari alla differenza tra detrazioni e imposta, e fino ad un massimo di 1.200 euro annui.
La clausola di salvaguardia, prevista per evitare di penalizzare i contribuenti beneficiari del bonus di 100 euro fino al 2021, scatta in caso di fruizione dei seguenti sgravi IRPEF:
- per carichi di famiglia,
- per reddito da lavoro dipendente e assimilati,
- per interessi passivi su prestiti o mutui contratti entro il 2021,
- per le rate relative alle spese sostenute fino al 31 dicembre 2021 riferite a spese sanitarie, interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica degli edifici, nonché a detrazioni in materia edilizia.
Cosa succede in tal caso?
Verificata l’incapienza dell’imposta lorda, il trattamento integrativo è riconosciuto per un importo pari alla differenza tra imposta lorda e detrazioni.
L’imposta “negativa” viene quindi trasformata in credito IRPEF.
Da trattamento integrativo a detrazione sui redditi da lavoro dipendente: la rinuncia è complessiva
Per i lavoratori dipendenti che non rientrano nelle due casistiche di cui sopra, e che quindi hanno un reddito superiore a 15.000 euro e non beneficiano della salvaguardia, il trattamento integrativo è stato abolito dallo scorso 1° gennaio 2022.
Il bonus IRPEF continua in ogni caso ad esistere in una diversa forma, ed è stato inglobato nelle nuove e più corpose detrazioni fiscali sui redditi da lavoro dipendente, che possono arrivare fino ad un massimo di 3.100 euro di importo.
Per i lavoratori con redditi fino a 28.000 euro, la detrazione base di 1.910 euro si somma all’ulteriore quota variabile, di importo calibrato in base al reddito percepito e pari ad un massimo di 1.190 euro.
Se da un lato viene garantito il diritto ad una riduzione del cuneo fiscale, seppur sotto una diversa forma, dall’altro però viene di fatto stravolto il meccanismo alla base del suo riconoscimento rispetto alla disciplina del credito fiscale in busta paga.
Una delle novità da evidenziare è che per chi supera i 15.000 euro di reddito, e fino al limite massimo dei 28.000 euro, viene meno la possibilità di rinunciare al bonus IRPEF inglobato nelle detrazioni fiscali.
Non si può quindi richiedere di non applicare l’ulteriore quota di sgravio progressiva e calcolata in base al reddito percepito, ma sarà possibile esclusivamente rinunciare all’applicazione di tutte le detrazioni fiscali in busta paga riconosciute sui redditi da lavoro dipendente e assimilati, ai sensi dell’articolo 13 del TUIR.
È questo uno degli effetti collaterali della riforma IRPEF prevista dalla Legge di Bilancio 2022, ma non solo.
Il passaggio da credito fiscale a detrazione sui redditi da lavoro rischia di rivelarsi particolarmente sconveniente per i contribuenti che sostengono numerose spese da portare in detrazione in sede di dichiarazione dei redditi.
Ad eccezione dei “salvaguardati” che sostengono le spese precedentemente elencate, con il nuovo sistema è alto il rischio di incapienza ai fini delle detrazioni per oneri, quali ad esempio le spese scolastiche, universitarie o quelle sostenute per l’affitto.
Il nuovo sistema è quindi un vero e proprio boomerang, i cui effetti potranno essere quantificati solo chiusura della presente stagione dichiarativa.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Nessun trattamento integrativo in busta paga per gli incapienti