La tassazione delle plusvalenze di natura finanziaria: regole fiscali, esempi e consigli pratici
Conoscere le regole fiscali relative alla tassazione del capital gain è fondamentale per capire se conviene o meno effettuare specifici investimenti.
Con il termine capital gain si intendono le plusvalenze realizzate a seguito della vendita di un asset finanziario e, in sostanza, si tratta del guadagno realizzato in caso di prezzo di vendita superiore a quello di acquisto.
In tal caso sono previste specifiche regole di tassazione e le somme generate sono incluse tra i redditi diversi, categoria per la quale la legge non prevede una definizione esplicita ma si limita ad attribuire ad essa la natura di categoria residuale.
È nello specifico il comma 1 dell’art. 67 del TUIR a definire “diversi” i redditi che non costituiscono redditi di capitale e che non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente.
In linea generale i redditi diversi, compresi quelli di natura finanziaria, sono tassati secondo il “principio di cassa” e, pertanto, devono essere dichiarati nel periodo d’imposta in cui sono effettivamente percepiti, salvo l’ipotesi di redditi diversi di natura finanziaria derivanti da titoli per i quali è stata esercitata l’opzione per il cd. regime del risparmio gestito di cui all’articolo 6 del D. Lgs. n. 461/1997.
Come si vedrà meglio di seguito, infatti, i redditi non sono tassati secondo il principio di cassa ma in base al risultato della gestione maturato nel periodo d’imposta.
La norma prevede un numero chiuso di fattispecie, tra loro eterogenee, che costituiscono redditi diversi, tra cui rientrano:
- le plusvalenze, realizzate al di fuori dell’attività d’impresa, derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni, titoli o diritti che attribuiscono il diritto di acquistare partecipazioni (cd. “capital gain”)
- nonché, dal 2023, le plusvalenze derivanti dalla detenzione e dalla cessione di cripto-attività.
Le principali categorie di capital gain
La prima categoria di plusvalenze prevista dalla norma è quella derivante dalla cessione di partecipazioni, qualificate e non qualificate, realizzate da persone fisiche non imprenditori.
Ai sensi dell’art. 67, comma 1, lettera c), del TUIR costituisce cessione di partecipazione qualificata la cessione a titolo oneroso di partecipazioni, diritti o titoli che rappresentino, complessivamente:
- una percentuale di diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiore al 2 o al 20 per cento;
- o una partecipazione al capitale od al patrimonio superiore al 5 o al 25 per cento, a seconda che si tratti di titoli negoziati in mercati regolamentati o di altre partecipazioni.
Essendo il criterio della partecipazione al capitale o al patrimonio e quello dei diritti di voto fra loro alternativi, affinché una cessione di partecipazione possa essere considerata qualificata è sufficiente che sia integrato anche uno soltanto di tali due criteri.
Oltre alla cessione di partecipazioni che non superano le suddette percentuali di diritti di voto e di partecipazione al capitale o al patrimonio, si considerano cessioni di partecipazioni non qualificate ai sensi dell’art. 67, comma 1, lettera c-bis) le cessioni di azioni di risparmio non convertibili e di quote di partecipazione in enti non commerciali residenti, indipendentemente dalla percentuale di partecipazione al capitale o al patrimonio che le stesse rappresentano.
Costituiscono redditi diversi ai sensi dell’art. 67, comma 1, lettera c-ter), le plusvalenze realizzate mediante la cessione:
- a titolo oneroso o rimborso, di titoli o certificati di massa, diversi da quelli di natura partecipativa, con esclusione dei titoli rappresentativi di merci;
- a termine o prelievo da depositi e conti correnti di valute estere. In tale ipotesi la tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di valute rivenienti da depositi e conti correnti si ha solo nel caso in cui la giacenza in valuta nei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente sia superiore a 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta in cui la plusvalenza è stata realizzata;
- a titolo oneroso di metalli preziosi allo stato grezzo o monetato;
- a titolo oneroso o rimborso di quote di partecipazione ad organismi di investimento collettivo.
Le ultime novità fiscali relative alle cripto attività
Con le modifiche introdotte dal comma 126, lettera a) della Legge 197/2022 (Legge di Bilancio 2023), è stata inserita nell’articolo 67, comma 1, del TUIR una nuova categoria di redditi diversi, la nuova lettera c-sexies) costituita dalle plusvalenze e dagli altri proventi realizzati mediante rimborso o cessione a titolo oneroso, permuta o detenzione di cripto-attività, comunque denominate, non inferiori complessivamente a 2.000 euro nel periodo d’imposta.
Testualmente, la norma definisce cripto-attività:
“una rappresentazione digitale di valore o di diritti che possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando la tecnologia di registro distribuito o una tecnologia analoga”
e non costituisce una fattispecie fiscalmente rilevante la permuta tra cripto-attività aventi medesime “caratteristiche e funzioni” (ad esempio lo scambio tra bitcoin e ethereum).
Regole di determinazione e tassazione dei capital gain
Le plusvalenze relative alla cessione di partecipazioni sono costituite
“dalla differenza tra il corrispettivo percepito (o la somma percepita o il valore dei beni rimborsati), e il costo (o valore d’acquisto), aumentato di ogni onere inerente alla sua produzione, compresa l’eventuale imposta di successione e donazione, con esclusione degli interessi passivi”
Nel caso di acquisto per donazione il contribuente deve assumere il costo del donante mentre, nel caso di acquisto per successione, si assume come costo di acquisto il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti di tale imposta.
L’eventuale eccedenza delle minusvalenze è riportata in deduzione dell’ammontare delle plusvalenze della stessa specie realizzate nei periodi d’imposta successivi, ma non oltre il quarto, a condizione che siano state indicate nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel quale le minusvalenze stesse sono state realizzate.
Ai sensi del nuovo comma 9-bis dell’articolo 68 del TUIR le plusvalenze realizzate su cripto-attività sono costituite
“dalla differenza tra il corrispettivo percepito, ovvero il valore normale delle cripto-attività permutate, e il costo o il valore di acquisto. Le plusvalenze realizzate sono sommate algebricamente alle relative minusvalenze e se le minusvalenze, dichiarate nel periodo di imposta in cui sono realizzate, sono superiori a 2 mila euro, l’eccedenza può essere portata in deduzione dall’ammontare delle plusvalenze realizzate nello stesso periodo e in quelli successivi, ma non oltre il quarto”
Le plusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni (qualificate e non qualificate) e gli altri redditi diversi di natura finanziaria, comprese le plusvalenze realizzate su cripto-attività, non concorrono alla formazione del reddito complessivo del contribuente-persona fisica.
Queste sono indicate separatamente nella dichiarazione dei redditi e sulle stesse si applica l’imposta sostitutiva nella misura del 26 per cento. L’imposta sostitutiva si applica, invece, nella misura del 12,50 per cento sui redditi diversi di cui all’articolo 67, comma 1, lettera c-ter), del TUIR derivanti dalla cessione o dal rimborso dei titoli di Stato e titoli equiparati.
Regimi di tassazione dei redditi diversi
Il decreto legislativo numero 461/1997 prevede tre diversi regimi di tassazione dei redditi diversi di natura finanziaria, la cui differenza si sostanzia:
- negli adempimenti posti a carico dell’investitore o del gestore delle attività finanziarie;
- nel momento in cui viene applicata la tassazione (maturato o realizzato);
- nel trattamento fiscale di profitti e perdite (con particolare riferimento alla possibilità di portare in deduzione le minusvalenze).
Regime dichiarativo
Il regime ordinario di tassazione dei redditi diversi di natura finanziaria è il “regime dichiarativo” (articolo 5 del D.Lgs. 461/1997).
Tale regime si caratterizza per l’applicazione dell’imposta sostitutiva al 26 per cento al momento del realizzo della plusvalenza, da parte dell’intermediario oppure in dichiarazione dei redditi.
Nel regime dichiarativo il contribuente ha l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi annuale, identificandosi come titolare delle attività finanziarie che hanno prodotto i redditi.
La tassazione avviene “per cassa” alla realizzazione del provento.
Inoltre, la compensazione tra guadagni e perdite può avere luogo solo tra redditi della stessa natura e non è possibile ad esempio compensare la plusvalenza realizzata da partecipazioni qualificate con la minusvalenza realizzata da partecipazioni non qualificate. Quindi solo compensazione tra redditi della stessa natura.
Regime del risparmio amministrato
Il regime del risparmio amministrato (articolo 6 D.Lgs. n. 461 del 1997) riguarda il caso in cui l’investitore affidi i propri risparmi in deposito a un intermediario, generalmente attraverso un contratto di amministrazione e custodia, senza delegarne la gestione.
In questo caso è l’intermediario a calcolare, per ogni operazione, l’imposta dovuta e a versarla al fisco in base all’aliquota corrente. Il regime del risparmio amministrato costituisce un regime opzionale di tassazione per i redditi diversi di natura finanziaria. Le imposte sono calcolate solo sulle plusvalenze effettivamente realizzate a seguito di un’attività di compravendita ed è possibile effettuare la compensazione con le minusvalenze, ma solo tra redditi della stessa natura. Eventuali perdite o minusvalenze possono essere compensate con successive plusvalenze realizzate nel medesimo periodo d’imposta o in quelli successivi, ma non oltre il quarto. Anche tale regime prevede la tassazione secondo il “principio di cassa”, con l’applicazione dell’imposta sostitutiva con aliquota del 26 per cento a cura degli intermediari.
Regime del risparmio gestito
Il regime del risparmio gestito (articolo 7 del decreto legislativo n. 461 del 1997) riguarda il caso in cui un intermediario finanziario specializzato (Banca, Società d’intermediazione mobiliare, fondo comune d’investimento aperto o chiuso e SICAV) gestisca una serie di attività finanziarie in base a uno specifico contratto di investimento relativo al servizio di gestione individuale di portafogli e adempia agli obblighi nei confronti dell’amministrazione fiscale.
L’imposta viene pagata dall’intermediario che gestisce i risparmi dell’investitore ed è calcolata sul risultato netto della gestione maturato, confrontando cioè la valorizzazione complessiva del portafoglio investimenti alla fine dell’esercizio con quella all’inizio.
Rispetto agli altri regimi, in questo caso la tassazione avviene per competenza e non al momento della sua effettiva percezione.
Il risultato maturato dalla gestione, se positivo, deve essere assoggettato all’imposta sostitutiva del 26 per cento.
Il regime del risparmio gestito costituisce un regime opzionale di tassazione non solo dei redditi diversi ma anche dei redditi di capitale ed è l’unico che consente di compensare le perdite e le minusvalenze con i redditi di capitale.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Capital gain: definizione e tassazione