Se lo studio di settore è infedele non opera il termine di accertamento ridotto

Emiliano Marvulli - Studi di settore

Termine di accertamento ridotto solo in caso di fedele esposizione dei dati rilevanti per l'applicazione degli studi di settore: lo chiarisce la Corte di Cassazione

Se lo studio di settore è infedele non opera il termine di accertamento ridotto

In tema di accertamento a mezzo studi di settore, la riduzione di un anno dei termini di decadenza di cui all’art. 43, primo comma, del DPR n. 600 del 1973, prevista dall’art. 10, comma 9, del DL n. 201 del 2011, presuppone la fedele esposizione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, sicché detta riduzione non è applicabile nel caso in cui, anche successivamente allo spirare del termine ridotto, si accerti la non veridicità dei dati forniti dal contribuente.

Questo il principio espresso dalla Corte di cassazione nella Sentenza n. 28457 depositata il 5 novembre 2024.

Studio di settore infedele e termine di accertamento ridotto: il caso analizzato dalla Corte di Cassazione

La vicenda trae origine dal ricorso proposto da una società avverso due avvisi di accertamento per avvenuta decadenza dei termini decadenziali. Il ricorso era stato respinto sia in primo che in secondo grado in quanto i giudici hanno decretato, sul punto, che l’accertamento fosse stato notificato nei termini di decadenza, posta l’inapplicabilità del regime premiale invocato dai ricorrenti in ragione della contabilizzazione di operazioni inesistenti.

La società ha così proposto ricorso per cassazione eccependo, per quanto di interesse, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 10, commi 9 e 10, del DL 6 dicembre 2011, n. 201, conv. con modif. nella L. 22 dicembre 2011, n. 214, dell’art. 3 della L. 27 luglio 2000, n. 212, dell’art. 43 del DPR 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 57 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, per avere la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado erroneamente ritenuto l’inapplicabilità del termine di accertamento ridotto per i contribuenti soggetti agli studi di settore e che abbiano dichiarato ricavi o compensi pari o superiori a quelli risultanti dall’applicazione degli standard.

La corte di Cassazione ha ritenuto infondato il motivo e ha cassato la sentenza impugnata.

Studi di settore e termine di accertamento: le conclusioni della Corte di Cassazione

La controversia ruota attorno alla corretta interpretazione dell’art. dell’art. 10, comma 9, del DL n. 201 del 2011, che prevede che:

“Nei confronti dei contribuenti soggetti al regime di accertamento basato sugli studi di settore, … che dichiarano, anche per effetto dell’adeguamento, ricavi o compensi pari o superiori a quelli risultanti dell’applicazione degli studi medesimi: (...) b) sono ridotti di un anno i termini di decadenza per l’attività di accertamento previsti dall’articolo 43, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e dall’articolo 57, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1972, n. 633; la disposizione non si applica in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74.”

Il successivo comma 10 chiarisce, altresì, che la disposizione del comma 9 si applica a condizione che “a) il contribuente abbia regolarmente assolto gli obblighi di comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, indicando fedelmente tutti i dati previsti”.

I ricorrenti hanno osservato di avere depositato lo studio di settore, che presenta dati coerenti con l’andamento dell’attività imprenditoriale, e che l’Amministrazione finanziaria non avrebbe potuto riaprire i termini sulla base di contestazioni successive al loro concreto spirare.

In realtà, osserva la Corte, la disposizione normativa consente l’abbreviazione dei termini previsti dalla legge solo nel caso in cui l’esposizione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore sia stata fedele.

Ciò significa che, nel caso di esposizione infedele, detta abbreviazione non può essere concessa: ed è proprio quanto accaduto nel caso di specie, laddove è contestata al ricorrente l’esposizione di costi fittizi in quanto conseguenti all’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti.

Né può dirsi che si tratti di contestazione a posteriori, a termini scaduti, atteso che la sussistenza di una dichiarazione infedele preclude fin dall’inizio la concessione del beneficio.

A ciò si aggiunga che, come osservato dalla difesa erariale, l’esposizione di costi non effettivamente sostenuti integra l’obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal DLgs. n. 74 del 2000, con conseguente inapplicabilità dell’abbreviazione dei termini anche per questa concorrente ragione. Da qui il rigetto del motivo di doglianza.

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