Anche in sede penale sono ammesse le risultanze dell'attività di accertamento compiuta dall'Amministrazione finanziaria tramite gli studi di settore per la determinazione dell'imposta evasa, ferma restando l'autonoma valutazione degli elementi emersi. Lo chiarisce la Corte di Cassazione con la Sentenza n. 37238 del 3 ottobre 2022.
Il giudice penale può avvalersi delle risultanze dell’attività di accertamento compiuta dagli Uffici finanziari mediante gli studi di settore per la determinazione dell’imposta evasa, ferma restando l’autonoma valutazione degli elementi emersi.
Il metodo induttivo riguarda infatti una modalità di ricostruzione della prova che soggiace alle ordinarie regole logiche di valutazione.
Queste le conclusione a cui è pervenuta la Corte di Cassazione con la Sentenza n. 37238 del 3 ottobre 2022.
- Corte di Cassazione - Sentenza numero 37238 del 3 ottobre 2022
- Il testo integrale della sentenza della Corte di Cassazione numero 37238 del 3 ottobre 2022
La sentenza – Il ricorso in cassazione è stato proposto da un indagato per il reato di omessa presentazione della dichiarazione di cui all’art. 5 del D.Lgs. 74/2000 avverso la sentenza di condanna emessa dal competente tribunale penale.
Con specifico motivo di doglianza il ricorrente ha lamentato l’erroneità della sentenza della corte d’appello che, trascurando i rilievi difensivi in tema di quantificazione della imposta evasa, si sarebbe acriticamente adagiata sulle conclusioni della Agenzia delle entrate, circa la ricostruzione induttiva della base imponibile.
A parere della ricorrente infatti le presunzioni legali o i criteri ritenuti validi in ambito tributario non possono trovare cittadinanza nel processo penale alla luce dell’onere della prova a carico dell’accusa.
La Corte di cassazione ha ritenuto infondato il motivo di doglianza distinguendo, in via preliminare, tra attività di accertamento induttivo compiuta mediante gli studi di settore e presunzioni legali tributarie.
Infatti, delle prime il giudice può avvalersi, per il principio di atipicità dei mezzi di prova nel processo penale, di cui è espressione l’art. 189 c.p.p secondo cui, quando è richiesta una prova non disciplinata dalla legge, il giudice può assumerla se essa risulta idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti, ferma restando l’autonoma valutazione degli elementi emersi.
Invece, con riferimento alle presunzioni legali tributarie opera il diverso principio per cui, pur potendo avere valore indiziario, non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa.
In buona sostanza, le presunzioni legali corrispondono a circostanze già valutate dal legislatore come significative a fini tributari, e sono stabilite con specifica previsione di legge.
Il metodo induttivo è solo una modalità di ricostruzione della prova, mediante la valorizzazione di dati non già oggetto di previa determinazione legale del loro significato: per tale motivo lo stesso soggiace alle ordinarie regole logiche di valutazione.
Nel caso di specie, la censura inerente il ricorso al metodo induttivo è privo di fondamento perché i giudici di merito, in linea con i principi enunciati prima circa la valutazione del metodo induttivo, hanno condiviso gli esiti dello stesso mediante un vaglio critico, ritenuto ragionevole, degli elementi considerati.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Risultanze degli studi di settore ammesse anche in sede penale