Staking criptovalute: chi detiene il wallet deve indicare gli importi tra i redditi di capitale del quadro RL del modello Redditi
L’impianto generale della posizione dell’Amministrazione finanziaria in materia di premi di staking sulle criptovalute non è variato.
Infatti, resta confermata la posizione sulle operazioni di conversione di valute virtuali in valute tradizionali.
Stesso discorso per quanto riguarda l’assoggettamento agli obblighi di monitoraggio fiscale previsti dall’art. 4 del D.L. 167/1990, che non sussistono se il wallet è detenuto da una persona fisica residente presso una società localizzata in Italia, nonché l’esclusione dal pagamento dell’IVAFE.
La rettifica in merito agli obblighi dichiarativi
Nell’ambito della discrezionalità della propria azione amministrativa l’Agenzia delle entrate ritiene che la remunerazione (in cripto-valute) dell’attività di staking sia inquadrabile quale reddito di capitale ai sensi dall’articolo 44, comma 1, lettera h).
Si tratta di una norma di chiusura della categoria dei redditi di capitale, introdotta dal decreto legislativo 461/1997 al fine di ricondurre a tale categoria reddituale tutti i redditi derivanti dall’impiego del capitale.
Come chiarito anche nella circolare numero 165E/E1998, per la configurabilità di un reddito di capitale è sufficiente l’esistenza di un qualunque rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale e quindi anche rapporti che non siano a prestazioni corrispettive ovvero nei quali il nesso di corrispettività non intercorra tra la concessione in godimento del capitale ed il reddito conseguito.
Nella risposta 433/2022 era stato affermato che se le remunerazioni in cripto-valuta percepite dalle persone fisiche, al di fuori dell’attività d’impresa, per l’attività di staking, fossero state accreditate nel wallet da una Società italiana, quest’ultima avrebbe dovuto applicare una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 26 per cento ai sensi dell’articolo 26, comma 5, del d.P.R. 600/1973.
Di conseguenza il titolare del wallet non avrebbe dovuto dichiarare alcunché nella propria dichiarazione dei redditi, avendo subito una ritenuta a titolo di imposta.
Rettificando questo specifico punto della risposta, l’Agenzia delle entrate ha successivamente affermato - si veda l’interpello numero 437/2022 - che la società italiana che accredita sul wallet le cripto-valute derivanti dallo staking non deve applicare una ritenuta a titolo di imposta ma a titolo di acconto.
Ciò in quanto il citato art. 26 dispone, per quanto di interesse, che
“i soggetti indicati nel primo comma dell’articolo 23 operano una ritenuta del 12,50 [attualmente 26] per cento a titolo d’acconto, con obbligo di rivalsa, sui redditi di capitale da essi corrisposti, diversi da quelli indicati nei commi precedenti e da quelli per i quali sia prevista l’applicazione di altra ritenuta alla fonte o di imposte sostitutive delle imposte sui redditi. Se i percipienti non sono residenti nel territorio dello Stato o stabili organizzazioni di soggetti non residenti la predetta ritenuta è applicata a titolo d’imposta ed è operata anche sui proventi conseguiti nell’esercizio d’impresa commerciale”
Nel caso di specie, tenuto conto che l’Istante è una persona fisica residente in Italia, tali remunerazioni dovranno essere assoggettate a ritenuta a titolo d’acconto da parte della Società e indicate dal contribuente nella Sezione I-A “Redditi di capitale” del Quadro RL del Modello Redditi.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Premi sullo staking nel quadro RL