Può sussistere il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte anche in caso di operazioni tracciabili
La recente giurisprudenza tributaria ha affermato rilevanti principi in tema di reato di sottrazione fraudolenta.
Nel caso di specie - tratto dalla Sentenza n. 16686/2021 - il Tribunale aveva annullato l’ordinanza del GIP, con la quale era stata disposta la misura degli arresti domiciliari nei confronti dell’imputata, indagata in relazione a tre contestazioni relative alla violazione dell’art. 11 Dlgs. n. 74/2000, per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
Avverso tale ordinanza il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale proponeva ricorso per cassazione, censurando l’ordinanza, per quanto di interesse, per non avere questa, a suo avviso, fatto corretta interpretazione della locuzione di “atti fraudolenti”.
Dopo aver ricostruito il meccanismo accertato dalle indagini, ritenuto fraudolento dallo stesso Tribunale, il ricorrente censurava quindi la motivazione, laddove, la stessa aveva poi escluso la sussistenza del reato, sul presupposto che non potessero qualificarsi come fraudolente le operazioni bancarie, in quanto tracciabili e ricostruibili.
Ad avviso del ricorrente, invece, lo stratagemma adottato dall’indagata, consistito nel far apparire che le cinque ditte fossero di proprietà di altri, mentre era lei stessa che le gestiva, percependone gli utili attraverso il sistematico svuotamento delle casse sociali mediante centinaia di bonifici in favore di conti correnti di cui aveva la disponibilità e da cui provvedeva o a prelevare denaro contante ovvero ad effettuare ulteriori bonifici verso conti correnti accesi in Cina, aveva comportato la rappresentazione di una realtà non rispondente al vero, che aveva impedito all’Agenzia delle Entrate di individuare il reale contribuente e, quindi, di procedere, anche in maniera forzata, alla riscossione del credito.
Sottrazione fraudolenta anche in caso di operazioni tracciabili: la decisione della Corte di Cassazione
Secondo la Suprema Corte, la censura era fondata.
Evidenziano i giudici di legittimità che, secondo quanto accertato dal Tribunale, emergeva che:
- l’indagata era la proprietaria dell’immobile in cui avevano sede le cinque ditte individuali, aventi tutte il medesimo oggetto, ossia abbigliamento, e la medesima clientela;
- la donna era assunta in tutte le ditte, che si sostituivano nel tempo quasi senza soluzione di continuità;
- tutte le ditte avevano presentato dichiarazioni dei redditi senza però provvedere ai relativi pagamenti;
- il ruolo di imprenditore occulto della stessa imputata veniva desunto, inoltre, dalla delega, rilasciata senza alcuna ragione apparente in suo favore, ad operare sui conti correnti;
- nel periodo intercorrente tra l’iscrizione a ruolo delle somme dovute e l’inizio della riscossione coattive i conti correnti delle ditte erano stati svuotanti, rendendo vana la pretesa creditoria.
Il Tribunale, pur dando atto che si poteva in effetti parlare, in relazione a tale modus agendi, “di mezzi fraudolentemente predisposti", aveva tuttavia poi escluso la sussistenza del fumus del delitto , non potendosi, a suo avviso, “qualificare come fraudolente operazioni bancarie rintracciabili e ricostruibili, come in effetti è avvenuto”.
Secondo la Cassazione, però, questa era una motivazione errata, in quanto, per un verso, era contraddittoria, e, per altro verso, poggiava comunque su una non corretta esegesi della nozione di “atti fraudolenti”, come contemplata dalla fattispecie di cui all’art. 11 Dlgs. n. 74 del 2000.
Quanto alla contraddittorietà della motivazione, la Corte rileva che, secondo il Tribunale del riesame, l’intero meccanismo ideato ed attuato dall’indagata - vale a dire la creazione a tempo di società evidentemente fittizie e tutte facenti capo alla medesima imprenditrice occulta; l’indebitamento fiscale accumulato entro i tre anni e prima, cioè, dell’inizio della possibile riscossione coattiva; lo svuotamento di tutti i conti e i depositi della società a partire da tale limite temporale, sì da vanificare la pretesa creditoria dello Stato; la cessazione di ogni attività societaria e la sparizione della ditta, con sua sostituzione a mezzo di altra società che replicava il meccanismo - era da considerarsi fraudolento nel suo complesso, ma, nonostante ciò, non poteva considerarsi illecito perché realizzato attraverso singoli atti, ciascuno dei quali formalmente lecito.
Secondo la Corte, l’assoluta irragionevolezza di tale opzione ermeneutica appariva però evidente.
Se si fosse accolta una tale impostazione, infatti, affermano i giudici, a fronte di plurime condotte realizzative di un intero disegno fraudolento, che, per gravità, intensità e durata risultava naturalmente di disvalore maggiore rispetto ad un singolo atto fraudolento, esse sarebbero invece risultate estranee all’oggetto dell’incriminazione.
Ragionamento, questo, che confliggeva con la stessa ratio dell’incriminazione, dando legittimazione (ed, anzi, incoraggiando) meccanismi complessi di evasione fiscale (e per questo ancor più ingannatori).
Oltre a ciò, secondo la Cassazione, la nozione di “atti fraudolenti” accolta dal Tribunale cautelare non era allineata con la ricostruzione già operata dalla giurisprudenza di legittimità.
La Cassazione rammenta infatti che l’art. 11 Dlgs. n. 74 del 2000 sanziona, nell’ipotesi di cui al comma 1, la condotta di chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte, di ammontare complessivo superiore a cinquantamila euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, applicandosi una pena edittale più elevata laddove l’ammontare delle imposte, degli interessi e delle sanzioni, sia superiore a duecentomila euro.
La giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. 3, n. 17071 del 04/04/2006) ha dunque osservato come, nella vigente fattispecie, rispetto alle precedenti versioni, sia scomparso ogni riferimento alla necessità dell’effettivo avvio di un qualsiasi accertamento fiscale, essendo ora sufficiente che l’azione sia idonea a rendere inefficace l’esecuzione esattoriale, configurandosi dunque l’illecito penale in termini di reato di pericolo concreto (sul punto cfr., Cass., Sez. 3, n. 13233 del 24 febbraio 2006), integrato dal compimento di atti simulati o fraudolenti, volti a occultare i propri o altrui beni, idonei, secondo un giudizio ex ante che valuti la sufficienza della consistenza patrimoniale del contribuente rispetto alla pretesa dell’Erario, a pregiudicare l’attività recuperatoria dell’Amministrazione finanziaria (cfr., Cass., Sez. 3, n. 46975 del 16 ottobre 2018).
Al fine della illiceità penale della condotta non è peraltro sufficiente che gli atti siano oggettivamente finalizzati a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, essendo necessario che gli stessi si caratterizzino anche per la loro natura simulatoria o fraudolenta.
Con riguardo poi, in particolare, alla nozione di “atti fraudolenti”, la Cassazione evidenzia che devono ritenersi tali tutti quei comportamenti che, quand’anche formalmente leciti, siano tuttavia connotati da elementi di inganno o di artificio.
Come accade quando vi sia l’esistenza di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione (cfr., Cass., Sez. 3, n. 29636 del 02 luglio 2018; Cass., Sez. 3, n. 25677 del 16 maggio 2012).
Per “atto fraudolento” deve perciò intendersi qualsiasi atto, connotato da una componente di artificio, inganno o menzogna, che sia idoneo a rappresentare ai terzi una realtà (la riduzione del patrimonio del debitore) non corrispondente al vero, mettendo a repentaglio - o comunque rendendo più difficoltosa - l’azione di recupero del bene in tal modo sottratto alle ragioni dell’Erario.
La necessità di individuare questo quid pluris nella condotta dell’agente è stata poi sottolineata anche dalle Sezioni Unite (Cass., SSUU, sentenza n. 12213 del 21 dicembre 2017).
Tanto premesso, la Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, dà continuità al principio secondo cui, ai sensi dell’art. 11 Dlgs. 10 marzo 2000, n. 74, gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato, oggettivamente idonei ad eludere l’esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta allorquando siano connotati da elementi di artificio, inganno o menzogna tali da rappresentare ai terzi una riduzione del patrimonio non corrispondente al vero, così mettendo a repentaglio o, comunque, rendendo più difficoltosa la procedura di riscossione coattiva (cfr., Cass., Sez. 3, n. 35983 del 16 dicembre 2020).
La motivazione dell’Ordinanza impugnata non era quindi conforme ai principi richiamati, laddove restringeva indebitamente la nozione di atto fraudolento, per molti aspetti travisandola, confondendo la nozione di fraudolenza con quella di illiceità dell’atto e, per di più, ponendo l’accento, in maniera atomistica, solo su una singola condotta (ossia lo svuotamento dei conti correnti sociali avvenuto mediante bonifici, e quindi con modalità tali da consentirne la tracciabilità), la quale, invece, deve essere valutata unitamente a tutte le altre, nel loro collegamento finalistico e nella sequenza funzionale.
Alcune osservazioni sulla sottrazione fraudolenta anche in caso di operazioni tracciabili
Al di là dello specifico caso processuale, giova dunque anche osservare quanto segue.
Deve ritenersi sufficiente, quale presupposto del reato, l’esistenza, al momento della condotta illecita, di un debito verso l’Amministrazione finanziaria, sebbene non ancora precisamente determinato ed eventualmente nemmeno oggetto di procedure di accertamento, purché per un ammontare complessivo stimabile in una somma superiore a cinquantamila euro.
Ovviamente, l’autore della condotta, dato che deve porre in essere la stessa al fine di sottrarsi al pagamento, deve agire (anche) nella consapevolezza dell’esistenza di tale debito.
In riferimento poi alla nozione “aliena simulatamente” e “compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva” , ai fini della integrazione del reato di sottrazione fraudolenta, l’alienazione è “simulata”, ossia finalizzata a creare una situazione giuridica apparente diversa da quella reale, quando il programma contrattuale non corrisponde deliberatamente, in tutto (simulazione assoluta) o in parte (simulazione relativa), alla effettiva volontà dei contraenti.
Qualora invece il trasferimento del bene sia effettivo, la relativa condotta può essere valutata quale possibile “atto fraudolento”, idoneo a rappresentare una realtà non corrispondente al vero e a mettere a repentaglio o comunque ostacolare l’azione di recupero del bene da parte dell’Erario (cfr., Cass., Sez. 3, n. 3011 del 2017).
Il reato di cui all’art. 11 Dlgs. n. 74 del 2000 è del resto configurabile anche se l’atto simulato o fraudolento sia compiuto, oltre che con il dolo specifico di sottrarsi al pagamento delle imposte, anche con altre finalità, laddove la disposizione incriminatrice non richiede che la finalità di sottrarsi al pagamento dei debiti tributari sia esclusiva.
La disposizione di cui all’art. 11 del Dlgs. n. 74 del 2000, mira, in sostanza, ad evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche, creando una situazione di apparenza tale da consentirgli di rimanere nel possesso dei propri beni, fraudolentemente sottratti alle ragioni dell’Erario.
Oggetto giuridico del reato, peraltro, non è il diritto di credito dell’Erario, bensì la garanzia generica, rappresentata dai beni dell’obbligato, potendosi, pertanto, configurare il reato anche nel caso in cui, dopo il compimento degli atti fraudolenti, si verifichi comunque il pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni (cfr., Cass., n. 35853 del 11 maggio 2016; Cass., n. 13233 del 24 febbraio 2016; Cass., n. 36290 del 18 maggio 2011).
D’altro canto, non si può invece invocare la presenza di un mero tentativo, dato che, come conferma anche la pronuncia in commento, il reato di sottrazione fraudolenta va qualificato come un reato di pericolo concreto, per la cui sussistenza è sufficiente che la condotta di sottrazione abbia messo in pericolo l’efficacia della procedura esecutiva, non essendo neppure necessario il verificarsi dell’evento.
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