Ristretta base societaria: valido l’accertamento sui conti di soci e congiunti

Emiliano Marvulli - Società di persone

È legittimo l'accertamento nei confronti della società a ristretta base partecipativa basato sulle risultanze delle indagini finanziarie effettuate anche nei confronti di soggetti terzi: è questo quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la Sentenza n. 27543 del 30 ottobre 2018.

È legittimo l’accertamento nei confronti della società a ristretta base partecipativa basato sulle risultanze delle indagini finanziarie effettuate anche nei confronti di soggetti terzi, quando il contribuente non dimostra, con una prova analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili e sono prive di rilevanza fiscale.

La ristretta base partecipativa della società è un elemento sufficiente a presumere, salvo prova contraria, che soggetti terzi alla società come gli amministratori, i soci o i congiunti abbiano messo il loro conto a disposizione del contribuente.

Questo ha deciso la Corte di Cassazione con la Sentenza numero 27543 del 30 ottobre 2018.

I fatti – La causa ha visto protagonisti una società a ristretta base societaria e i suoi soci avverso cui l’amministrazione finanziaria aveva notificato una serie di avvisi di accertamento, da un lato, per il recupero a tassazione delle maggiori imposte dirette in capo alla società e, dall’altro, per l’IRPEF connessa al maggior reddito di partecipazione attribuito ai soci.

Per quanto qui di interesse, l’Ufficio aveva accertato induttivamente un maggior reddito imponibile in capo alla società dopo aver esperito indagini finanziarie sui conti correnti del medesimo ente nonché del coniuge del legale rappresentante e dei loro figli, avendo considerato come ricavi della società sia i prelevamenti che i versamenti.

I contribuenti hanno proposto autonomo ricorso avverso gli atti de qua, tutti accolti dalla CTP. L’Amministrazione finanziaria ha avanzato allora appello contro la decisione di primo grado, accolto dalla CTR.

Sia la società che i soci hanno impugnato davanti alla Corte di Cassazione la decisione della CTR lamentando, tra l’altro, violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 51 del DPR 633/72 per aver ritenuto fondata la pretesa dell’Agenzia delle entrate pur in mancanza di presunzioni gravi, precise e concordanti fondanti gli accertamenti.

A parere dei ricorrenti, infatti, l’Ufficio accertatore non ha fornito la prova che le movimentazioni dei conti correnti bancari intestati ai soggetti diversi dal contribuente, la cui attività era estranea a quella svolta dalla società (il coniuge e i figli del legale rappresentante) erano riferibili ad operazioni commerciali della medesima società.

Sul punto la Corte di cassazione ha ritenuto infondati i motivi dei ricorrenti e ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.

La decisione – Il tema centrale della controversia ruota attorno alla legittimità dell’accertamento basato sulle indagini finanziarie previsto, con riferimento alle imposte dirette, dall’art. 32 del DPR 29 settembre 1973, n. 600 e all’Iva dall’art.51 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633.

In base a tali disposizioni l’Ufficio, previa autorizzazione del Direttore centrale dell’accertamento dell’Agenzia delle entrate o del direttore regionale della stessa (o per la Guardia di Finanza, del Comandante regionale), può richiedere direttamente al contribuente, ovvero agli intermediari finanziari che hanno intrattenuto rapporti con lui, dati e notizie validi ai fini dell’attività accertativa.

I dati pervenuti sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti nell’ipotesi in cui il contribuente non dimostri che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito o che le movimentazioni contestate non hanno rilevanza allo stesso fine.

Nel caso in esame l’Amministrazione finanziaria ha presunto il maggior reddito imponibile di una società a ristretta base societaria basandosi, non solo sulle risultanze delle indagini finanziarie effettuate sui conti correnti intestati alla società stessa, ma anche su quelle effettuate nei confronti del coniuge e dei figli del legale rappresentante dell’ente accertato, benché soggetti formalmente terzi rispetto a quest’ultimo.

Per risolvere la questione, gli ermellini hanno ribadito un principio oramai consolidato secondo il quale, nel caso di accertamento basato sulle indagini finanziarie, “l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili e sono prive di rilevanza fiscale.”

Sul punto la Corte ha rimarcato che la presunzione relativa di maggior reddito prevista dalla norma trova applicazione non solo sui conti correnti intestati al contribuente direttamente accertato, ma anche sui soggetti per i quali è “fondatamente ipotizzabile che abbiano messo il loro conto a disposizione del contribuente, come amministratori, soci, congiunti o terzi in genere con i quali abbiano particolari rapporti di cointeressenza, rappresentanza organica, procura generale, mandato e simili.”

In difetto del superamento dell’onere probatorio, la ristretta base partecipativa della società è un elemento grave e sufficiente a fondare detta presunzione a carico della società in base alle risultanze dei conti correnti bancari dei soci e dei loro congiunti.

Da tale principio la Corte di Cassazione ha desunto la piena legittimità delle indagini bancarie estese ai parenti della persona fisica titolare della carica di amministratore della società accertata, avendo trovato piena applicazione la presunzione legale per cui i singoli dati ed elementi risultanti dall’indagine bancaria sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti se il contribuente, come nel caso in esame, non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili.

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