Nel caso di datore di lavoro stabilito nel Regno Unito, il lavoratore può svolgere l'attività in smart working in Italia senza il cambio della propria residenza? All'interrogativo fornisce chiarimenti l'Agenzia delle Entrate
Il lavoratore con datore di lavoro estero che chiede di trasferirsi in Italia per lavorare in smart working può farlo senza dover cambiare la residenza?
Al quesito risponde l’Agenzia delle Entrate con la risposta all’interpello numero 127 del 20 gennaio 2023.
Nell’anno in cui non vengano raggiunti i 183 giorni la residenza rimane nello stato estero. Per l’anno successivo, se non ci sono cambiamenti della situazione, il contribuente è invece considerato residente in Italia.
Devono essere prese in considerazione le convenzioni bilaterali tra gli Stati, in quanto il diritto convenzionale prevale sul diritto interno.
Smart working, con datore di lavoro estero si può lavorare in Italia senza cambiare la residenza?
Continuano i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate sul tema dello smart working in presenza di lavoratori o datori di lavoro esteri.
La risposta all’interpello numero 127 del 20 gennaio 2023 si concentra sul caso in cui un lavoratore italiano, che svolge la propria attività presso un datore di lavoro del Regno Unito, si trasferisce in Italia per svolgere le sue mansioni in modalità agile.
Il quesito posto da quest’ultimo riguarda la possibilità di continuare a lavorare in Italia senza prendere la residenza nel paese stesso, in quanto uno spostamento di residenza potrebbe portare alla perdita di lavoro dell’istante.
L’Agenzia delle Entrate richiama il quadro normativo di riferimento e rimanda anche alle convenzioni bilaterali tra Italia e Regno Unito, ribadendo il principio della prevalenza del diritto convenzionale sul diritto interno stabilità dall’art. 169 del TUIR.
Sulla base dell’articolo 2, comma 2 del TUIR sono considerati fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che per almeno 183 giorni (o 184 nel caso di anni bisestili):
- sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente;
- hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza.
Tali condizioni sono alternative, quindi è sufficiente il verificarsi di una delle due per determinare la residenza fiscale italiana.
Come anticipato devono essere tenute in considerazione soprattutto le convenzioni bilaterali tra gli Stati, nel caso in questione la convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia ed il Regno Unito, firmata a Pallanza il 21 ottobre 1988.
Nel caso in cui il soggetto risulti residente in entrambi i Paesi si dovrà fare riferimento al paragrafo 2 dell’articolo 4 del Trattato.
Si dovranno considerare, in ordine di importanza, i seguenti fattori:
- il criterio dell’abitazione permanente;
- il centro degli interessi vitali;
- il soggiorno abituale;
- la nazionalità del Contribuente.
La verifica delle condizioni appena indicate, tuttavia, è al di fuori dei chiarimenti della risposta all’interpello.
- Agenzia delle Entrate - Risposta all’interpello numero 127 del 20 gennaio 2023
- Imponibilità nel territorio dello Stato di redditi da lavoro dipendente corrisposti a fronte di attività svolta nel territorio dello Stato in modalità smart working a favore di datore di lavoro non residente ai sensi dell’articolo 15 della Convenzione stipulata tra Italia e Regno Unito per evitare le doppie imposizioni.
Smart working: le regole sulla residenza fiscale e sulla tassazione
Sulla base delle informazioni rese dall’Istante, l’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti sugli elementi che determinano il paese in cui è individuata la residenza del lavoratore.
In merito al primo anno in cui il soggetto si è trasferito, la residenza non può essere considerata in Italia, in quanto la maggior parte del periodo d’imposta il domicilio e la residenza non sono stati stabiliti in Italia.
In merito all’anno successivo, l’Agenzia delle Entrate chiarisce quanto di seguito riportato:
“diversamente nell’anno di imposta successivo X+1, al permanere delle condizioni dichiarate nell’istanza di interpello in esame (residenza ai sensi del codice civile ed abitazione principale in Italia), lo stesso Contribuente risulterebbe residente nel nostro Paese per la maggior parte di tale periodo d’imposta (183 giorni nell’anno X+1), indipendentemente dalla sua iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente in Italia.”
La residenza in Italia per l’anno successivo porta con sé conseguenze anche sul piano fiscale.
L’articolo 3 comma 1 del TUIR prevede, infatti, che:
’’l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’articolo 10’’.
Per l’anno in questione i redditi prodotti dal contribuente saranno “tassati” in Italia, a prescindere dal luogo in cui saranno prodotti.
Sulla base di quanto stabilito dall’articolo 15, paragrafo 1, della Convenzione tra Italia e Regno Unito le somme dovranno essere assoggettate a imposizione esclusiva in Italia e non dovranno essere quindi assoggettate a tassazione nel Regno Unito.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Smart working, con datore di lavoro estero si può lavorare in Italia senza cambiare la residenza?