Lo smart working permette di lavorare in Italia o nel resto del mondo per qualsiasi datore di lavoro: ma, dal punto di vista fiscale, cosa accade quando l'attività lavorativa si svolge tra due o più paesi?
Si parla tanto di smart working, remote working o South working in questi mesi.
Effettivamente, attraverso queste forme di lavoro agile è possibile svolgere dall’Italia un lavoro dipendente anche per un datore di lavoro che si trova dall’altra parte del mondo e viceversa.
Ma cosa accade dal punto di vista fiscale?
Da Centrali le regole previste dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi sulla residenza fiscale, e non solo, e gli accordi con i Paesi esteri.
Smart working in un paese e datore di lavoro in un altro: le regole per una corretta tassazione
Per comprendere la portata della materia proviamo a prendere spunto da alcuni interessanti documenti di prassi prodotti dall’amministrazione finanziaria negli ultimi anni.
In particolare, analizziamo un caso pratico che ci consente di comprendere le regole di tassazione, legate allo smart working arriva da due contribuenti:
- il primo, italiano, ha lavorato per una parte del 2021 dall’Italia essendo dipendente di una società Irlandese;
- il secondo è iscritto all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero e lavora dalla Svizzera per una società italiana.
Due casi speculari per cui, però, è necessario seguire la stessa procedura per conoscere le regole applicabili: si parte dalla normativa interna e si arriva al diritto internazionale.
Per prima cosa, l’Agenzia delle Entrate, infatti, richiama il concetto di residenza fiscale regolato dall’articolo 2, comma 2, del Testo unico delle Imposte sui Redditi.
In base alla norma devono essere considerati fiscalmente residenti in Italia tutti coloro che trascorrono nel nostro Paese la maggior parte del periodo d’imposta.
Cosa vuol dire dal punto di vista operativo? Scatta la residenza fiscale per le persone che per 183, o 184 giorni in caso di anno bisestile, si trovano in una delle due condizioni:
- iscritte nelle Anagrafi della Popolazione Residente;
- hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.
Si tratta di due requisiti alternativi: basta, quindi, anche solo uno dei due fattori a determinarla.
Smart e/o remote working in Italia e datore di lavoro all’estero o viceversa: regole su residenza e tassazione
In linea generale devono essere le regole del TUIR, Testo Unico delle Imposte sui Redditi, il punto di riferimento per le lavoratrici e i lavoratori dipendenti in smart working in Italia, così come per gli iscritti all’AIRE che svolgono il lavoro agile all’estero per un datore di lavoro italiano.
Ma il panorama di disposizioni da applicare, caso per caso, va individuato tenendo conto anche dell’altro Stato chiamato in causa e dagli accordi che l’Italia ha stretto con quest’ultimo.
Sul primo punto, infatti, per quanto riguarda le istruzioni sulla residenza fiscale, l’Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello numero 55 del 2023 precisa:
“Ai sensi del comma 2 bis del citato articolo 2 del TUIR, si considerano comunque residenti, salvo prova contraria, anche i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto Ministeriale 4 maggio 1999”.
Tra questi paesi c’è anche la Svizzera, e quindi anche con l’iscrizione all’AIRE le cittadine e i cittadini italiani che si sono trasferiti in questo territorio continuano ad avere, in via presuntiva, la residenza fiscale in Italia.
Operativamente il contribuente, salvo prova contraria, continua ad essere assoggettato a imposizione in Italia, ai sensi dell’articolo 3 del TUIR.
Questo è quanto stabilito dalle regole italiane.
Quando, però, la vita lavorativa di lavoratrici e lavoratori si svolge tra due paesi, come accade per lo smart working, non è possibile fermarsi alla normativa interna ma bisogna considerare le disposizioni internazionali contenute in accordi conclusi all’Italia con gli Stati esteri.
“Il principio della prevalenza del diritto convenzionale sul diritto interno è, difatti, pacificamente riconosciuto nell’ordinamento italiano e, in ambito tributario, è sancito dall’articolo 169 del TUIR e dall’articolo 75 del D.P.R. n. 600 del 1973, oltre ad essere stato affermato dalla giurisprudenza costituzionale”.
Ed è proprio agli accordi internazionali che bisogna far riferimento per arrivare alle regole finali da seguire per individuare la giusta residenza fiscale e di conseguenza applicare correttamente la tassazione.
Nei casi esaminati, infatti, le conclusioni si possono trarre solo integrando la normativa italiana con le Convenzione tra l’Italia e l’Irlanda e quella tra l’Italia e la Svizzera per evitare le doppie imposizioni.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Smart working in Italia e datore di lavoro all’estero o viceversa: i riflessi fiscali