Una persona fisica si considera fiscalmente residente in Italia quando per la maggior parte del periodo d’imposta risulta iscritta all’anagrafe dei residenti in Italia o ha mantenuto nel Territorio dello Stato il domicilio o la residenza. Basta una sola di queste condizioni. Lo chiarisce la Corte di Cassazione con l'Ordinanza n. 3858 dell'8 febbraio 2022.
Una persona fisica è considerata fiscalmente residente in Italia quando per la maggior parte del periodo d’imposta risulta iscritta all’anagrafe dei residenti in Italia o ha mantenuto nel Territorio dello Stato il domicilio o la residenza, rispettivamente intesi come centro degli interessi o della dimora abituale.
I criteri previsti dalla norma sono alternativi tra loro e il verificarsi anche di uno solo di essi configura la residenza in Italia del soggetto e l’assoggettamento ad imposizione sulla base del principio di tassazione mondiale.
Questi gli argomenti su cui si sviluppa l’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 3858 pubblicata l’8 febbraio 2022.
I fatti - La controversia nasce a seguito della notifica di un avviso di accertamento a carico di un noto personaggio televisivo a cui l’Agenzia delle entrate aveva ricondotto la residenza fiscale in Italia per il periodo d’imposta 2005. Avverso l’atto impositivo ha proposto ricorso la contribuente, respinto dalla CTP e parzialmente accolto dalla CTR con riferimento all’Irap.
La contribuente ha impugnato la decisione dei giudici di merito deducendo tra l’altro violazione del disposto di cui all’art. 2, co. 2 del TUIR sulla soggettività passiva ai fini delle imposte sui redditi da parte delle persone fisiche.
I giudici della Cassazione hanno ritenuto infondate le doglianze svolte dalla ricorrente e hanno deciso per il rigetto del ricorso, con condanna a carico del soccombente delle spese processuali.
La decisione - La residenza delle persone fisiche ai fini delle imposte dirette è disciplinata dall’art. 2 del D.P.R. 917/1986.
In ragione di tale disciplina è ritenuto fiscalmente residente in Italia, alternativamente:
- chi per la maggior parte del periodo d’imposta è iscritto all’anagrafe della popolazione residente;
- chi, sebbene iscritto all’anagrafe dei residenti all’estero (cd. AIRE) per la maggior parte del periodo d’imposta, ha mantenuto in Italia:
- il domicilio, inteso come centro principale degli affari e degli interessi, oppure;
- la residenza, intesa come dimora principale.
La disciplina della residenza fiscale delle persone fisiche prevede, accanto al criterio formale dell’iscrizione anagrafica, due criteri di natura fattuale costituiti dal domicilio e dalla residenza nel territorio dello Stato.
Ne consegue che l’iscrizione all’AIRE non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia allorché si tratti di un soggetto che abbia nel territorio dello Stato la sua dimora abituale ovvero il proprio domicilio, inteso come sede principale dei propri affari ed interessi economici, così come delle proprie relazioni personali.
Ciò premesso, nel caso di specie la ricorrente aveva lamentato che l’Ufficio finanziario non avesse provato la permanenza in Italia per più di 184 giorni nell’anno considerato, ritenendo quindi che tale circostanza fosse il solo presupposto legittimante la pretesa tributaria.
La Corte di cassazione ha contestato tale motivo di ricorso con una motivazione in realtà singolare perché ha affermato che la residenza fiscale in Italia discende, “oltre che dalla permanenza per almeno 184 giorni”, alternativamente dalla circostanza che il contribuente abbia nel territorio dello Stato la propria residenza, ovvero il domicilio ai sensi del codice civile e cioè che abbia in Italia il centro dei propri affari o dei propri interessi economici.
Tale affermazione è, a parere di chi scrive, alquanto discutibile perché sembrerebbe introdurre un ulteriore requisito per fissare la residenza fiscale in Italia, ossia quello della permanenza per almeno 184 giorni nel territorio nazionale, in aggiunta a quelli previsti espressamente dalla legge, ossia l’iscrizione all’anagrafe dei residenti o, alternativamente, della permanenza del domicilio o della residenza, questi sì da verificarsi per la maggior parte del periodo d’imposta considerato.
Ciò detto, la Corte di cassazione argomenta su come il ricorso non abbia colto nel segno in quanto l’Amministrazione finanziaria non ha fondato la pretesa impositiva sull’effettiva permanenza in Italia del soggetto AIRE, ma sull’ultima ipotesi prevista dall’art.2, comma 2, del d.P.R. n.917/1986, cioè quella del domicilio, come centro degli interessi economici, sul suolo italiano.
È bene ribadire che tutti i criteri previsti dalla norma sono alternativi tra loro, nel senso che il verificarsi anche di uno solo di essi configura la residenza in Italia del soggetto e l’assoggettamento ad imposizione sulla base del principio di tassazione mondiale.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Criteri per la residenza fiscale sempre alternativi