Smart working in Italia del distaccato all'estero: quando applicare la retribuzione convenzionale? Lo chiarisce l'Agenzia delle Entrate con la risposta all'interpello n. 590 del 15 settembre 2021, specificando che non rientrano nel calcolo dei 183 giorni annui i periodi di lavoro svolti sul territorio nazionale.
I giorni di smart working svolti in Italia dal lavoratore distaccato all’estero non rientrano nel calcolo dei periodi necessari per l’applicazione della retribuzione convenzionale.
Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello numero 590 del 15 settembre 2021, ritenendo non assolto il requisito dei 183 giorni nei dodici mesi indispensabili per riconoscere la misura prevista per i lavoratori che prestano la loro attività lavorativa al di fuori del territorio nazionale.
Si ricorda che la retribuzione convenzionale è la base per il calcolo dei contributi dovuti per le assicurazioni obbligatorie e per l’applicazione delle imposte dovute dai lavoratori italiani operanti all’estero, a prescindere da quanto effettivamente percepito.
Gli importi vengono fissati ogni anno con apposito decreto ministeriale, in misura non inferiore ai parametri fissati dai contratti collettivi nazionali dei settori di riferimento.
La soglia minima dei 183 giorni, ossia la condizione a per stabilire l’effettiva permanenza del lavoratore all’estero, deve essere calcolata tenendo conto anche del periodo di ferie, delle festività, dei riposi settimanali e degli altri giorni non lavorativi.
Tuttavia in questo calcolo, precisa l’Agenzia delle Entrate, non rientrano i periodi di smart working in Italia.
Smart working in Italia del distaccato all’estero: quando applicare la retribuzione convenzionale?
Come di consueto nel rispondere al quesito l’Agenzia delle Entrate prende le mosse da un caso concreto.
L’istante è una società tedesca con residenza in Italia che chiede di poter applicare la retribuzione convenzionale, così come disposto dall’art. 51 comma 8-bis del TUIR, ad una propria dipendente distaccata in Germania.
La società, si legge nella risposta al’interpello del 14 settembre, intende però concedere alla lavoratrice periodi di smart working in Italia e chiede all’Agenzia se tale concessione possa precludere il riconoscimento della retribuzione convenzionale.
A questo riguardo, nel testo dell’interpello viene richiamato l’articolo 15, paragrafo 1, del modello OCSE di convenzione per eliminare le doppie imposizioni in cui si legge:
“(...) per individuare lo Stato contraente in cui si considera effettivamente svolta la prestazione lavorativa, bisogna avere riguardo al luogo dove il lavoratore dipendente è fisicamente presente quando esercita le attività per cui è remunerato”.
Viene ulteriormente precisato, poi, che lo Stato nel quale “rileva fiscalmente il reddito”, ossia dove tale reddito viene tassato, non si identifica nel Paese in cui i risultati della prestazione lavorativa sono utilizzati dal lavoratore distaccato, ma dove viene svolta l’attività da cui tali risultati derivano.
Se, quindi, la dipendente svolge la propria attività in smart working, se pure alle dipendenze della società tedesca con sede in Germania, ma fisicamente si trova in Italia, il periodo corrispondente non può rientrare nel computo dei 183 giorni annuali.
“Sulla base di quanto illustrato, pertanto, nella fattispecie in esame il requisito del soggiorno nel Paese estero per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di dodici mesi (...) non si ritiene rispettato qualora nel predetto arco temporale la dipendente distaccata in Germania svolga la prestazione lavorativa nel nostro Paese in modalità di lavoro agile, soggiornando, pertanto, all’estero per un periodo non superiore a 183 giorni”.
Conclude, infatti, l’Agenzia delle Entrate.
Retribuzione convenzionale: condizioni e requisiti richiamati dall’Agenzia delle Entrate
Con la risposta all’interpello del 14 settembre l’Agenzia delle Entrate riepiloga la normativa di riferimento.
Si tratta del già citato articolo 51, comma 8-bis, del TIUR che infatti stabilisce:
“Il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali (...)”.
In altri termini, per i lavoratori che svolgono l’attività lavorativa all’estero ma che continuano ad essere qualificati come residenti fiscali in Italia, il reddito da lavoro è tassato assumendo come base imponibile la retribuzione convenzionale stabilita annualmente dal decreto ministeriale citato, senza che sia preso in considerazione lo stipendio effettivamente percepito.
In particolare, tale disciplina trova applicazione quando siano rispettate le seguenti condizioni:
- il lavoratore distaccato all’estero deve essere inquadrato in una delle categorie per le quali il decreto del Ministero fissa la retribuzione convenzionale;
- l’attività lavorativa deve essere svolta all’estero con natura di permanenza o di sufficiente stabilità;
- l’attività lavorativa svolta all’estero deve costituire l’oggetto esclusivo del rapporto di lavoro e, pertanto, l’esecuzione della prestazione lavorativa sia integralmente svolta all’estero;
- il lavoratore nell’arco di dodici mesi deve soggiornare nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni.
È proprio questo ultimo requisito che viene chiarito nella risposta all’interpello in oggetto: il criterio per individuare le regole sulla tassazione applicabili sul reddito da lavoro dipendente è quello della presenza fisica del lavoratore nello Stato in cui viene effettuata la prestazione lavorativa.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Smart working in Italia del distaccato all’estero: quando applicare la retribuzione convenzionale?