Smart working per più di 7 milioni di lavoratori nel corso del 2021. Lo rileva un'indagine dell'INAPP, Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche pubbliche, diffusa il 26 gennaio 2022. L'emergenza sanitaria ha fatto crescere il lavoro da remoto, e quasi la metà dei lavoratori vorrebbe continuare. Non si nascondono le criticità dovute all'isolamento all'aumento delle bollette delle utenze domestiche.
Smart working, nel 2021 sono stati ben 7.262.999 i lavoratori a distanza in Italia, il 32,5 per cento degli occupati.
Prima della pandemia erano occupati in modalità agile 2.458.210 persone, pari a solo l’11 per cento del totale. In pochi mesi, sotto la “frusta” del Covid si è compiuto un colossale balzo in avanti.
A riportarlo è una ricerca dell’INAPP, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche pubbliche, intitolata “Il lavoro da remoto: le modalità attuative, gli strumenti e il punto di vista dei lavoratori”, basata su dati rilevati da un’indagine Plus con un campione di oltre 45.000 intervistati nel periodo che va dal mese di marzo a luglio 2021.
Lo studio dell’INAPP non rileva soltanto l’estensione del fenomeno lavoro da remoto, ma anche le differenze esistenti tra aziende private e mondo del pubblico impiego, con quest’ultimo decisamente in ritardo e, in generale l’atteggiamento, dei dipendenti nei confronti delle nuove modalità di prestazione.
Smart working, INAPP: oltre 7 milioni i lavoratori da remoto nel 2021
La ricerca dell’INAPP ci conferma che il lavoro da remoto in Italia ha avuto un’espansione enorme in coincidenza con la pandemia da coronavirus; almeno per quel che riguarda la Pubblica Amministrazione non si tratta di una novità, come sapranno i nostri lettori.
L’indagine diffusa il 26 gennaio 2022, oltre ad aggiornare i dati del fenomeno alla prima metà del 2021, ci consente però anche di effettuare un confronto sulla diffusione del lavoro agile nel privato e nella PA.
Così apprendiamo, ad esempio, che l’anno scorso la metà degli intervistati era impegnata a distanza da 3 a 5 giorni alla settimana e soltanto l’11,6 per cento lavorava fuori dall’ufficio soltanto per un giorno.
Il contesto emergenziale in cui si è sviluppato il lavoro a distanza emerge chiaramente dal fatto che per la maggior parte non vi è stata alcuna formalizzazione del cambiamento di modalità di prestazione lavorativa, ovvero nel 37 per cento dei casi.
Nel 16,5 per cento il cambiamento organizzativo è avvenuto tramite un accordo collettivo (quindi presumibilmente attraverso l’intermediazione delle organizzazioni sindacali) e nel 14,3 per cento tramite accordo individuale.
Molto interessante, infine, il quadro che si delinea nell’assetto futuro dei territori e nel destino stesso delle grandi città, nel caso in cui lo smart working si imponesse come fenomeno di massa anche dopo l’emergenza sanitaria.
In effetti, l’indagine ha rilevato che 1 occupato su 3 si sposterebbe in un piccolo centro e 4 su 10 addirittura in luoghi isolati per rimanere maggiormente in contatto con la natura.
- INAPP, “Oltre 7,2 milioni di occupati lavorano da remoto, il 61 per cento di questi almeno 3 giorni a settimana”
- Comunicato stampa del 26 gennaio 2022
INAPP, il lavoro agile nel 2021 tra privato, PA e giudizio dei lavoratori
Pertanto, gli ultimi due anni hanno visto l’imporsi del lavoro agile, ma la prestazione a distanza non si è diffusa omogeneamente nel settore pubblico e privato. Cosa ci dice in merito l’INAPP?
Sia nelle imprese private, sia nel comparto pubblico sono state attivate delle strumentazioni che consentissero forme di lavoro da remoto o di smart working, sebbene con percentuali piuttosto differenziate:
- piattaforme digitali per le riunioni a distanza sono state impiegate nel 71,5 per cento nella pubblica amministrazione e nel 64,4 per cento nel privato;
- situazione ribaltata per quel che riguarda la disponibilità di dispositivi informatici che sono stati forniti ai dipendenti nel 62,1 per cento delle imprese private e solo nel 41,9 per cento delle amministrazioni pubbliche;
- il settore privato si conferma avanti anche nella formazione per il 46,8 per cento dei casi (del resto gli scarsi investimenti della PA in questo settore sono confermati anche qui), nella fornitura di attrezzature ergonomiche per i lavoratori per il 25,7 per cento e persino nell’erogazione di un contributo per chi lavora a distanza nel 22,2 per cento dei casi.
Peraltro, come già confermato da altre ricerche, i lavoratori sembrano apprezzare lo smart working e in genere il lavoro a distanza. La ricerca INAPP rileva infatti che il 46 per cento vorrebbe proseguire a lavorare da remoto almeno per un giorno alla settimana e quasi 1 su 4 per 3 o più giorni a settimana.
Ai lavoratori non sfuggono comunque le possibili criticità, che sono rappresentate dall’isolamento per il 64 per cento dei casi, nelle difficoltà di rapporto con i colleghi nel 60 per cento, mentre oltre il 60 per cento denuncia l’aumento delle bollette derivato dal lavoro domestico, senza contare i rischi della difficoltà a disconnettersi che possono trasformare il lavoro a distanza in una sorta di cottimo.
Ad esempio il 49 per cento degli intervistati ha dichiarato di poter staccare solo in occasione della pausa pranzo. Un dato su cui riflettere e su cui è necessaria una apposita normativa.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Smart working, INAPP: oltre 7 milioni i lavoratori da remoto nel 2021