L'Amministrazione finanziaria può contestare il credito inserito nella dichiarazione, in sede di rimborso di imposte dirette o di eccedenza IVA, anche oltre i termini di accertamento. La decadenza riguarda esclusivamente i crediti erariali
In sede di rimborso di imposte dirette o dell’eccedenza IVA detraibile, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento o per la rettifica dell’imponibile e dell’imposta dovuta, senza che abbia adottato alcun provvedimento, atteso che i termini decadenziali attengono ai soli crediti erariali.
Questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 35518 del 19 dicembre 2023.
Rimborso IVA e imposte dirette: i chiarimenti della Corte di Cassazione
La vicenda processuale ha origine dal ricorso proposto da una società fallita avverso il silenzio-rifiuto di rimborso dell’eccedenza IVA formata nel periodo di imposta 2005 (ante fallimento), risultante dalla dichiarazione IVA dell’anno 2006 e riportata a nuovo nei periodi di imposta successivi.
L’eccedenza è stata poi chiesta a rimborso dal Fallimento nel 2012 quale minor credito dell’ultimo triennio ex art. 30, terzo comma, DPR 26 ottobre 1972, n. 633.
L’Amministrazione finanziaria ha dedotto l’esistenza di un minor credito di imposta, in forza dell’emissione di quattro note di rettifica da parte dell’originario emittente, creditore del Fallimento, non contabilizzate dal cessionario dichiarato fallito.
Da parte sua, la società contribuente ha invocato la cristallizzazione dell’eccedenza IVA, mai oggetto di rettifica da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Il ricorso è stato respinto in entrambi i gradi di giudizio. La CTR, in particolare, rigettava l’appello ritenendo che, in materia di rimborso di eccedenza di imposta, non opera la cristallizzazione del credito, non potendo la decadenza dell’Amministrazione finanziaria dalla potestà di accertamento di maggiori debiti di imposta precludere il disconoscimento dei crediti chiesti a rimborso relativi ai periodi di imposta per i quali era decorso il termine per l’accertamento.
Avverso tale decisione la società ha proposto ricorso per cassazione lamentando, per quanto di interesse, violazione e falsa applicazione dell’art. 6, commi 2 e 5, L. 27 luglio 2000, n. 212, degli artt. 39, terzo e quinto comma, 54, primo comma, 57, primo comma DPR n. 633/1972, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che l’omesso esercizio della potestà di accertamento non preclude la contestazione del credito chiesto a rimborso.
La Corte di Cassazione ha definito infondati i motivi di doglianza della società ricorrente e ha rigettato il ricorso.
Con la sentenza in commento il Collegio di legittimità ha aderito all’orientamento già espresso da passata giurisprudenza secondo cui, sia in sede di rimborso di imposte dirette (Cass., SS.UU., 15 marzo 2016, n. 5069), sia in sede di rimborso dell’eccedenza IVA detraibile (Cass., SS.UU., 29 luglio 2021, nn. 21765 e 21766), l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento o per la rettifica dell’imponibile e dell’imposta dovuta, senza che abbia adottato alcun provvedimento, atteso che i termini decadenziali attengono ai soli crediti erariali.
Non può ascriversi a violazione dei diritti costituzionali del contribuente la circostanza che l’attività amministrativa di imposizione risponda a tempi certi, perché nel caso di specie non si verte in tema di attività impositiva, bensì di diritto di credito del contribuente e del relativo onere della prova.
A tale riguardo non osta il disposto dell’art. 57 DPR n. 633/1972, che riferisce la decadenza anche ai crediti da rimborso IVA, in quanto detta norma si riferisce alla sottostima del debito di imposta indotta da accertamenti sul maggior debito - che costituisce contestazione di credito di imposta indotto da ulteriore accertamento - non anche dall’insussistenza del credito derivante da una originaria eccedenza di imposta esposta a credito (Cass., SS.UU., n. 21766/2021, cit.).
La Corte di cassazione ha inoltre affermato che non può considerarsi precluso l’esercizio del diritto di credito per il fatto che la legge limita a dieci anni l’obbligo di conservazione delle scritture contabili, non potendosi confondere l’obbligo di conservazione della documentazione contabile con l’onere di fornire la prova in giudizio del proprio credito.
Il creditore che intende far valere un proprio diritto la cui prova rinvenga da documentazione ultradecennale - come, nella specie, trattandosi di credito IVA attinente alla dichiarazione IVA del periodo di imposta 2006 - ha, pertanto, l’onere di conservare la suddetta documentazione anche oltre il termine di cui all’art. 2220 c.c.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: L’Amministrazione finanziaria può disconoscere sine die il credito chiesto a rimborso