In quale caso, se l’avviso di accertamento è preceduto da verifiche o accessi, il contribuente non deve assolvere alla prova di resistenza? Il principio nell’Ordinanza della Corte di Cassazione
Nel caso in cui l’avviso di accertamento sia preceduto da verifiche o accessi presso i luoghi di pertinenza dell’imprenditore, non è necessario che il contribuente assolva alla cosiddetta “prova di resistenza” perché il legislatore ha già valutato in astratto la necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale attraverso il rispetto dello spatium deliberandi di 60 giorni, con conseguente nullità dell’avviso emesso prima del decorso di quel termine.
La rilevanza penale delle violazioni contestate e l’entità degli importi evasi, tutti elementi che, seppur in astratto, possono giustificare l’anticipazione della notifica dell’atto impositivo, devono essere accompagnati da concrete e precise circostanze, riferite al contribuente e al rapporto tributario in questione, che dimostrino l’urgenza di provvedere ante tempus.
Questo l’importante principio contenuto nell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 16764/2024.
La rilevanza penale delle violazioni non sana l’atto impositivo emesso ante tempus
Nel seguente procedimento una società proponeva ricorso contro l’avviso di accertamento per IVA, accolto parzialmente dalla CTP.
Contro questa sentenza l’Agenzia delle Entrate proponeva appello, rigettato dalla CTR che accoglieva, invece l’appello incidentale della contribuente, ritenendo fondata l’eccezione concernente il mancato rispetto del termine dilatorio di cui all’articolo 12, comma 7, della legge n. 212/2000 tra la conclusione della verifica della Guardia di finanza, di cui al PVC del 29 ottobre 2008, e la notifica dell’avviso di accertamento in data 4 dicembre 2008.
I giudici di merito rilevavano l’assenza di motivazione in ordine alle ragioni d’urgenza che avevano giustificato l’emissione anticipata dell’atto, la mancanza del pericolo di incorrere nella decadenza del potere impositivo al 31 dicembre dell’anno in corso (perché il termine dilatorio sarebbe scaduto il 28 dicembre 2008) e l’insufficienza del dato dell’ingente valore economico dell’accertamento che non può di per sé costituire motivo d’urgenza.
L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza di secondo grado per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000 laddove la CTR ha escluso la ricorrenza di una situazione d’urgenza e non ha verificato la ricorrenza della prova di resistenza e ha ritenuto superfluo l’esame della prova di resistenza che la parte avrebbe dovuto fornire.
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondati i motivi e ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
Quando non è necessario assolvere alla prova di resistenza?
Per quanto riguarda il profilo relativo alla ricorrenza oggettiva di ragioni d’urgenza, l’Agenzia ha evidenziato la gravità delle condotte contestate, aventi rilievo penale, ed il coinvolgimento della società in una frode fiscale in materia di IVA per importi assai ingenti.
Nel ritenere inammissibile le ragioni dell’Amministrazione finanziaria, la Corte di Cassazione ha osservato che, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto ad accessi, ispezioni o verifiche fiscali, l’inosservanza del termine dilatorio di 60 giorni dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, previsto ex art. 12, comma 7, L. n. 212/2000 per l’emanazione dell’avviso di accertamento comporta la nullità dell’atto, salvo che l’Amministrazione finanziaria non provi la ricorrenza di ragioni d’urgenza, determina di per sé la nullità insanabile dell’atto impositivo, indipendentemente dalla natura del tributo accertato, sia esso armonizzato o non armonizzato.
Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito, la cui sussistenza deve essere dimostrata dall’Amministrazione finanziaria e vagliata dall’organo giudicante secondo un giudizio prognostico ex ante, relazionato cioè ad elementi o fatti emergenti in epoca anteriore e non posteriore alla notificazione dell’avviso di accertamento.
Le ragioni di urgenza devono consistere in elementi di fatto che esulano dalla sfera dell’ente impositore e fuoriescono dalla sua diretta responsabilità, sicché non possono in alcun modo essere individuate nell’imminente scadenza del termine decadenziale dell’azione accertativa.
Spetta all’Ufficio erariale offrire come giustificazione dell’urgenza la prova, sulla base di fatti concreti e precisi, che l’emissione dell’avviso in prossimità del maturare dei termini decadenziali sia dipesa da fattori ad essa non imputabili che hanno inciso al punto da rendere comunque necessaria l’attivazione dell’accertamento, pena la dissoluzione della finalità di recupero delle imposte non versate.
Nel caso de qua l’Agenzia delle Entrate si limita ad evidenziare la rilevanza penale delle violazioni contestate e l’entità degli importi evasi, tutti elementi che sicuramente, in astratto, possono giustificare l’anticipazione della notifica dell’atto impositivo ma devono essere accompagnati da concrete e precise circostanze, riferite al contribuente e al rapporto tributario in questione, che dimostrino l’urgenza di provvedere ante tempus.
Per quanto riguarda invece il tema della “prova di resistenza”, la Corte ha ribadito che la sanzione della nullità dell’atto emanato anticipatamente rispetto ai tempi di legge opera anche nell’ipotesi di tributi “armonizzati”, senza che, pertanto, ai fini della relativa declaratoria debba essere effettuata la prova di resistenza, invece necessaria, per i soli tributi “armonizzati”, ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti cd. a tavolino), ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione “ex post” sul rispetto del contraddittorio.
In altri termini, nel caso in cui l’accertamento sia preceduto, come in questo caso, da verifiche o accessi presso i luoghi di pertinenza dell’imprenditore, non è necessario che il contribuente assolva alla prova di resistenza perché il legislatore ha già valutato in astratto la necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale attraverso il rispetto dello spatium deliberandi di 60 giorni, con conseguente nullità dell’avviso emesso prima del decorso di quel termine.
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