Redditometro e impugnazione dell'avviso di accertamento: se si offre adeguata prova contraria per dimostrare l'inesistenza della maggior pretesa erariale, deve essere effettuato un esame analitico della documentazione. Lo stabilisce la Corte di Cassazione con l'Ordinanza numero 18178 del 7 giugno 2022.
In caso di impugnazione dell’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate ha determinato il reddito imponibile della persona fisica mediante il cd. redditometro, se il contribuente accertato offre l’idonea prova contraria a dimostrare l’inesistenza della maggior pretesa erariale, il giudice tributario non può limitarsi ad un giudizio sommario, ma deve effettuare un esame analitico della documentazione entrata nel processo.
Questo il contenuto dell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 18178 del 7 giugno 2022.
- Corte di Cassazione - Ordinanza numero 18178 del 7 giugno 2022
- Il testo integrale dell’Ordinanza della Corte di Cassazione numero 18178 del 7 giugno 2022
I fatti – La controversia ha preso le mosse dall’impugnazione da parte di una contribuente di due avvisi di accertamento ai fini IRPEF emessi dall’Agenzia delle entrate sulla base del cd. “redditometro”.
In particolare la contribuente aveva giustificato il maggior reddito accertato presuntivamente dichiarando che le spese, considerate indice di maggior capacità contributiva, fossero state finanziariamente sostenute dal proprio convivente. Tale giustificazione non è stata ritenuta idonea dall’Ufficio per superare la presunzione di maggior reddito perché negli anni accertati la contribuente non era legalmente coniugata con il soggetto, indicato come “sovvenzionante”.
Il ricorso è stato accolto dai giudici della CTP ma la CTR ha poi riformato la sentenza di primo grado, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle Entrate. In particolare i giudici d’appello hanno ritenuto sic et sempliciter che la contribuente non fosse stata in grado di fornire prove contrarie adeguate rispetto alle presunzioni originanti gli accertamenti.
La soccombente contribuente ha impugnato la sentenza di merito dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando violazione dell’art. 38 del D.P.R. 600 del 1973 nella parte in cui il Collegio di merito non aveva valorizzato il fatto che le spese fossero state finanziate anche dall’allora convivente, affermando di fatto una disparità di trattamento tra “famiglia fiscale legale” e “famiglia di fatto”.
I giudici di piazza Cavour hanno accolto le doglianze della contribuente in merito alla “non adeguatezza” della prova contraria fornita in sede amministrativa e giudiziale.
Si premette che, in materia di ripartizione dell’onere probatorio in caso di accertamento cd. Sintetico ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973, è consolidato il principio per cui la prova contraria a carico del contribuente ha ad oggetto non soltanto la disponibilità di redditi ulteriori rispetto a quelli dichiarati, in quanto esenti o soggetti a ritenute alla fonte, ma anche la documentazione di circostanze sintomatiche che ne denotano l’utilizzo per effettuare le spese contestate e non altre, dovendosi in questo senso intendere il riferimento alla prova della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso.
Nel caso di specie nessuna valutazione in tal senso è stata compiuta dal giudice di merito il quale si è limitato ad affermare che la contribuente non avesse saputo fornire prove contrarie adeguate rispetto alle presunzioni originanti gli accertamenti che, dunque, dovevano essere confermati.
In particolare il giudice non ha espresso alcuna valutazione a riguardo, limitandosi a censurare la sentenza di primo grado in quanto basata sulla distinzione, decisiva, tra “famiglia fiscale” legale e “famiglia di fatto”, effettivo presupposto degli avvisi di accertamento impugnati. Così facendo non è stato reso percepibile il fondamento della decisione ed è stato celato il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento.
Per tale motivo il giudizio è stato rinviato alla CTR con la statuizione del principio di diritto applicabile ad un caso, come quello di specie, del contenzioso tributario conseguente all’impugnazione di accertamenti sintetici-induttivi mediante redditometro.
In particolare per la determinazione della maggiore pretesa fiscale, all’inversione dell’onere della prova, che impone al contribuente l’allegazione di prove contrarie a dimostrazione dell’inesistenza del maggior reddito attribuito dall’Ufficio deve seguire, in caso di adempimento, un esame analitico da parte del giudice tributario.
Questi infatti non può limitarsi a giudizi sommari, privi di ogni riferimento alla massa documentale entrata nel processo relativa agli indici di spesa perché la ripartizione dell’onere probatorio delineato sopra costituisce un principio a tutela della parità delle parti e del regolare contraddittorio processuale. Sulla base di tali motivazioni la Corte di Cassazione ha accolto il motivo di ricorso della contribuente e ha cassato la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR in diversa composizione.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Redditometro: no ai giudizi sommari del giudice tributario