Pubblicità, propaganda e sponsorizzazione: il trattamento fiscale

Gianfranco Antico - Dichiarazione dei redditi

Qual è il corretto trattamento delle spese di pubblicità, propaganda e sponsorizzazione? La presunzione assoluta di inerenza e congruità delle sponsorizzazioni pubblicitarie a favore delle imprese sussiste laddove sono soddisfatti determinati requisiti

Pubblicità, propaganda e sponsorizzazione: il trattamento fiscale

L’art. 90, comma 8, della legge finanziaria 2003 (n. 289/2022) - laddove, a fronte delle erogazioni dello sponsor, lo sponsee si impegna ad una serie di attività promozionali - ha riconosciuto, a favore del solo “soggetto erogante” il corrispettivo e non, invece, a favore dell’associazione sportiva che riceve l’erogazione di denaro, una presunzione legale assoluta circa la natura pubblicitaria di tali spese.

Resta ferma la necessità di provare da parte del contribuente le due condizioni per l’applicabilità dell’art. 90, comma 8, cit., e cioè l’effettiva corresponsione delle somme a titolo di sponsorizzazione per la promozione dei prodotti dallo stesso commercializzati e a specifica attività del beneficiario della stessa.

È questo il principio dettato dall’ordinanza della Corte di Cassazione n.26368 del 12 settembre, che affronta ancora una volta la questione relativa alle sponsorizzazioni.

Pubblicità, promozione e propagando: analisi di un caso pratico

Un contribuente - esercente “attività di agente e rappresentante di carta, cartoleria e cancelleria” - propone ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale il giudice di secondo grado aveva accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza di primo grado, di accoglimento del ricorso proposto contro l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio aveva recuperato dei costi relativi a contratti di sponsorizzazione stipulati, ritenuti non documentati, non congrui e non inerenti all’attività di impresa svolta.

In particolare, si denuncia “l’errata interpretazione e falsa applicazione della L. n. 289/2002 e del D.P.R. n. 917/1986” per avere la CTR ritenuto legittimo l’avviso di accertamento in questione, applicando alle spese di sponsorizzazione della L. n. 289/2002 sostenute dal contribuente i principi ordinari di inerenza e congruità di cui all’art. 109, comma 5, del TUIR:

“sebbene la deducibilità delle spese di sponsorizzazione ex art. 90 cit. fosse condizionata soltanto alla sussistenza dei presupposti, rinvenibili nel caso di specie, della avvenuta erogazione da parte del contribuente alle due associazioni sportive delle somme a titolo di sponsorizzazione per la promozione dei prodotti dallo stesso commercializzati e dell’attività svolta a tal fine dai soggetti beneficiari.”

Il pensiero degli Ermellini

Osservano gli Ermellini che la sentenza impugnata benché conforme a diritto nel dispositivo, risulta erroneamente motivata nella parte in cui statuisce la necessaria prova della congruità ed inerenza delle spese di sponsorizzazione ex art. 90, comma 8, della L. 289/02, con conseguente possibile correzione della stessa nei termini che seguono.

In linea generale, ai sensi dell’art. 108 del D.P.R. n. 917 del 1986, il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obiettivi perseguiti, atteso che le prime sono sostenute per accrescere il prestigio della impresa, senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, se non in via mediata e indiretta attraverso il conseguente aumento della sua notorietà e immagine, mentre le seconde hanno una diretta finalità promozionale di prodotti e servizi commercializzati, mediante l’informazione ai consumatori circa l’esistenza di tali beni e servizi, unitamente all’evidenziazione e all’esaltazione delle loro caratteristiche e dell’idoneità a soddisfarne i bisogni, in modo da incrementare le relative vendite (Cass. n. 10440/2021; Cass. n. 3087/2016).

Di norma, osserva la Corte, che richiama una serie di precedenti, le spese di sponsorizzazione costituiscono spese di rappresentanza, deducibili nei limiti della disposizione menzionata, ove il contribuente non provi che all’attività sponsorizzata sia riconducibile una diretta “aspettativa di ritorno commerciale” (Cass. n. 3433; Cass. n. 10914/2015; Cass. n. 5720/2016).

Pertanto, laddove non vi sia alcun nesso tra l’attività sponsorizzata e quella posta in essere dallo sponsor, le relative spese non possono essere considerate di pubblicità, e come tali integralmente deducibili, ma devono ritenersi spese di rappresentanza soggette ai limiti previsti dall’art. 108 del TUIR e dalle disposizioni secondarie attuative (Cass. n. 5720/2016).

Sulla questione, gli Ermellini richiamano due documenti di prassi:

  • la circolare n. 21/E del 22 aprile 2003, con cui l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che: “La disposizione in esame introduce, in sostanza, ai fini delle imposte sui redditi, una presunzione assoluta circa la natura di tali spese, che vengono considerate - nel limite del predetto importo - comunque di pubblicità e, pertanto, integralmente deducibili per il soggetto erogante ai sensi dell’art. 74, comma 2, del t.u.i.r. nell’esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell’esercizio medesimo e nei quattro anni successivi”;
  • la risoluzione n. 57/E del 23 giugno 2010, secondo cui “la fruizione dell’agevolazione in esame è subordinata alla sussistenza delle seguenti condizioni:
    1. i corrispettivi erogati devono essere necessariamente destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante;
    2. deve essere riscontrata, a fronte dell’erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima.”

Per i giudici di Piazza Cavour, in tema di detrazioni fiscali, le spese di sponsorizzazione di cui all’art. 90, comma 8, della L. n. 289 del 2002, sono assistite da una “presunzione legale assoluta” circa la loro natura pubblicitaria, e non di rappresentanza”, a condizione che:

  • il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica;
  • sia rispettato il limite quantitativo di spesa;
  • la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor;
  • il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale (Cass. n. 14232/2017), «senza che rilevino, pertanto, requisiti ulteriori» (Cass. n. 8981/2017; v., altresì, Cass. n. 7202/2017; Cass. n. 1420/2018; Cass. n. 13508/2018, nonché Cass. n. 22855/2018; Cass. n. 8540/2020).

Per quel che, invece, attiene all’altro profilo, il citato art. 90, comma 8, costituisce norma speciale, destinata a derogare anche al regime generale di deducibilità dei costi previsto dall’art. 109 del t.u.i.r., trattandosi di disposizione che detta peculiari condizioni di deducibilità delle spese di pubblicità che rispondono alle specifiche esigenze del settore di riferimento, ossia delle compagini sportive dilettantistiche.

I giudici richiamano il pensiero della dottrina, secondo cui:

“la norma intende perseguire finalità diverse che, con tutta evidenza, possono essere rintracciate nella voluntas legis di approntare un regime agevolativo per quei soggetti che decidono di investire nello sport amatoriale e di favorire - tramite la leva fiscale - la diffusione di questo genere di attività giudicate socialmente utili e degne di protezione, stante anche la rilevanza costituzionale dello sport. In sostanza, il legislatore ha stabilito una presunzione assoluta di deducibilità del costo, rendendo non sindacabile la scelta dell’imprenditore di promuovere il nome, il marchio o l’immagine attraverso iniziative pubblicitarie nel settore sportivo dilettantistico. Non si può, quindi, negare lo scomputo dei costi di sponsorizzazione sulla base di una asserita assenza di una diretta aspettativa di ritorno commerciale, atteso che una tale soluzione non si porrebbe neppure in linea con la stessa nozione di inerenza, come delineatasi nel tempo, che è di natura qualitativa e non quantitativa (Cass. n. 33030/2018; Cass. n. 33120/2019; Cass. n. 6017/2020), e non è dunque più basata sulla necessaria riconducibilità dell’onere alla percezione di ricavi da parte dell’impresa che sostiene il costo.”

Neppure:

“secondo la dottrina, è consentita la contestazione della incongruità o dell’antieconomicità del costo, dal momento che nel campo delle sponsorizzazioni è improponibile, se non impossibile, individuare l’ammontare «congruo» di una sponsorizzazione, poiché queste spese, di solito, sono sostenute nella prospettiva di aumentare i ricavi, senza la ben che minima garanzia che tale obiettivo possa essere davvero conseguito.”

E pertanto:

“il peculiare regime approntato dall’art. 90, comma 8, citato, come evidenziato dalle recenti pronunce di questa Corte, in forza della sua natura agevolativa, fissa una presunzione assoluta di inerenza e congruità delle sponsorizzazioni rese a favore di imprese sportive dilettantistiche laddove risultino soddisfatti i requisiti sopra indicati, ossia che i corrispettivi erogati siano destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante e sia riscontrata, a fronte dell’erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima (Cass. n. 21333/2017; Cass. n. 1420/2018; Cass. n. 11797/2019; Cass. n. 17973/2018; Cass. n. 8540/2020; Cass. n. 21452/2021 e n. 18510/2022), e consente, di conseguenza, di ritenere integralmente deducibili tali spese dal soggetto sponsor.”

Le conclusioni della Corte di Cassazione

Osserva la Corte che, nel caso di specie, nella sentenza impugnata, se è vero che la CTR ha erroneamente affermato - e sul punto va corretta la motivazione nei termini di cui sopra - che, ai fini della deducibilità delle spese di sponsorizzazione ex art. 90, comma 8, della L. 289/2002, dovesse essere fornita la dimostrazione anche della loro congruità ed inerenza, requisiti, nella specie, ritenuti non provati dal contribuente atteso che, quanto alla congruità dei costi, “non si era verificato alcun significativo incremento dei ricavi nè dei redditi” dello stesso e quanto all’inerenza, considerato che il contribuente, agente e rappresentante di carta e cartoleria, aveva emesso fatture per provvigioni nei confronti dell’unica società (Omissis) Srl operante nel settore della cartoleria, “non era palese quale e in quale misura sussistesse il nesso economico e commerciale... anche soltanto potenziale tra promozioni mediante i mezzi pubblicitari menzionati, aumento delle vendite di prodotti altrui e aumento delle provvigioni da parte del sponsorizzante”, la CTR, nell’escludere - con un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità - che la società avesse fornito la prova documentale delle spese in questione (per irregolarità dei contratti, delle fatture e delle ricevute prodotte):

“ha sostanzialmente ritenuto non provate dal contribuente le due condizioni per l’applicabilità dell’art. 90, comma 8, cit. della effettiva corresponsione da parte del contribuente delle somme a titolo di sponsorizzazione per la promozione dei prodotti dallo stesso commercializzati e della specifica attività del beneficiario della stessa.”

In particolare, come osservato dal giudice di appello, il contratto stipulato con l’(Omissis) riportava una data (1/4/2007) di sottoscrizione successiva a quella di instaurazione del rapporto (dal 1/1/2007 al 31/12/2007), l’indicazione assolutamente generica degli obblighi della beneficiaria e delle modalità di pagamento delle sponsorizzazioni, neanche indicate sulle fatture emesse in numero di due anziché, come previsto, di una sola; ugualmente il contratto stipulato con la (Omissis) recava la data del 1.11.2007, successiva alla conclusione del rapporto (dal 1/9/2006 al 30/5/2007), le fatture emesse dall’Associazione riportavano date non ricadenti nel periodo di vigenza del contratto, prive di alcuna indicazione delle modalità di pagamento di detti importi e le copie delle ricevute di pagamento emesse dalla ASCV indicavano una data antecedente a rispetto a quella della prima fattura (pag. 2-3 della sentenza impugnata).

Sulla base di tali riscontrate irregolarità la CTR ha ritenuto “non giustificate documentalmente” le spese di sponsorizzazione e, pertanto, sostanzialmente non provate le condizioni per l’applicabilità dell’art. 90, comma 8, cit., della erogazione dei corrispettivi da parte dello sponsor e dello svolgimento, a fronte dell’erogazione, di una specifica attività del beneficiario della medesima.

Da qui il rigetto del ricorso del contribuente.

Brevi note fra norma e prassi

Come è noto, il comma 8, dell’art. 90, della L.n. 289/2002 prevede che il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonché di associazioni sportive scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuta dalle Federazioni sportive nazionali o da enti di promozione sportiva costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario.

Il limite è elevato a 400.000 euro, per effetto della L.n.232/2016, che alla L.289/2002 ha aggiunto, in fine, il seguente periodo: “A decorrere dal periodo di imposta in corso alla data del 1° gennaio 2017, l’importo è elevato a 400.000 euro”.

Norma oggi traslata nell’art. 12, comma 3, del D.Lgs.n. 36/2021, in vigore dal 1° luglio 2023, secondo cui:

“Il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonché di associazioni sportive scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuti dalle Federazioni Sportive Nazionali o da Enti di Promozione Sportiva costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario, ai sensi dell’articolo 108, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.”

La circolare n. 21/E/2003 (punto 8) ha rilevato che detta disposizione introduce, in sostanza, ai fini delle imposte sui redditi, “una presunzione assoluta circa la natura di tali spese”, che vengono considerate - nel limite del predetto importo - comunque di pubblicità. Lo stesso documento di prassi ha comunque evidenziato che la fruizione dell’agevolazione in esame è subordinata alla sussistenza delle seguenti condizioni: i corrispettivi erogati devono essere necessariamente destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante; deve essere riscontrata, a fronte dell’erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima.

La successiva risoluzione n.57/E/2010 ha precisato che la norma individua l’importo annuo complessivo entro il quale i corrispettivi erogati a società ed associazioni sportive dilettantistiche costituiscono per presunzione assoluta spese di pubblicità.

Pertanto, nella circostanza in cui vengano erogati a società ed associazioni sportive dilettantistiche corrispettivi di ammontare superiore al predetto limite annuo complessivo, l’eccedenza sarà deducibile secondo le regole ordinarie recate dal TUIR. In particolare, l’eccedenza sarà deducibile come spesa di pubblicità e propaganda, a condizione che la natura del rapporto contrattuale presenti tutti i requisiti formali e sostanziali riscontrabili in un rapporto di sponsorizzazione o di altra prestazione pubblicitaria.

La giurisprudenza

In sede giurisprudenziale è stato affermato che la deducibilità del costo di sponsorizzazione è subordinata alla sussistenza di una correlazione della spesa con l’attività imprenditoriale nel suo complesso, risultando così superata la necessaria valutazione di congruità o l’utilità del costo rispetto ai ricavi, e l’anti economicità degrada a mero elemento sintomatico della carenza di inerenza (ordinanza n. 6368/2021).

Ancora la Cassazione, con l’ordinanza n.26733/2022, ha ritenuto che le spese di sponsorizzazione di cui all’art.90, comma 8, della L.n. 289/2002, sono assistite da una “presunzione legale assoluta” circa la loro natura pubblicitaria, e non di rappresentanza, a determinate condizioni.

E la Corte è nuovamente intervenuta con l’ordinanza n.4856/2023, che ha ribadito il seguente principio:

“i costi di sponsorizzazione sono deducibili dal reddito di impresa ove risultino inerenti all’attività stessa, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, esclusa ogni valutazione in termini di utilità, vantaggio o potenziale incremento per l’attività medesima» (ordinanza n. 30024/2021) e che

«In tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, l’inerenza dei costi di sponsorizzazione rispetto all’attività di impresa va intesa in senso qualitativo, come potenziale e indiretto beneficio per l’attività imprenditoriale, e non in senso meramente quantitativo, come utilità, concreto vantaggio o futuro incremento della stessa» (Sentenza n. 11324/2022).”

In questo caso, osservano i massimi giudici:

“la pronuncia del giudice tributario di appello è chiaramente distonica rispetto a tali ormai consolidati arresti giurisprudenziali, essendosi limitato a considerare l’entità (giudicata non proporzionata) dell’esborso in contestazione e la relazione tra lo stesso e l’oggetto dell’attività (sub-committenza) della società contribuente, non essendosi di contro valorizzato il profilo «qualitativo» dei costi in questione.”

In senso conforme Cassazione n. 4627/2023, secondo cui il peculiare regime approntato dall’art. 90, comma 8, della L.n. 289/2022, in forza della sua natura agevolativa, fissa una presunzione assoluta di inerenza e congruità delle sponsorizzazioni rese a favore di imprese sportive dilettantistiche laddove risultino soddisfatti i requisiti sopra indicati, ossia che i corrispettivi erogati siano destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante e sia riscontrata, a fronte dell’erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima e consente, di conseguenza, di ritenere integralmente deducibili tali spese dal soggetto sponsor (il recupero a tassazione, operato dall’ufficio, ai fini delle imposte dirette e dell’IVA, investiva gli importi di due fatture emesse da una associazione sportiva dilettantistica, per assenza di inerenza ex artt. 109 T.U.I.R. e D.P.R. n. 633/1972).

Questo sito contribuisce all'audience di Logo Evolution adv Network