In caso di cessione d'azienda, la plusvalenza rileva nell’anno in cui viene perfezionato il contratto
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In tema di imposte sui redditi, la plusvalenza derivante dalla cessione di azienda va dichiarata, inderogabilmente, nel periodo in cui si è formalmente realizzata, posto che gli effetti traslativi della proprietà si perfezionano con il consenso, restando irrilevanti i successivi profili di adempimento del pagamento del prezzo.
Questo il principio stabilito dalla Corte di cassazione con l’Ordinanza n. 2775/2025.
La plusvalenza da cessione d’azienda rileva nell’anno in cui si perfeziona il contratto
La contribuente aveva impugnato un avviso di accertamento contenente la ripresa a tassazione per l’importo equivalente alla plusvalenza da cessione di azienda che non aveva esposto in dichiarazione dei redditi per l’anno 2009.
Più specificamente, la contribuente aveva ceduto a un terzo il proprio esercizio commerciale per la somministrazione cibi e bevande e commercio al dettaglio di generi di monopolio ma, non essendo stato onorato il pagamento rateale, nell’anno successivo 2010 le parti procedevano ad una retrocessione e al trasferimento dell’immobile al figlio della contribuente e, successivamente, a questi giungeva anche la licenza per generi di monopolio.
Il giudice di primo grado respingeva il ricorso, ricordando l’irrilevanza dei profili civilistici ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 109 del DPR n. 917 del 1986, donde la plusvalenza avrebbe dovuto essere esposta nella dichiarazione dei redditi per il 2009, circostanza non avvenuta e che giustificava quindi la ripresa a tassazione operata dall’Ufficio.
Spiccava appello la parte contribuente, trovando accoglimento delle proprie ragioni sull’argomento per cui non aveva lucrato nel concreto alcuna somma, sicché non era tenuta a dichiarare alcun corrispettivo di cessione, avendo ricevuto solo un acconto figurativo.
L’Agenzia delle Entrate proponeva quindi ricorso per cassazione, lamentando violazione dell’articolo 109, comma 2, lettera a), del DPR n. 917 del 1986 e richiamando il disposto normativo per cui gli aspetti tributari restano autonomi da quelli civilistici, donde il corrispettivo deve essere indicato nell’anno in cui si perfeziona il contratto di cessione, senza tenere conto dei momenti differiti degli effetti giuridici di diritto privato.
In questo senso, la contribuente avrebbe dovuto esporre la plusvalenza nell’anno di imposta in cui si era perfezionato il contratto di cessione, in disparte il momento di effettiva percezione del prezzo.
Si oppone al ricorso la difesa della parte contribuente, richiamando la sentenza n. 5876/2014, in cui la Cassazione ha riconosciuto l’insussistenza di alcuna plusvalenza, per il fatto che non era stato lucrato alcun prezzo.
Più precisamente, si era affermato che:
“se è vero che la plusvalenza fiscalmente rilevante, collegata alla cessione di un’azienda, si realizza al momento della conclusione del contratto, mentre le vicende successive relative all’adempimento degli obblighi contrattuali od all’estinzione dell’obbligazione per effetto di una transazione con carattere novativo non hanno alcun rilievo (Cass. Sentenza n. 25326/2010), tuttavia va rilevato come il giudice di appello osservava che la cedente in realtà non aveva realizzato alcunché, dal momento che non aveva incassato l’importo della cessione, con la conseguenza, perciò, che alcuna plusvalenza poteva essersi determinata, costituendo tutto ciò un accertamento di fatto non sindacabile in questa sede (così Cass. n. 5876/2014).”
Il parere della Cassazione
La Corte di Cassazione ha quindi affermato che, in tema di imposte sui redditi, la plusvalenza derivante dalla cessione di azienda va dichiarata, inderogabilmente, nel periodo in cui si è formalmente realizzata, non rilevando l’incasso parziale del prezzo di vendita per effetto del fallimento della cessionaria, atteso che i due momenti integrano eventi (la realizzazione della plusvalenza nel modo suddetto e la successiva emersione di un componente negativo conseguente alla mancata corresponsione per intero del prezzo della cessione) fiscalmente autonomi, che vanno dichiarati - l’uno come guadagno, l’altro come perdita - nei distinti periodi in cui si verificano.
È infatti da evidenziare la circostanza che gli effetti traslativi della proprietà si perfezionano con il consenso, irrilevanti restando - per questo aspetto - i successivi profili di adempimento del pagamento del prezzo.
Detto diversamente, la circostanza che non sia stato pagato il prezzo, non esime dalla esposizione in dichiarazione dei redditi, ma si traduce nell’indicazione all’attivo nell’anno in cui il contratto è stipulato ed in uno speculare passivo per il successivo anno in cui il contratto viene sciolto ovvero modificato come nel caso in esame.
In questo senso, la mancata percezione del prezzo può essere fatta valere come perdita nella dichiarazione dell’anno successivo.
Da qui l’accoglimento del ricorso proposto dalla Parte pubblica.
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