Pensione di reversibilità e unioni civili: nessun assegno è dovuto se il titolare del trattamento è deceduto prima dell'avvento della Legge numero 76/2016. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 24694 del 14 settembre 2021 ritenendo non applicabile retroattivamente ai fini previdenziali la Legge Cirinnà e ribadendo l'esclusione della convivenza di fatto dalla misura.
Pensione di reversibilità e unioni civili: non è riconosciuta se il decesso del titolare della pensione è avvenuto prima dell’entrata in vigore della Legge Cirinnà.
Lo ha messo nero su bianco la Corte di Cassazione nella sentenza numero 24694 del 14 settembre 2021 che ha di fatto ritenuto illegittima l’applicazione retroattiva della Legge numero 76/2016 ai fini previdenziali.
La prestazione, ha ribadito la Cassazione, non può comunque essere attribuita al convivente di fatto, neppure in caso di morte successiva alla sua entrata in vigore.
La Suprema Corte, infatti, ha ribaltato la pronuncia del giudice di merito che aveva riconosciuto la pensione di reversibilità al convivente dopo la morte del titolare della pensione di vecchiaia anticipata corrisposta da INARCASSA, la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti.
Pensione di reversibilità e unioni civili: nessun assegno in caso di decesso prima del 2016
Con la sentenza del del 14 settembre la Cassazione coglie l’occasione per approfondire la disciplina delle presazioni previdenziali alla luce delle novità introdotte dalla Legge sulle unioni civili.
Nello specifico, l’Ente aveva rifiutato di corrispondere la prestazione proprio perché i due compagni non avevano mai contratto l’unione civile, ammessa solo dopo la morte del professionista. Il Tribunale di Milano, poi, aveva rigettato il ricorso del compagno superstite con una pronuncia poi riformata in secondo grado e, adesso, di nuovo ribaltata dalla Cassazione.
Alla base della propria decisione il giudice di primo grado aveva invocato il principio solidaristico che vede la pensione di reversibilità come una forma di tutela previdenziale legata ai diritti e doveri di coppia che, in forza articolo 2 della Costituzione, tutela e garantisce l’uguaglianza all’interno delle formazioni sociali.
Formazione sociale a cui corrisponde, secondo l’interpretazione del primo giudice, sia l’unione civile che la convivenza di fatto.
Tuttavia, e questa è la circostanza su cui si basa la decisione della Cassazione, da un parte i conviventi, per legge, non hanno diritto all’assegno, dall’altra la coppia non si è mai legata in un’unione civile, essendo venuto a mancare il titolare della pensione prima dell’avvento della Legge Cirinnà.
Quindi, anche se si volesse ipoteticamente applicare retroattivamente la norma, non ci sarebbero comunque i presupposti di fatto,
“(...) considerato che lo status di coniuge è definito dal codice civile come quello acquisito con il vincolo del matrimonio, l’odierno controricorrente non può conseguire la pensione di reversibilità, posto che detto status non ha mai rivestito, neppure nella sua forma equiparata ai sensi e per gli effetti della legge n. 76/2016”.
Si legge nelle motivazioni della decisione della Corte di Cassazione.
Pensione di reversibilità e Legge Cirinnà: differenza tra unione civile e convivenza di fatto
Per pensione di reversibilità si intende il trattamento pensionistico riconosciuto in caso di decesso del pensionato in favore dei familiari superstiti.
Una prestazione previdenziale che si applica anche all’unione civile tra due persone dello stesso sesso, equiparata al matrimonio per molti aspetti. Uno fra tutti, il diritto alla reversibilità.
Questo diritto, al contrario, non è riconosciuto nell’ipotesi di convivenza di fatto, anch’essa regolata dalla Legge Cirinnà, che consiste in un vincolo tra due persone, omosessuali o eterosessuali, unite da uno stabile legame affettivo e da un dovere di reciproca assistenza morale e materiale.
Ed è proprio su questo punto che la Corte d’Appello di Milano ha basato la sua decisione, poi cassata dagli Ermellini, argomentando nel modo seguente:
“(...) il diritto al trattamento di reversibilità - costituzionalmente garantito e rientrante tra i diritti/doveri di assistenza e solidarietà propri delle relazioni affettive di coppia, comprese quelle omosessuali stabili, che essendo escluse dal matrimonio non hanno potuto ufficializzare la propria relazione familiare - andava riconosciuto al partner superstite in applicazione diretta dell’art. 2 Cost.”.
Eppure, dichiara la Corte di Cassazione, questa impostazione contrasta con l’art. 11 delle preleggi del Codice Civile, secondo cui la legge dispone solo per il futuro: la coppia di conviventi non ha mai contratto un’unione civile e a nulla rileva il fatto che lo avrebbe fatto se fosse stato possibile.
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