Secondo i dati del XXI rapporto annuale INPS il 40 per cento dei pensionati italiani riceve meno di 1.000 euro al mese. Si tratta di un italiano su tre, considerando anche integrazioni e maggiorazioni. Più della metà dei pensionati poveri beneficia di trattamenti di vecchiaia o anticipati, a dimostrazione degli effetti della povertà lavorativa sulla contribuzione. L'introduzione del salario minimo potrebbe essere una delle soluzioni possibili.
Un pensionato su tre vive con meno di 1.000 euro al mese, incluse eventuali maggiorazioni o integrazioni.
Sono i dati del XXI Rapporto annuale dell’INPS, presentato lo scorso 11 luglio 2022.
I pensionati poveri, che ricevono meno di 10.000 euro l’anno, nella maggior parte dei casi percepiscono trattamenti di anzianità o anticipati del Fondo lavoratori dipendenti.
La povertà lavorativa, caratterizzata da precarietà e bassi salari, è sempre più pervasiva e si riscontra nella situazione pensionistica italiana.
Secondo l’Istituto, l’introduzione del salario minimo è una delle possibili soluzioni per contrastare il fenomeno. Inoltre, è necessario allargare la base dei contribuenti che invece tende a restringersi.
Un pensionato su tre ha ricevuto meno di 1.000 euro al mese nel 2021
Lo scorso 11 luglio l’INPS ha presentato il XXI Rapporto annuale sulle prestazioni erogate dall’Istituto.
Nel definire la condizione italiana in relazione al fenomeno della povertà lavorativa, che consiste in forte precarietà e basse retribuzioni, l’Istituto si è soffermato anche sulla situazione pensionistica del Paese.
Dai dati emerge come il 40 per cento dei pensionati italiani abbia ricevuto nel 2021 meno di 1.000 euro al mese. Considerando anche eventuali integrazioni o maggiorazioni la percentuale scende al 32 per cento, un italiano su tre.
Focalizzando l’attenzione sui pensionati più poveri, cioè le persone che percepiscono meno di 10.000 euro ogni anno, si riscontra come quasi nel 60 per cento dei casi questi ricevano una pensione di vecchiaia o anticipata dal Fondo pensione lavoratori dipendenti.
Solamente il 15 per cento dei pensionati che rientrano in questa fascia beneficia di un assegno sociale, il 26 per cento riceve invece una pensione ai superstiti.
Questi dati riflettono il fenomeno della povertà lavorativa, sperimentata dai lavoratori negli anni precedenti alla pensione, ma dilagante anche oggi. La precarietà e la temporaneità del lavoro hanno portato ad una riduzione dei contributi versati e all’aumento dei trattamenti di vecchiaia o anticipati, con importi più bassi.
Le donne, poi, sono ancora più penalizzate, nonostante siano la maggior parte delle persone pensionate: dei circa 16 milioni di pensionati in Italia, infatti, il 52 per cento sono donne.
Le pensionate percepiscono solamente il 44 per cento dei redditi derivanti dai trattamenti. L’importo medio mensile per gli uomini è di 1.884 euro lordi, mentre per le donne è di 1.374 euro, una differenza del 37 per cento.
Pensioni basse: il salario minimo come possibile soluzione
Guardando al futuro, come mostrato dall’analisi dell’INPS, la situazione non sembra migliorare, almeno non senza interventi strutturali importanti.
La povertà lavorativa sta portando in misura sempre maggiore al restringimento della base contributiva. La sostenibilità del sistema pensionistico nel medio periodo, dunque, assume una rilevanza importante anche per i pensionati futuri.
Secondo l’Istituto, intervenendo tempestivamente sulle retribuzioni di oggi è possibile arginare il fenomeno. In una simulazione proposta nel Rapporto, sono state ricostruite le contribuzioni dei nati tra il 1965 e il 1980 nei primi 15 anni di carriera con l’applicazione del sistema contributivo.
Dalla simulazione emerge come una parte di loro non sia riuscita a guadagnare retribuzioni superiori a quello che oggi equivarrebbe a un salario minimo di 9 euro lordi orari. Con un guadagno minimo i valori sarebbero superiori del 10 per cento.
Inoltre, non è necessario solo garantire la sostenibilità della spesa, ma anche l’allargamento della base contributiva. Le due vie principali per farlo sono il recupero del sommerso e l’incremento delle retribuzioni per i lavoratori regolari.
Da non trascurare, poi, l’opzione che prevede di regolarizzare nuovi cittadini stranieri per coprire i posti di lavoro lasciati scoperti a causa dell’invecchiamento della popolazione, un problema non secondario in Italia.
Per quanto riguarda il presente, il rapporto mostra come le principali modalità di pensionamento, introdotte con Quota 100, Quota 102 e Opzione Donna non siano riuscite a raggiungere in modo uniforme la platea di potenziali beneficiari.
Secondo l’INPS c’è la necessità di permettere ai cittadini una maggiore libertà di scelta su quando scegliere di andare in pensione.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Un pensionato su tre ha ricevuto meno di 1.000 euro al mese nel 2021