Dagli stipendi alle pensioni, la parità di genere è ancora un'utopia: nei dati contenuti nel ventunesimo Rapporto annuale INPS, presentato l'11 luglio 2022, emerge con forza il divario retributivo: importi per le donne più bassi del 25 per cento e a fine carriera la distanza tocca il 37 per cento. Servono nuovi strumenti.
La parità di genere sul lavoro, e non solo, è ancora un’utopia. Nell’arco di 12 mesi le lavoratrici guadagnano tre quarti degli importi percepiti dai lavoratori. Dagli stipendi alle pensioni, le donne restano indietro e gli strumenti messi in campo non sono utili ad accorciare le distanze.
È questo il quadro che emerge dalla panoramica sulle retribuzioni contenuta nel ventunesimo Rapporto annuale INPS presentato a Roma l’11 luglio 2022.
Parità di genere? Divario ancora ampio sugli stipendi: i dati INPS
Nella fotografia scattata dall’INPS le donne nel 2021 hanno potuto contare su una retribuzione media pari a 20.415 euro, tre quarti di quella degli uomini. Per questi ultimi nell’arco dei 12 mesi i valori sono superiori del 25 per cento.
La cifra è anche frutto di una serie di distorsioni che caratterizzano il mondo del lavoro femminile e che si concretizzano in una partecipazione ancora troppo scarsa.
I dati sul divario retributivo di genere vanno letti, infatti, alla luce dell’alto numero di lavoratrici part year, ovvero donne impegnate solo per una parte (spesso breve) dell’anno, e part time.
Nella relazione del Presidente Pasquale Tridico si legge:
“La percentuale di part-time è al 46 per cento tra le donne, il dato più alto nella UE, contro il 18 per cento tra gli uomini, e una parte prevalente di questo part-time è considerato involontario”.
Per una lettura delle cifre più fedele alla realtà, quindi, è necessario considerare i dati forniti dall’INPS tenendo conto di un impegno parziale delle donne sul fronte lavorativo rispetto agli uomini. Si tratta di un aspetto rilevante ma non rassicurante, che richiama altre due considerazioni:
- una delle questioni cruciali e su cui è necessario intervenire per favorire la parità di genere è proprio la scarsa presenza delle donne sul mercato del lavoro;
- anche se si considerano i dati sulle retribuzioni alla luce dei fattori evidenziati, la distanza resta comunque marcata.
E infatti paragonando gli stipendi delle lavoratrici e dei lavoratori full time a tempo indeterminato la differenza passa dal 25 per cento all’11 per cento. In termini pratici vuol dire che alle donne spettano 35.477 euro e agli uomini 39.973 euro. In media le lavoratrici ricevono 370 euro al mese in meno.
Parità di genere, dagli stipendi alle pensioni: dati INPS sul divario retributivo
L’INPS evidenzia che i dati non sono molto cambiati rispetto agli anni scorsi, a dimostrazione del fatto che nessun nuovo passo avanti è stato fatto verso la parità di genere: uomini e donne si posizioneranno su una scala diversa di valori ancora per molti decenni.
Le differenze che persistono oggi sugli stipendi continueranno a tradursi nelle pensioni di domani, una previsione preoccupante, ancor più se si considera che attualmente per le donne il divario di fine carriera è ancora più marcato.
Nel 2021 l’INPS ha erogato assegni pensionistici a 16 milioni di persone: le donne rappresentano il 52 per cento, ma hanno percepito in termini di reddito solo il 44 per cento del totale.
Cosa vuol dire in termini pratici? L’importo medio per gli uomini arriva a 1.884 euro lordi, ed è superiore del 37 per cento a quello delle donne, pari a 1.374 euro.
Il divario retributivo di genere certamente non è una questione solo italiana, tanto che lo scorso 5 aprile il Parlamento Europeo ha avviato i lavori per l’approvazione di una direttiva finalizzata ad affrontare la questione e imporre ai datori di lavoro degli Stati membri nuovi obblighi per far emergere trattamenti diversi.
Una spinta in questo senso sta arrivando anche dall’attuazione del PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, con l’introduzione, ad esempio, di un sistema di certificazione della parità e di agevolazioni collegate.
Per fare qualche passo avanti verso la parità di genere, almeno da un punto di vista retributivo, c’è bisogno di nuove direzioni.
Strumenti presenti nel sistema da anni, come il bonus assunzione, non hanno dato i frutti sperati: lo sgravio fiscale non ha avuto alcun impatto sui salari delle donne.
“La decontribuzione femminile è capace di promuovere la domanda di lavoro femminile e di ridurre parzialmente il divario occupazionale di genere. Tuttavia, le retribuzioni femminili non aumentano: ciò suggerisce che sono necessarie politiche alternative per ridurre il divario salariale di genere”.
È questa, ad esempio, la conclusione a cui si arriva nelle analisi collegate dal Rapporto annuale INPS sulla storia di uno strumento che ha ormai 10 anni di vita e che è stato utilizzato come una delle leve principali per intervenire sull’occupazione femminile.
Seppur fondamentale, l’ingresso nel mondo del lavoro è solo un primo passo, il traguardo da raggiungere è il diritto a una parità di retribuzione.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Dagli stipendi alle pensioni, la parità di genere è ancora un’utopia: nei dati INPS il divario tra uomini e donne