Il patrimonio delle associazioni, in cosa consiste? Come si evince dalla stessa definizione, si tratta del complesso di beni immobili e mobili detenuti da un ente, che si occupa anche della sua gestione per poter raggiungere l'obiettivo per cui l'associazione è stata costituita.
Il patrimonio delle associazioni, in cosa consiste? Come suggerisce già la sua definizione, in linea generale si tratta del complesso di beni immobili e mobili detenuti da un ente che si occupa anche della sua gestione.
Prima di entrare sempre più nello specifico, è necessario fare una precisazione: esistono due conformazioni aventi diversa funzionalità giuridica, diversificabili sulla base della tipologia di associazione che ci troviamo ad analizzare.
Per le associazioni non riconosciute si dovrà parlare di fondo comune patrimoniale mentre per l’associazione riconosciuta di patrimonio in senso stretto.
Volendo riservare ad un altro momento la trattazione approfondita della differenza derivante dal riconoscimento o meno di un’associazione, è importante invece sottolineare che l’abissale conseguenza a livello patrimoniale si delinea nell’ampiezza della responsabilità che ha l’ente e i suoi soci nei confronti dei terzi.
Il patrimonio delle associazioni: quando non sono riconosciute si parla di fondo comune
Il patrimonio delle associazioni non riconosciute viene definito fondo comune e a causa della volontà del legislatore di codificare la natura giuridica di tale entità, si è in passato pensato di poter accomunare questo particolare fondo alla natura specifica della comunione, così come disciplinata dall’art. 1100 del codice civile.
Tale collegamento si rende però evidentemente impossibile in quanto ciò andrebbe in conflitto con il naturale divieto fatto ai componenti delle associazioni di richiedere la restituzione di quanto devoluto per la sua costituzione e gestione in caso di recesso.
Il fondo comune dell’associazione non riconosciuta permette ad essa di ottenere un’autonomia patrimoniale di tipo imperfetto, attraverso la quale essa può difendersi ma non completamente da eventuali misure di responsabilità attuate da possibili creditori dell’ente o del singolo socio.
L’autonomia patrimoniale imperfetta consente, quindi, una parziale suddivisione del patrimonio tra ente e singoli associati, tale divisione permette in caso di azioni di responsabilità, ai creditori dell’associazione di rivalersi primariamente sul patrimonio dell’ente e su quello di coloro che specificatamente hanno compiuto in nome e per conto dell’ente stesso l’atto cagionevole di danno ai terzi.
Nella maggior parte dei casi si tratta dei membri del consiglio direttivo e solo in pochi casi di particolari soci.
Una notevole semplificazione di cui possono godere le associazioni non dotate di riconoscimento è legata alla tipologia di beni che possono ricevere a titolo di conferimento o successivamente dai soci, e dalle modalità attraverso le quali tali beni possono entrare a far parte dell’asset dell’associazione.
Non è infatti previsto nessun tipo di obbligo relativamente alla forma giuridica che gli atti attestanti tali conferimenti debbano assumere, al contrario di quanto richiesto alle associazioni riconosciute.
È evidente che pur non sussistendo nessuna imposizione legislativa, tale associazione ha comunque la facoltà di optare per l’atto pubblico al momento della costituzione e dell’eventuale apporto di beni ad esempio immobili.
L’autonomia patrimoniale perfetta delle associazioni riconosciute
Le associazioni riconosciute sono enti con personalità giuridica, e beneficiano quindi dell’autonomia patrimoniale perfetta, questo consente loro una scissione totale e chiara del patrimonio appartenente all’associazione stessa da quello posseduto dai singoli soci.
Da un punto di vista prettamente legato alla responsabilità di coloro che operano all’interno dell’ente, tale forma è senza dubbio la più chiara, e percorribile nel caso si tratti di organizzazioni no profit di ingente entità che, pur mantenendo uno scopo non lucrativo, svolgono anche attività commerciale senza ovviamente superare i limiti imposti dalle norme, affiancandola alla normale attività istituzionale così come stabilita dall’atto costitutivo e successivo statuto.
Gli associati, quindi, rispondono nei confronti dei terzi limitatamente nella misura della quota associativa versata e dei vari contributi elargiti durante la vita dell’associazione.
Il patrimonio personale dei singoli associati non verrà mai intaccato dalle obbligazioni contratte dall’ente.
Il patrimonio delle associazioni: le modalità di composizione
L’elemento fondamentale per la costituzione e l’esistenza di un’associazione è la presenza degli associati, sono infatti le persone il fulcro vitale dell’essere associazione, senza di esse non potrebbe permettersi la sopravvivenza dell’ente.
L’[ente no profit->/Cos-e-il-terzo-settore-definizione-significato] nasce infatti dalla volontà di associarsi promossa da alcune persone, unite dalla volontà di raggiungere un fine comune allineato in un’ottica di utilità sociale e non lucrativa.
Le entità che compongono il patrimonio dell’associazione posso provenire da apporti dei soci in sede di costituzione attraverso dei conferimenti di denaro o di singoli beni, ma possono anche altresì provenire da donazioni fatte da imprese e soggetti privati, quote associative dei singoli soci, contributi raccolti mediante l’organizzazione di eventi o di raccolte fondi, ma anche corrispettivi legati ad un’eventuale parallelo, seppur non principale, esercizio di attività commerciale.
Il Consiglio direttivo è l’organo preposto ad amministrare tale patrimonio e ad analizzarne l’evoluzione in modo da poter condurre l’associazione verso il raggiungimento dell’obiettivo per la quale essa è stata costituita.
L’ente associativo pur se di natura non commerciale avrà quindi l’obbligo per la trasparenza informativa della conduzione della sua attività di redigere una serie di prospetti all’interno dei quali sarà necessario riepilogare l’andamento finanziario dell’attività esercitata, la quale predisposizione sarà quindi affidata sempre all’organo amministrativo dell’associazione stessa.
Il prestito degli associati
I conferimenti effettuati da parte degli associati e le quote da loro versate durante la vita dell’ente non saranno mai oggetto di restituzione, per questo motivo il socio può optare per diverse forme di contribuzione che gli permettano di non perdere la titolarità di quanto ha destinato alla conduzione dell’attività associativa.
Nel caso in cui si stia parlando di beni immobili o mobili potrà infatti pensare ad un contratto di comodato ad uso gratuito mentre nell’idea di contribuire sotto forma di denaro alla vita associativa potrà il singolo socio concedere un prestito all’ente.
Il prestito che l’associato concede all’ente no profit deve però rispettare particolari limitazioni, in primis non potrà essere mai fruttifero, non potrà quindi maturare interessi, tale divieto risulta essere legato ad un altro ancor più rigido quello cioè di non poter distribuire mai utili ai soci.
Il Consiglio direttivo elaborerà un piano di restituzione del prestito stesso e ne renderà contezza ai soci attraverso un verbale assembleare.
Divieto di distribuire utili e ripetere contributi in caso di recesso
Il patrimonio conferito dai singoli soci, al momento della costituzione dell’ente o successivamente, entra a far parte del patrimonio dell’associazione stessa e non può quindi più essere restituito al socio, in nessuna forma.
Non è quindi in nessun caso possibile suddividere tra i soci eventuali utili derivanti dallo svolgimento dell’attività associativa, né sarà mai consentito al singolo di chiedere la restituzione di quanto versato a scopi associativi in caso di suo recesso.
L’art. 24 del codice civile, capo II, titolo II, spiega le modalità attraverso cui il socio può in effetti recedere dall’associazione, delineando indirettamente le qualità che la figura del socio assume all’interno dell’ente.
Volendo nuovamente sottolineare l’importanza della figura del socio nel tessuto dell’associazione, all’interno della quale prevale su tutto la personalità di coloro che ne fanno parte, è necessario chiarire che tale qualifica non è trasmissibile, ed a patto che esso non abbia stabilito la sua permanenza per un tempo determinato esso può sempre decidere di recedere dall’ente fornendo con le dovute tempistiche adeguato preavviso, senza però poter ripetere i contributi versati o vantare alcun diritto sul patrimonio dell’associazione.
Destinazione del patrimonio in caso di scioglimento
Lo scioglimento dell’associazione comporta l’obbligo in capo all’organo amministrativo di devolvere il patrimonio, fino a quel momento stratificato in ordine alla conduzione dell’attività non lucrativa di perseguimento dell’utilità sociale, ad un altro ente no profit il quale svolge analoga attività e persegue simili obiettivi all’interno del suo statuto.
Una delle modifiche importanti volute dalla riforma ETS, sarà infatti quella di richiedere alle associazioni al momento dell’adeguamento del loro statuto, specifiche disposizioni in merito alla destinazione del patrimonio in caso di un eventuale scioglimento dell’ente.
L’associazione esiste grazie alla presenza fondamentale dei singoli associati, delle persone che la compongono e si serve per svolgere l’attività stabilita all’interno dell’atto costitutivo e dello statuto, del patrimonio costituito da tutti i beni materiali ed immateriali da essa detenuti conferiti dai soci e da terzi, sul quale i singoli associati non dispongono di nessun diritto ma alla stratificazione del quale essi collaborano per la sua intera esistenza, rischiando di essere chiamati in causa in caso di una eventuale azione di responsabilità, maggiormente invadente nel caso dell’autonomia patrimoniale imperfetta legata all’associazione non riconosciuta.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Il patrimonio delle associazioni: definizione e modalità di gestione