Se il datore di lavoro non versa le ritenute previdenziali, non è imputabile penalmente quando dimostra e documenta che non è riuscito in nessun modo a reperire le risorse. A stabilirlo è la sentenza numero 36278 della Corte di Cassazione del 21 agosto 2019.
Il datore di lavoro che, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, omette il versamento delle ritenute previdenziali non è imputabile penalmente quando riesce a dimostrare e documentare che, per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili, non è riuscito a reperire le risorse necessarie per adempiere obbligazioni tributarie pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il proprio patrimonio personale.
Questo il contenuto della sentenza n. 36278 della Corte di Cassazione depositata il 21 agosto 2019.
- Corte di cassazione - Sentenza numero 36278 del 21 agosto 2019
- Omesso versamento dei contributi: l’imprenditore in crisi evita la condanna penale. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza numero 36278 del 21 agosto 2019.
Il fatto – La controversia riguarda il delitto commesso da una società di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali sulle retribuzioni corrisposte ai propri lavoratori dipendenti.
La violazione sarebbe stata conseguenza non di una semplice carenza di liquidità, ma di una gravissima crisi economica e finanziaria legata al fallimento dei clienti più importanti, tanto grave da condurre prima a una procedura concorsuale e poi al fallimento, non scongiurato neanche attraverso l’impiego di risorse personali del titolare dell’azienda medesima.
Il procedimento penale è giunto sin in cassazione a seguito del ricorso del rappresentante legale dell’azienda fallita avverso la sentenza della corte di appello, che aveva confermato la condanna alla reclusione e al pagamento di una multa.
A parere del ricorrente il giudice d’appello avrebbe errato nel confermare la condanna, per assenza del requisito soggettivo per la configurabilità del reato in parola. A tal riguardo il giudice non ha valutato in alcun modo gli elementi offerti dalla difesa, volti a incidere sul profilo psicologico della condotta tra cui, ad esempio, la situazione di crisi dei pochi clienti dell’azienda e l’acquisizione poi al fallimento della stessa casa del rappresentante legale.
I giudici di Cassazione hanno ritenuto fondati i motivi e accolto il ricorso, dichiarando l’annullamento della sentenza impugnata.
L’omesso versamento delle ritenute previdenziali – Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali era previsto originariamente dall’articolo 2, co. 1 del D.L. n. 463/1983 e prevedeva la reclusione fino a tre anni (con la multa fino a 1.032 euro) per qualsiasi condotta illecita del datore di lavoro che, avendo operato le ritenute previdenziali previste dalla legge sulle retribuzioni, non provvedeva al dovuto versamento a favore dell’Inps.
A seguito della novella normativa attuata dal D.Lgs. 8/2016 il reato in parola è stato parzialmente depenalizzato, essendo oggi punito con la reclusione fino a tre anni - e con la multa fino a 1.032 euro - solo il datore di lavoro che non versa nell’anno un ammontare di ritenute superiore a 10.000 euro. Gli omessi versamenti sotto-soglia costituiscono invece violazioni amministrative per cui è prevista una sanzione pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000.
In ogni caso il legislatore ha previsto la non punibilità (penale e amministrativa) nell’ipotesi in cui il versamento delle ritenute originariamente omesse sia effettuato entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’accertamento della violazione.
La decisione – Secondo gli arresti giurisprudenziali degli ultimi anni, in merito alla valutazione dell’elemento soggettivo del reato in parola la Corte di Cassazione ritiene sufficiente il dolo generico, ossia la coscienza e volontà di non versare i contributi previdenziali da parte dell’attore. In altri termini, secondo il costante orientamento di legittimità, il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori si intende integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti.
In linea di principio, quindi, non ha alcun valore esimente la circostanza che il datore di lavoro attraversi una fase di criticità e destini le risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti più urgenti (così Cass. n. 3705 del 2013). A parere degli ermellini lo stato di insolvenza non libera il sostituto da responsabilità, essendo egli obbligato a ripartire le risorse esistenti al momento di dover corrispondere gli emolumenti, anche se ciò dovesse comportare l’impossibilità di pagare gli stipendi nel loro intero ammontare. Sul punto è stato ribadito che, se l’imprenditore in difficoltà finanziaria sceglie di dar precedenza al pagamento degli stipendi ai propri dipendenti e di omettere il versamento delle ritenute, non potrà essere addotta “a propria discolpa l’assenza dell’elemento psicologico del reato, ricorrendo in ogni caso il dolo generico” (così Cass. n. 43811/2017).
Tale orientamento è stato in parte rivisto e la Suprema Corte ha aperto alla possibilità che la crisi economica possa astrattamente assumere una valenza assolutoria per l’imprenditore inadempiente.
Come affermato nella sentenza in commento, infatti, al fine di negare la responsabilità penale può essere invocata l’assoluta impossibilità di adempiere al debito d’imposta, a condizione che l’imprenditore sia in grado di provare e documentare che la crisi che ha investito l’azienda non sia a lui imputabile e che il medesimo abbia fatto ricorso a tutte le misure idonee per tentare di fronteggiare la crisi di liquidità (in tal senso Cass. n. 15235/2017, Cass. n. 20266/2014 e Cass. n. 37425/2013).
Occorre quindi la prova che “non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili”.
È dovere del giudice di merito valutare in maniera concreta e specifica gli elementi prodotti nel corso del procedimento al fine di dare risposte in fatto adeguate alla particolarità di ogni caso esaminato, rivelandosi insufficiente il mero richiamo alla giurisprudenza di legittimità in tema di dolo generico del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Omesso versamento dei contributi: l’imprenditore in crisi evita la condanna penale