Le vendite online rinvenute dal sito eBay possono essere elementi per accertare il reddito imponibile del contribuente, in caso di omessa dichiarazione fiscale. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza numero 26987 del 2019.
In caso di omessa dichiarazione fiscale, è legittimo accertare il reddito imponibile del contribuente anche sulla base delle vendite online rinvenute dal sito eBay.
Tali transazioni, infatti, in quanto consentono la tracciabilità sia del pagamento che della consegna delle merci, costituiscono valide presunzioni su cui fondare la ricostruzione induttiva del reddito e spetta al contribuente fornire la prova contraria alla pretesa erariale. Questo l’interessante principio contenuto nell’Ordinanza numero 26987/2019 della Corte di Cassazione.
- Corte di Cassazione - Ordinanza nuero 26987 del 22 ottobre 2019
- Legittimo l’accertamento basato sulle vendite su eBay. A stabilirlo la Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 26987 del 22 ottobre 2019.
La sentenza – La vicenda prende le mosse dal ricorso proposto da un contribuente avverso un avviso di accertamento, con cui l’Agenzia delle entrate ha accertato in via induttiva i ricavi sulla base delle risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza.
In particolare i militari avevano ricostruito il volume d’affari del soggetto, che aveva omesso di tenere le scritture contabili e di presentare le dichiarazioni dei redditi, attraverso le informazioni ricevute tramite la società EBAY EUROPE SARL, attinenti alle aste a cui il contribuente aveva preso parte e alle vendite andate a buon fine effettuate dal medesimo negli anni dal 2004 al 2009.
La CTR, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l’appello del contribuente e avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate ha interposto ricorso per cassazione, prospettando violazione e falsa applicazione degli artt. 38 e 41 bis del d.P.R. n. 600 del 1973.
A parere dell’Amministrazione finanziaria nel pvc della GDF erano state chiaramente indicate le informazioni acquisite tramite EBAY, aventi ad oggetto le aste cui il contribuente aveva preso parte e le vendite effettuate dal 2004 al 2009. Tra queste erano identificabili quelle andate a buon fine, per essere state di volta in volta consegnati i beni, considerato che, nelle vendite on line, la consegna della merce è successiva al pagamento del prezzo. Ciò ha fatto sì che i dati utilizzati dall’ufficio fossero idonei in via presuntiva a fondare l’accertamento, stante l’omessa tenuta delle scritture contabili da parte del contribuente e l’omessa presentazione della dichiarazione.
Il Collegio di legittimità ha ritenuto fondato il motivo di ricorso e rigettato con rinvio la sentenza impugnata.
In merito alla legittimità degli accertamenti induttivi, in cui rientra quello in argomento, la Corte di cassazione è unanime nel ritenere che “in caso di omessa dichiarazione fiscale, l’ufficio può procedere all’accertamento induttivo del reddito imponibile anche sulla base di presunzioni prive dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, le quali hanno il valore autonomo di prova della pretesa fiscale e producono l’effetto di spostare sul contribuente l’onere della prova contraria”. In buona sostanza, quindi, il ricorso al metodo induttivo può legittimamente fondarsi anche su dati e notizie raccolti dall’ufficio nei modi di legge, ad esempio tramite un pvc della guardia di finanza.
A parere dei giudici di Piazza Cavour, quindi, la CTR ha errato non adeguandosi a tali principi di diritto, avendo erroneamente sostenuto che fosse onere dell’Ufficio finanziario dimostrare che le transazioni effettuate dal contribuente si fossero concretizzate in vendite, alle quali erano seguiti ricavi tassabili.
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