Il pagamento dell'IRAP è dovuto dal medico convenzionato che utilizza tre studi nell'ambito della propria attività professionale perché tale dotazione è potenzialmente in grado di far realizzare maggiori profitti.
Il medico convenzionato che utilizza tre studi nell’ambito della propria attività professionale è tenuto al pagamento dell’IRAP perché tale dotazione è potenzialmente in grado di far realizzare un “valore aggiunto” in termini di maggiori profitti, rispetto al risultato perseguibile senza l’impiego di questi beni strumentali.
Questo il principio desumibile dall’Ordinanza n. 4419 depositata il 14 gennaio 2019.
- Corte di Cassazione - Ordinanza n.4419 del 14 febbraio 2019
- Il medico convenzionato paga l’IRAP se utilizza tre studi. Lo stabilisce l’ordinanza della Corte di Cassazione.
La sentenza – Il giudizio verte sul ricorso proposto da un medico generico convenzionato avverso il silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle Entrate formatosi sull’istanza di rimborso Irap per gli anni dal 1998 al 2009.
Il ricorso è stato respinto in entrambi i gradi di giudizio sebbene il contribuente avesse evidenziato le ridotte caratteristiche dimensionali dei tre locali utilizzati per l’attività, l’uso promiscuo degli stessi e le modeste spese sostenute, tali da non configurare un’autonoma organizzazione rilevante ai fini IRAP.
Di diverso parere la CTR, secondo cui la disponibilità di tre studi medici, tutti adeguatamente attrezzati ed idonei allo svolgimento dell’attività, ravvisa l’esistenza di una organizzazione “ben superiore allo standard minimo e suscettibile di produrre un incremento potenziale di reddito”.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il contribuente, lamentando falsa applicazione della normativa IRAP in merito alla sussistenza di una autonoma organizzazione, considerata l’assenza di lavoratori dipendenti, pur ammessa la disponibilità dei summenzionati studi professionali.
I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto infondato il motivo e rigettato il ricorso del professionista.
In primo luogo la Corte ha ribadito un principio oramai consolidato per cui il presupposto dell’autonoma organizzazione richiesto dall’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997 non ricorre “quando il contribuente responsabile dell’organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive”. Ad esempio non si ravvisano i presupposti impositivi nel caso di un avvocato che si avvale solo di un segretario e di beni strumentali minimi.
Nel caso specifico dei medici convenzionati, la Corte di legittimità ha affermato in passato che non sussiste il presupposto della autonoma organizzazione qualora il professionista si avvalga solo di un lavoratore dipendente con funzioni di segretaria oppure di un “assistente di sedia”, ossia di un infermiere generico assunto part time che si limita a svolgere mansioni di carattere esecutivo o nel caso in cui il medico utilizzi beni strumentali anche se di valore superiore ai quindicimila euro.
Nel caso specifico la diatriba, stante l’assenza di lavoratori dipendenti, riguarda la disponibilità da parte del medico di tre studi professionali, tutti dotati delle attrezzature minime per svolgere la professione medica.
A parere della Corte la presenza di tali dotazioni fa presumere l’utilizzo di beni strumentali potenzialmente eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività, tale da ravvisare “un’autonoma organizzazione, intesa come complesso dei fattori produttivi che compongono una attività, potenzialmente in grado di far realizzare al suo titolare un «valore aggiunto», nel senso di maggiori profitti, rispetto al risultato perseguibile senza l’impiego di capitali e beni strumentali, incrementando in modo apprezzabile la capacità produttiva”. Da qui la legittimità della pretesa erariale.
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