Irap: niente raddoppio dei termini. Ecco le ultime conferme espresse nell'Ordinanza della Corte di Cassazione numero 4758/2018.
La disciplina del raddoppio dei termini di accertamento non è applicabile ratione temporis all’IRAP in quanto, in riferimento a tale imposta, non sono previste sanzioni penali.
Questo uno dei principi espressi dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 4758/2018.
- Ordinanza Corte di Cassazione numero 4758 del 28 febbraio 2018
- Niente raddoppio dei termini di accertamento previsti in materia di Irap. L’importante principio in oggetto è stato ribadito dall’Ordinanza della Corte di Cassazione numero 4758 del 28 febbraio 2018. Clicca sull’icona per eseguire il download del testo integrale della recente pronuncia dei giudici di Piazza Cavour.
I fatti – I fatti sono relativi al ricorso proposto da una società avverso un avviso di accertamento ai fini IVA, IRES e IRAP con cui l’Amministrazione finanziaria contestava l’utilizzo di tre fatture per operazioni oggettivamente inesistenti. Detto ricorso veniva rigettato sia in sede di prime cure che dai giudici della superiore Commissione Tributaria Regionale che, conformandosi alla decisione di primo grado, hanno ritenuto sussistenti i presupposti legittimanti il raddoppio dei termini di accertamento.
La società contribuente, sulla base di due motivi, ha ricorso per la cassazione della sentenza d’appello.
Con il principale motivo di doglianza, la società ha sostenuto che la CTR ha errato quando ha confermato la legittimità del raddoppio dei termini di accertamento. Ciò in quanto, essendo entrato in vigore il D. Lgs. 128 del 2015 poco dopo la notifica dell’atto impositivo de qua, è ragionevole ritenere che l’Agenzia delle entrate fosse certamente a conoscenza dell’intenzione del Legislatore di “voler recepire l’orientamento giurisprudenziale più garantista che prevede l’applicazione del raddoppio dei termini solo in presenza di effettiva presentazione della denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p. ed entro il termine previsto per la scadenza ordinaria dell’accertamento”. Inoltre, a parere della società ricorrente, la nuova disciplina doveva essere applicabile anche a periodi d’imposta antecedenti all’entrata in vigore di tale decreto.
La Corte di Cassazione ha deciso per l’accoglimento di tale motivo di ricorso e ha cassato la sentenza impugnata. Inoltre, decidendo anche nel merito, ha accolto l’originario ricorso della società ma solo limitatamente all’IRAP.
La disciplina del raddoppio dei termini – L’istituto del raddoppio dei termini di accertamento è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla Riforma Bersani del 2006 che, con il D.L. 223/2006, ha integrato gli artt. 43 del D.P.R. n. 600/1973 (Imposte dirette) e 57 del D.P.R. n. 633/1972 (IVA), prevedendo un significativo ampliamento dei termini di accertamento in presenza di contestazioni penalmente rilevanti.
La disciplina è stata modificata in un primo momento dal D.Lgs. 128 del 2015 che ha introdotto nei citati articoli il seguente periodo: “il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui ai commi precedenti.”
A pochi mesi di distanza dal precedente intervento, con la legge di stabilità 2016, in vigore dal 1° gennaio 2106, il legislatore ha modificato nuovamente la materia, da una parte allungando i termini ordinari di accertamento (che oggi sono 5 anni per le dichiarazioni presentate e 7 per le omesse) e, dall’altra parte, cancellando la disciplina del raddoppio dei termini di accertamento in presenza di una comunicazione di notizia di reato.
La decisione – La sentenza in commento chiarisce una serie di aspetti relativi al cd. raddoppio dei termini di accertamento.
In primo luogo i giudici di Piazza Cavour hanno nuovamente affermato che la disciplina del raddoppio dei termini non riguarda l’IRAP alla luce del principio per cui, “non essendo l’IRAP un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali, è evidente che in relazione alla stessa non può operare la disciplina del raddoppio dei termini di accertamento quale applicabile ratione temporis”.
Sul punto i giudici di Cassazione hanno confermato l’orientamento già espresso con precedenti pronunce (si veda, tra le altre, l’Ordinanza numero 20435/2017), che discende dal fatto che le violazioni riferibili all’IRAP non sono inserite tra le ipotesi delittuose previste dal D.Lgs. 74/2000, in cui sono disciplinati i reati in materia di imposte sui redditi e di IVA, perché non ritenute idonee a ravvisare fatti penalmente rilevanti.
Con la sentenza in commento la Corte ha ribadito altresì l’irretroattività degli effetti della riforma del 2016 agli avvisi di accertamento già notificati prima della sua entrata in vigore.
Al riguardo, sul solco di un consolidato orientamento giurisprudenziale, la Corte ha affermato che i termini previsti dai citati artt. 43 e 57, nella versione antecedente al periodo 2015, “sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza”, restando salvi gli effetti degli atti impositivi notificati prima dell’entrata in vigore della legge di stabilità 2016.
Inoltre, sull’intero assetto della disciplina non esplica alcun effetto la sequenza normativa che riguardato la disciplina dei termini prescritti per l’accertamento tributario con il D.Lgs. 128/2015, prima, e con la legge 208/2015 poi. Ciò in quanto, a tutti gli avvisi di accertamento notificati in periodi d’imposta antecedenti a quello in corso al 31 dicembre 2016 “si applica la disciplina dettata dall’articolo 2 del Decreto Legislativo numero 128 del 2015 (che non è stato modificato dalla successiva legge n. 208 del 2015), che fa espressamente salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati alla data di entrata in vigore del predetto decreto”.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Niente raddoppio dei termini per l’Irap