L'IRAP è dovuta dal professionista solo nel caso in cui si accerti che, oltre ad avvalersi di più studi professionali, possiede beni strumentali oltre il minimo indispensabile per l'esercizio della professione. La posizione della Corte di Cassazione
Un libero professionista è assoggettabile ad IRAP solo qualora si possa accertare, nel giudizio di merito, che oltre al dato della pluralità di studi professionali di cui si avvale, il professionista possegga beni strumentali eccedenti, in relazione all’attività libero-professionale svolta, il minimo indispensabile per l’esercizio della professione.
Infatti, nel caso di attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui.
L’accertamento del requisito dell’autonoma organizzazione costituisce questione di mero fatto, rimessa al giudice di merito.
Questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 18165 del 30 giugno 2023.
In mancanza di capitalo o lavoro altrui l’IRAP non è dovuta dal professionista
Il ricorso introduttivo è stato proposto da una odontoiatra avverso il silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle entrate relativamente all’istanza di rimborso dell’IRAP versata per gli anni 2012-2016, che ha eccepito la non assoggettabilità ad IRAP della professione esercitata, in quanto priva della struttura organizzativa. La CTR, a conferma della sentenza di primo grado, ha accolto l’appello della contribuente, ritenendo modesti (in percentuale, e dunque irrilevanti ai fini dell’integrazione del presupposto dell’autonoma organizzazione) i compensi corrisposti a terzi rispetto ai ricavi dichiarati.
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso in cassazione, lamentando violazione degli artt. 2 e 3 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, lamentando l’irrilevanza, sostenuta dalla CTR, dei compensi continuativamente erogati a terzi ai fini della configurazione del presupposto impositivo IRAP della autonoma organizzazione, in quanto di misura percentuale modesta (dal 25 per cento al 35 per cento) rispetto ai ricavi conseguiti dalla contribuente.
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il motivo di doglianza e ha rigettato il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria.
Si premette che, in tema di IRAP, il requisito della autonoma organizzazione ricorre quanto il contribuente sia sotto qualsiasi forma, il responsabile della organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità od interesse e impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.
È peraltro onere del contribuente, che chieda il rimborso della imposta asseritamente non dovuta, dare la prova della assenza delle predette condizioni.
In particolare, l’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997 stabilisce che il presupposto dell’IRAP, imposta a carattere reale, è “l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”.
In merito al requisito dell’autonoma organizzazione la Corte costituzionale, con la sentenza n. 156 del 21 maggio 2001, ha rilevato che l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa.
Diversamente, l’autonoma organizzazione non è sintomatica nel caso di attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui, con la conseguente inapplicabilità dell’imposta, per difetto del presupposto dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto, rimessa pertanto al giudice di merito.
La stessa Corte di cassazione riconosce l’assoggettabilità ad IRAP del professionista, ma solo qualora si possa accertare, nel giudizio di merito, oltre al dato della pluralità di studi professionali, il possesso di beni strumentali eccedenti, in relazione all’attività medica svolta, il minimo indispensabile per l’esercizio della professione.
Nel caso di specie la professionista ha fornito una serie di elementi probatori dai quali traspare che il totale dei costi sostenuti per prestazioni professionali, corrisposti ad altri studi odontoiatrici a titolo di compenso, costituisce una percentuale minima in rapporto al totale dei ricavi per i periodi di imposta dal 2012 al 2015, in particolare copia dei quadri IRAP delle dichiarazioni dei redditi, copia dei modelli F24, copia dei bilanci per gli esercizi dal 2012 al 2015, fatture dei costi sostenuti per ciascuna annualità e copia delle certificazioni delle ritenute subite.
In altre parole, a parere del Collegio giudicante, i compensi versati a terzi sono irrilevanti ai fini dell’integrazione del presupposto dell’autonoma organizzazione per l’IRAP. Sussistendo, pertanto, i requisiti per l’esclusione dall’IRAP del reddito di lavoro autonomo, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Senza capitale o lavoro altrui il professionista non paga l’IRAP