Se la distruzione dei beni è attestata dal formulario rifiuti, non c'è evasione fiscale
In tema di imposte dirette, con riferimento alla presunzione di cessione prevista dal d.P.R. n. 441/1997, i contribuenti che necessitano di avviare a distruzione i propri beni, possono procedere all’operazione mediante consegna dei beni stessi a soggetti autorizzati all’esercizio di tali operazioni in conto terzi, ai sensi delle vigenti leggi sullo smaltimento dei rifiuti.
In tal caso l’avvio a distruzione è dimostrato mediante il “formulario di identificazione rifiuti”, che costituisce prova idonea a superare la presunzione di cessione.
In caso di corretta compilazione del formulario rifiuti non ci può essere evasione fiscale
Il fatto che analizziamo insieme oggi trae origine dal contenzioso instaurato da una società avverso l’avviso di accertamento ai fini IRES, IVA e IRAP con cui l’Agenzia delle entrate aveva recuperato a tassazione maggiori ricavi avendo rilevato una irregolare tenuta della contabilità di magazzino in quanto in sede di verifica erano state constatate delle differenze inventariali.
Il principio di diritto enunciato da diverse pronunce giurisprudenziali, come la datata ma sempre attuale Ordinanza della Corte di Cassazione n. 26223/2021, dalla quale prendiamo spunto per l’analisi di oggi.
Le ragioni della società sono state respinte sia in sede di prime cure che in appello.
I giudici della CTR hanno ritenuto in particolare che la società non avesse dimostrato l’avvio a distruzione dei pezzi di ricambio acquistati e che non vi fossero indizi che potessero indurre a pensare che i suddetti pezzi di ricambio fossero stati venduti sottocosto e che la percentuale di ricarico calcolata dall’ufficio e non contestata dai contribuenti era stata correttamente applicata alla vendita dei pezzi di ricambio in questione.
La società procedeva quindi al ricorso per cassazione lamentando che la CTR avrebbe completamente omesso di considerare la prova fornita ai fini del superamento della presunzione di evasione, consistente nella produzione dei formulari di identificazione rifiuti di cui all’art.15 del D.Lgs. n. 22/1997 e dei registri relativi, con cui era stato dimostrato di aver correttamente avviato a distruzione i beni di magazzino che erano risultati mancanti in sede di verifica. Tale circostanza avrebbe quindi finito per costituire violazione degli artt. 1 e 2 d.P.R. n.441/1997 in quanto i formulari di identificazione rifiuti costituivano prova documentale idonea a superare la presunzione di cessione.
La Cassazione ha accolto il ricorso della società contribuente e cassato con rinvio la sentenza.
Le presunzioni di acquisto e vendita – La controversia ruota attorno alla corretta interpretazione delle disposizioni contenute nel D.P.R. n. 441/1997, recante norme per il riordino della disciplina delle presunzioni di cessione e di acquisto.
La norma dispone che, all’atto di un controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria, si presumono ceduti i beni “acquistati, importati o prodotti” che non sono stati rinvenuti nei locali in cui il contribuente “svolge le proprie operazioni” o dei suoi rappresentanti.
In senso opposto, si presumono acquistati i beni che invece sono rinvenuti nei medesimi locali.
L’operatività delle presunzioni di cessione e di acquisto, conseguenti alla rilevazione fisica dei beni, è limitata al periodo d’imposta in corso al momento dell’accesso.
La presunzione di cessione non opera se è dimostrato che i beni stessi sono stati impiegati per la produzione, perduti o distrutti. Tale circostanza può essere provata:
- da apposita comunicazione scritta da inviare agli uffici secondo tempi e modi previsti dalla legge;
- dal verbale redatto da pubblici funzionari, da ufficiali della Guardia di finanza o da notai che hanno presenziato alla distruzione o alla trasformazione dei beni;
- da documento di cui al DPR n. 472/1996, progressivamente numerato, relativo al trasporto dei beni eventualmente risultanti dalla distruzione o trasformazione.
Nel caso di specie la sentenza della CTR ha affermato che l’avvio a distruzione dei beni oggetto di riscontro da parte dei funzionari non risultava in alcun modo documentato dalla società. La sentenza ha però omesso di chiarire perché la prova addotta dalla società contribuente non era idonea a dimostrare la distruzione delle rimanenze di magazzino, peraltro contrariamente a quanto espressamente ritenuto dal giudice di prime cure.
Sul punto i giudici di cassazione hanno ribadito il principio per cui, in tema di accertamento delle imposte sul reddito, in caso di “differenze inventariali”, ovvero differenze registrabili tra le quantità di merci giacenti in magazzino e quelle desumibili dalle scritture di carico e scarico, operano le presunzioni di cessione e di acquisto dei beni in evasione di imposta, di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 441 del 1997, annoverabili tra le presunzioni legali cosiddette “miste”, che consentono, entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova stabiliti a fini antielusivi, la dimostrazione contraria da parte del contribuente, il quale sarà tenuto a provare, con le modalità tassativamente indicate dagli artt. 1 e 2 del d.P.R. n. 441 del 1997, che la contrazione registratasi nella consistenza del magazzino è frutto dell’impiego produttivo dei beni e non di cessioni o acquisizioni non contabilizzati.
Nell’ipotesi in cui la società distrugga volontariamente dei beni, anche per motivi legati all’obsolescenza degli stessi, la dismissione deve avvenire nel rispetto della procedura amministrativa regolata dall’art. 2, co. 4 del D.P.R. n. 441 del 1997, con la necessità della preventiva comunicazione all’Ufficio dell’Agenzia delle entrate o della verbalizzazione puntuale delle operazioni distruttive.
Ne consegue che, in caso di mancata dimostrazione dell’espletamento della procedura prevista per legge in caso di distruzione delle rimanenze di magazzino, l’Amministrazione finanziaria è legittimata a riprendere a tassazione il maggior valore delle rimanenze con accertamento di tipo analitico-induttivo.
Tuttavia è prevista una deroga al rigido rispetto della procedura di cui al DPR 441/1997 che si verifica quando l’impresa non provvede direttamente alla distruzione dei beni ma li consegna agli appositi soggetti autorizzati ai sensi delle vigenti leggi sullo smaltimento dei rifiuti.
In tale ipotesi
“la prova di distruzione dei beni, non deve essere fornita con la procedura descritta nei punti precedenti, ma è data semplicemente dall’annotazione sul formulario di identificazione previsto dall’art. 15 del D.Lgs. n. 22/1997 (cd. legge Ronchi in materia di smaltimento rifiuti e di tutela ambientale)”
In conclusione, nel caso di avvio a distruzione di beni propri mediante consegna a soggetti autorizzati all’esercizio di tali operazioni in conto terzi (ai sensi delle vigenti leggi sullo smaltimento rifiuti), la distruzione è dimostrata mediante il formulario di identificazione rifiuti di cui all’art. 15 del d.Lgs. n. 22/1997 e succ. mod., il quale deve contenere indicazioni specifiche sui seguenti dati:
- a) nome e indirizzo del produttore detentore;
- b) origini, tipologia e quantità del rifiuto;
- c) impianto di destinazione;
- d) data e percorso dell’istradamento;
- e) nome e indirizzo del destinatario.
Sulla base di tale principio i giudici di cassazione hanno cassato con rinvio la sentenza impugnata, affinché i giudici del rinvio valutino se la società ha fornito idonea prova contraria alla presunzione di cessione attraverso la produzione dei formulari di identificazione rifiuti.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Niente evasione se la distruzione dei beni è attestata dal formulario rifiuti