Sull'espropriazione della prima casa si sofferma la Sentenza della Corte di Cassazione numero 6765 del 2022: al centro dei fatti il sequestro preventivo finalizzato alla confisca. Sotto la lente d'ingrandimento la normativa di riferimento.
La Corte di Cassazione, Sez. Penale, con la Sentenza n. 6765 del 3 febbraio 2022, ha chiarito alcuni rilevanti aspetti in tema di espropriazione prima casa.
Nel caso di specie, il Tribunale aveva rigettato la richiesta di riesame avverso un decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari, in relazione ai reati di cui agli artt. 2, 5, comma 1-bis, 8, 11 del Dlgs. 74/2000.
Avverso tale ordinanza l’imputato aveva proposto ricorso per cassazione, deducendo la violazione degli artt. 321, secondo comma, 322- ter, primo comma cod. pen. e 12-bis Dlgs 74/2000, in relazione all’art. 76, comma 1, lett. a) del Dpr. n. 602/1973, come modificato dall’art. 52, comma 1, lett. g), Dl. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98).
Espropriazione prima casa e sequestro preventivo finalizzato alla confisca: i fatti della Sentenza n. 6765 del 2022
Argomentava il ricorrente che il Tribunale aveva disatteso il motivo di riesame volto a dedurre l’impossibilità di assoggettare la prima casa a sequestro preventivo finalizzato alla confisca, limitandosi a richiamare un recente orientamento di legittimità e senza confrontarsi con il diverso orientamento che era stato però richiamato a sostegno del riesame e che si fondava sulla affermazione che l’art 52, comma 1, lett. g), Dl. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98), che vieta all’agente della riscossione, in specifiche ipotesi e condizioni, di procedere all’espropriazione della “prima casa” del debitore, trova applicazione anche in caso di confisca disposta in relazione a reato tributario.
Con un secondo motivo di ricorso l’imputato deduceva poi la violazione e falsa applicazione degli artt. 321, secondo comma, cod. proc. pen. e 12-bis Dlgs 74/2000, rilevando che la casa di abitazione sottoposta a sequestro era stata destinata il 6 maggio 1997 “a far fronte ai bisogni della famiglia”, con la costituzione di un fondo patrimoniale, con dunque conseguente vincolo di impignorabilità relativa, complementare a quello posto dall’art. 76, comma 1, lett. a) del Dpr. n. 602/1973 per i debiti tributari.
Il ricorrente chiedeva infine di sollevarsi questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 12-bis del Dlgs 74/2000 e 321, secondo comma, cod. proc. pen. in relazione all’art. 76, comma 10 lett. a) del Dpr. n. 602/1973 e 170 cod. civ., nella parte in cui consente la confisca per equivalente dell’unica casa di abitazione, tanto più se costituita in fondo patrimoniale, per violazione degli artt. 2, 3, 29 e 47 della Costituzione.
- Corte di Cassazione - Sentenza numero 6765 del 3 febbraio 2022
- Il testo della Sentenza della Corte di Cassazione numero 6765 del 3 febbraio 2022
La posizione della Corte di Cassazione su espropriazione prima casa e sequestro preventivo finalizzato alla confisca
Secondo la Suprema Corte il primo motivo di ricorso era manifestamente infondato.
Rileva la Cassazione che il Tribunale, nel disattendere la deduzione difensiva, aveva correttamente affermato che, in tema di reati tributari, il limite alla espropriazione immobiliare previsto dall’art. 76, comma 1, lett. a), Dpr. 29 settembre 1973, n. 602, nel testo introdotto dall’art. 52, comma 1, lett. g), Dl. 21 giugno 2013, n. 69, opera solo per debiti nei confronti dell’Erario e non di altre categorie di creditori, riguarda l’unico immobile di proprietà e non costituisce un limite all’adozione della confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, e del sequestro preventivo ad essa finalizzato (cfr., Cass., n. 30342 del 16/06/2021; Cass., n. 8995 del 05/03/2020).
Osservava inoltre la Suprema Corte che il limite posto dal legislatore all’espropriazione immobiliare non riguarda, in realtà, la “prima casa”, ma “l’unico immobile di proprietà del debitore”, concetto evidentemente diverso da quello di “prima casa”, avendo a che vedere con la consistenza complessiva del patrimonio del debitore e non semplicemente con la qualificazione del singolo immobile oggetto di pignoramento.
La disposizione in questione, peraltro, come detto, non fissa un principio generale di impignorabilità, riferendosi solo alle espropriazioni da parte del fisco per debiti tributari e non a quelle promosse da altre categorie di creditori per debiti di altro tipo (cfr., Cass., n. 48616, del 20/09/2018, che ha ribadito che la norma in esame trova applicazione solo nell’ambito del diritto tributario e potrà pertanto precludere il sequestro preventivo solo in tale ristretto ambito, e Cass., n. 5608 del 2021).
Infine, rileva ancora la Corte, la disposizione in questione non può comunque trovare applicazione in relazione alla confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, perché l’oggetto della confisca è il profitto del reato e non il debito verso il fisco.
E i due concetti devono essere tenuti distinti, laddove il profitto di delitti consistenti nell’evasione dell’imposta per mezzo di omessa, infedele o fraudolenta dichiarazione, o di omesso versamento, che può essere oggetto di sequestro preventivo funzionale alla confisca, è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale e non comprende né le sanzioni dovute a seguito dell’accertamento del debito, che rappresentano, invece, il costo del reato stesso (cfr., Cass., n. 17535 del 06/02/2019; Cass., n. 28047 del 20/01/2017), né gli interessi maturati in favore dello Stato (Cass., n. 40358 del 05/07/2016); mentre il debito verso il fisco è sempre comprensivo dell’originario debito tributario, degli interessi e delle sanzioni (cfr., Cass., n. 7359 del 04/02/2014).
Secondo la Cassazione doveva , in definitiva, ribadirsi che il limite alla pignorabilità fissato dal comma 1, lettera a), dell’art. 76 del Dpr. n. 602 del 1973:
- si riferisce solo alle espropriazioni da parte del fisco e non a quelle promosse da altre categorie di creditori;
- non riguarda la “prima casa”, ma “l’unico immobile di proprietà del debitore”;
- non trova comunque applicazione alla confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, né al sequestro preventivo ad essa preordinato.
Infondato era poi, secondo la Corte, anche il secondo motivo di ricorso, dovendosi ribadire il consolidato principio secondo cui, in materia di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dei beni dell’amministratore, nel caso di incapienza dei beni della società rispetto al debito maturato, non presupponendo alcuna forma di responsabilità civile, può avere ad oggetto anche beni inclusi nel fondo patrimoniale familiare, in quanto su di essi grava un mero vincolo di destinazione, che non ne esclude la disponibilità da parte del proprietario che ve li ha conferiti.
In particolare, osserva la Cassazione, i beni costituenti il fondo patrimoniale possono dunque essere aggrediti dal sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, gravando sui medesimi un mero vincolo di destinazione che non attiene alla titolarità del diritto di proprietà, e quindi, al tema dell’appartenenza del bene a persona estranea al reato, sicché i beni costituenti il fondo patrimoniale rimangono comunque nella disponibilità del proprietario, o dei rispettivi proprietari e possono essere sottoposti a sequestro e a confisca in conseguenza dei reati ascritti ad uno dei conferenti (cfr., Cass., n. 23621 del 17/07/2020; Cass., n. 40362 del 06/07/2016; Cass., n. 40364 del 19/09/2012; Cass., n. 1709 del 25/10/2012).
Quanto, infine, alla eccezione di legittimità costituzionale sollevata, la Corte ne rilevava il difetto della rilevanza.
Come osservato, infatti, il limite alla espropriazione immobiliare, previsto dall’art. 76, comma 1, lett. a), Dpr. 29 settembre 1973, n. 602, riguarda l’unico immobile di proprietà del debitore, laddove, nella specie, la deduzione difensiva secondo cui l’immobile in sequestro era l’unico immobile in proprietà non trovava riscontro nell’ordinanza impugnata, nella quale il Tribunale si riferiva invece all’immobile in questione definendolo semplicemente come “prima casa”.
Si trattava quindi di questione di fatto che non poteva essere rivalutata in sede di legittimità, risultando, quindi, indimostrato il presupposto di fatto per l’applicabilità dell’art. 76 cit., con conseguente irrilevanza anche della questione di legittimità costituzionale sollevata.
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