Processo tributario: effetti del giudicato penale di assoluzione

La legge delega della riforma fiscale rivede i rapporti tra il processo penale e tributario: una analisi delle novità introdotte

Processo tributario: effetti del giudicato penale di assoluzione

La legge delega per la riforma fiscale ha prescritto di “rivedere i rapporti tra il processo penale e il processo tributario” (art. 20), stabilendo tra le altre che nei casi di sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, i fatti materiali accertati in sede dibattimentale debbono fare stato nel processo tributario quanto all’accertamento dei fatti medesimi.

In attuazione della legge delega, il Consiglio dei ministri ha poi approvato il decreto legislativo recante la revisione del sistema sanzionatorio tributario.

Effetti del giudicato penale di assoluzione nel processo tributario: le novità

Il nuovo art. 21-bis del Dlgs 74/2000, introdotto da tale decreto, prevede quindi, al comma 1, che la sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito al dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi.

Quanto sopra trova applicazione limitatamente alle ipotesi di assoluzione perché il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell’ente e società, con o senza personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore, anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati.

L’art. 20 del medesimo decreto, a conferma che non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità tra i due procedimenti (penale e tributario), esclude ancora peraltro la sospensione del procedimento tributario in pendenza di un procedimento penale.

In sostanza, a ben vedere, la nuova disciplina si conforma a quanto già previsto dall’art. 654 c.p.p. che statuiva e statuisce che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione o di condanna fa stato nel processo civile e amministrativo (e in quello tributario) solo nei confronti dei soggetti che abbiano formalmente partecipato al processo penale (limite soggettivo) e all’ulteriore condizione che i fatti ivi accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e siano gli stessi oggetto del procedimento tributario (limiti oggettivi).

In sostanza il giudice tributario, nell’esercizio dei propri poteri autonomi di valutazione ex art. 116 c.p.c., è legittimato a valutare il materiale probatorio proveniente dal procedimento penale acquisito agli atti al fine di verificarne la rilevanza ai fini fiscali, laddove solo se tale materiale, su cui si è fondata la sentenza di assoluzione, sia attinente ai medesimi fatti su cui si basa il giudizio tributario (nei limiti peraltro del petitum e del thema decidendum) lo stesso potrà superare la valenza probatoria che in tale ultimo processo assumono le presunzioni, non idonee invece, come noto, a sostenere la responsabilità penale dell’imputato (atteso che il principio di non colpevolezza enunciato dall’art. 27 della Costituzione vincola la pronuncia di una sentenza di condanna penale alla certezza della colpevolezza dell’imputato), ma ben idonee, ieri come oggi, a sostenere una pronuncia di condanna tributaria.

Solo letta in tal senso la modifica normativa risulta compatibile con l’ordinamento processuale tributario, il quale, altrimenti, sarebbe praticamente “travolto” nella sua autonomia (e dignità).

In base al nuovo disposto normativo, nei limiti sopra detti, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha del resto efficacia di giudicato nel processo tributario solo se la formula assolutoria sia “perché il fatto non sussiste”, o perché “l’imputato non lo ha commesso”. Formule assolutorie diverse, infatti, non rilevano, dato che non escludono i fatti fiscalmente rilevanti.

La formula “perché il fatto non costituisce reato”, infatti, ad esempio, accerta che il fatto esiste e che l’imputato lo ha commesso, il che conserva la sua rilevanza tributaria, non escludendosi che il fatto irrilevante ai fini penali integri comunque un illecito tributario non penale.

La formula assolutoria perché il fatto non sussiste non è inoltre vincolante nel processo tributario quando venga pronunciata non a seguito del dibattimento, ma di giudizio abbreviato.

Bisogna inoltre anche tenere presente, sempre a conferma della autonoma e paritaria “dignità” del processo tributario, che, in senso inverso, anche le sentenze irrevocabili rese nel processo tributario, così come gli atti di definitivo accertamento delle imposte in sede amministrativa che abbiano ad oggetto violazioni derivanti dai medesimi fatti per cui è stata esercitata l’azione penale, possono essere acquisiti nel processo penale ai fini della prova del fatto in essi accertato. La biunivoca corrispondenza delle due previsioni non lascia spazio ad interpretazioni alternative.

Processo penale e tributario: un’analisi delle novità della riforma fiscale

In definitiva, le risultanze del giudizio penale, cristallizzate nella sentenza, possono essere prese in considerazione, anche ai sensi dell’art. 116 cpc (si ricorda che nel processo tributario vale il rinvio generale al codice di procedura civile e non a quello di procedura penale), come possibile fonte di prova dal giudice tributario, che, tuttavia, deve sempre verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui opera la sentenza stessa.

Anche leggendo la relazione illustrativa al decreto richiamato si evince del resto che l’intento del Legislatore è quello di prevedere che:

“in coerenza con i principi generali dell’ordinamento, nei procedimenti tributari relativi a fatti materiali, già oggetto di precedenti procedimenti, conclusi con sentenza definitiva di assoluzione, perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso, tali sentenze fanno stato per quanto riguarda l’accertamento dei fatti medesimi.”

Quindi non è la sentenza che fa stato, ma l’accertamento dei fatti, se coincidenti con quelli oggetto di esame nel processo tributario.

La valenza è in sostanza sul piano meramente probatorio. Piano che il giudice (tributario) valuterà naturalmente nel complesso del materiale probatorio a sua disposizione.

In conclusione, è chiaro che le risultanze di un precedente giudicato penale impongono al giudice, che intenda giungere diverse conclusioni, di giustificare specificamente la conciliabilità del diverso esito, restando esclusa, tuttavia, soltanto la possibilità di contraddire la già accertata verificazione del medesimo fatto storico (e non c’era bisogno di una specifica previsione per tale, elementare, principio processuale).

Se è vero allora che, se vi sono autonomi giudizi relativi ad un medesimo fatto storico (come, ad esempio, l’esistenza delle operazioni sottostanti la fattura oggetto dell’imputazione), non trova ex se applicazione il principio della pregiudizialità penale, è anche vero che il giudice del diverso procedimento (tributario) è comunque tenuto a dare rilievo ai fatti che hanno portato all’assoluzione in sede penale, motivando in ogni caso espressamente circa le ragioni per le quali ritiene che quei fatti siano dirimenti (se lo sono) anche ai fini tributari, oppure, come anche possibile, le ragioni per le quali intende pervenire a diverse conclusioni rispetto al giudizio già penalmente definito.

In tali casi, devono, in particolare, essere illustrate, specificamente le ragioni della conciliabilità o inconciliabilità dei due diversi giudizi, soprattutto allorquando l’inconciliabilità verta su fatti (evidentemente diversi) posti a fondamento delle decisioni contrastanti e non su “mere” valutazioni giuridiche.

Si evidenzia, a tal proposito, che, con la sentenza Grande Camera, 10/2/2009 (caso Sergey Zolotukhin contro Russia), in tema di divieto del bis in idem, la Corte EDU ha constatato che l’art. 4 del Protocollo n. 7 deve essere interpretato nel senso che il reato è il medesimo se i fatti che lo integrano sono identici, o comunque sono sostanzialmente gli stessi, laddove l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica, considerati tutti gli elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (cfr., Cass., Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005; Cass., n. 42994 del 20/10/2021; Cass., n. 54986 del 24/10/2017; e, altresì, Corte Cost., sent. n. 200 del 2016).

Insomma, l’esame della corrispondenza e rilevanza dei fatti su cui si è basata l’eventuale assoluzione penale nell’ambito del processo tributario deve essere oggetto di un procedimento di analisi (e motivazione) molto puntuale.

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