Profili accertativi in tema di Docfa e classamento: analisi di un avviso di accertamento con il quale è stato rettificato, a seguito di dichiarazione di variazione per l'aggiornamento del Catasto Edilizio Urbano presentata con procedura Docfa, il classamento e la rendita catastale di tre unità immobiliari
Oggi analizziamo un interessante caso pratico in materia di contenzioso catastale, partendo da una datata ma sempre molto attuale sentenza della Corte di Cassazione (n. 20509/2022).
Nel caso di specie, il contribuente proponeva ricorso per cassazione avverso la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale, la quale, confermando la decisione di primo grado, aveva ritenuto legittimo l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia del Territorio (poi Agenzia delle Entrate) aveva rettificato, a seguito di dichiarazione di variazione per l’aggiornamento del Catasto Edilizio Urbano presentata con procedura Docfa, il classamento e la rendita catastale di tre unità immobiliari.
La Commissione Tributaria Regionale, in particolare, aveva osservato che:
- l’avviso di accertamento era adeguatamente motivato perché contenente gli elementi essenziali della riclassificazione sulla base di atti richiamati per relationem e già noti al contribuente;
- generiche erano le deduzioni con le quali quest’ultimo aveva inteso contraddire la correttezza delle determinazioni dell’Ufficio, tanto più che queste ultime erano fondate, come già osservato dal primo giudice, su stima UTE;
- in base all’articolo 11, 1^ co., Dl. 70/88, convertito in L. 154/88, il classamento poteva essere effettuato anche senza sopralluogo, a maggior ragione nei casi, come quello di specie, in cui l’Ufficio aveva operato con metodo comparativo riferito ad unità già censite ed aventi analoghe caratteristiche;
- la perizia di parte prodotta dal contribuente nel corso del giudizio di appello non poteva ritenersi dirimente, “per la semplice ragione che una perizia di parte non può giammai ritenersi, proprio perché tale, elemento di prova, attesa la sua valenza strutturale e funzionale di giudizio e non di fatto. Diversamente il giudice finirebbe con il conformare acriticamente il proprio convincimento a quello altrui ed anzi, peggio, a quello di una parte in processo”.
Profili accertativi in tema di Docfa e classamento: analisi di un caso pratico
Con il primo motivo di ricorso il contribuente lamentava la violazione e falsa applicazione dell’articolo 24 Cost., nonché degli articoli 3, L. 241/90 e 7, L. 212/00, per non avere la Commissione Tributaria Regionale considerato che non poteva ritenersi adeguatamente motivato un avviso di accertamento catastale che contenesse, come nella specie, soltanto l’indicazione della categoria, della classe e della rendita attribuita.
Né, rilevava il ricorrente, il difetto di motivazione poteva essere supplito con la successiva allegazione della stima UTE.
Con un secondo motivo di ricorso si lamentava poi la nullità della sentenza per motivazione apparente.
Secondo la Suprema Corte tali due censure, da trattarsi congiuntamente, erano infondate.
Evidenziano i giudici di legittimità che
“in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della cd. procedura DOCFA, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita, quando gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano disattesi dall’Ufficio e l’eventuale differenza tra la rendita proposta e quella attribuita derivi da una diversa valutazione tecnica riguardante il valore economico dei beni, mentre, nel caso in cui vi sia una diversa valutazione degli elementi di fatto, la motivazione deve essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente e sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso” (Cass. n. 31809/18)
Analogamente Cass. n. 12777/18 aveva già affermato che
“in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della cd. procedura DOCFA, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni, mentre nel caso in cui vi sia una divergente valutazione degli elementi di fatto indicati dal contribuente, la motivazione deve essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso”
Tanto premesso, la Cassazione rileva che nel caso di specie risultava, per un verso, che l’avviso di accertamento opposto conteneva tutti gli elementi essenziali di conoscenza quanto a descrizione dell’immobile, categoria, classe e rendita attribuita e, per altro verso, che alla maggiore classificazione ed attribuzione di rendita l’ufficio aveva proceduto all’esito di una istanza di aggiornamento catastale proposta dallo stesso contribuente e fatta oggetto di rideterminazione, da parte dell’ufficio, sotto il solo profilo della valutazione economica ed estimativa, ma senza variazioni o contestazioni di consistenza fattuale delle unità immobiliari.
Questo, come visto, rendeva adeguatamente motivato l’avviso di accertamento, in quanto idoneo a porre il contribuente in condizione di cogliere tutti gli elementi della più gravosa classificazione, così come di esaurientemente contestarlo, in ambito giudiziario, con riguardo a tutti i suoi elementi costitutivi fondamentali.
Con un terzo motivo di ricorso, il contribuente deduceva poi l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dalla presenza, nella stessa zona dell’abitato ed anche nella stessa particella catastale, di unità immobiliari con caratteristiche simili a quelle dedotte in giudizio, ma recanti un classamento inferiore che l’Amministrazione finanziaria non aveva contestato.
Ciò risultava da tutta una serie di visure prodotte in giudizio che la Commissione Tributaria Regionale non aveva esaminato, così come non era stata sul punto vagliata la perizia di parte.
Con un quarto motivo di ricorso si affermava inoltre la violazione degli articoli 24 Cost., 2697 cod.civ. e 115 cod. proc. civ., per avere la Commissione Tributaria Regionale omesso di prendere in esame la perizia tecnica prodotta ritualmente in giudizio, dalla quale doveva evincersi la dimostrazione dell’illegittimo classamento attribuito, avendo i giudici di merito pregiudicato il diritto di difesa del contribuente laddove avevano giustificato il mancato esame della perizia per il solo fatto della sua provenienza dalla parte in causa.
Con un quinto motivo di impugnazione, infine, il contribuente deduceva l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito proprio da quanto emergente dalla perizia tecnica, oltre che dalla documentazione catastale e fotografica di corredo, dimostrativa del fatto che nella stessa zona vi erano immobili similari recanti una minore classificazione.
Questi tre motivi di ricorso, anch’essi suscettibili di trattazione unitaria per la stretta connessione delle censure sollevate, secondo la Cassazione erano invece fondati nei termini che seguono.
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La posizione della Corte di Cassazione su Docfa e classamento
Ricorda la Corte che si è in proposito più volte stabilito che “nel processo tributario, nel quale esiste un maggiore spazio per le prove cosiddette atipiche, anche la perizia di parte può costituire fonte di convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento della decisione a condizione che spieghi le ragioni per le quali la ritenga corretta e convincente” (Cass., n. 6038/22; Cass., n. 2193/15).
Si è altresì affermato (Cass., n. 6139/21) che: “In tema di accertamenti tributari, qualora la rettifica del valore di un immobile si fondi sulla stima dell’UTE o di altro ufficio tecnico, che ha il valore di una semplice perizia di parte, il giudice investito della relativa impugnazione, pur non potendo ritenere tale valutazione inattendibile solo perché proveniente da un’articolazione dell’Amministrazione finanziaria, non può considerarla di per sé sufficiente a supportare l’atto impositivo, dovendo verificare la sua idoneità a superare le contestazioni dell’interessato ed a fornire la prova dei più alti valori pretesi ed essendo, altresì, tenuto ad esplicitare le ragioni del proprio convincimento”.
Questi indirizzi, che nell’ambito di un giusto processo devono evidentemente valere tanto per il contribuente quanto per l’ente impositore, secondo la Cassazione, risultavano quindi violati, dal momento che:
- il contribuente aveva dedotto fin dal primo grado di giudizio (con motivi riformulati in appello) l’illegittimità dell’avviso di accertamento in questione, poiché non teneva conto di tutta una serie di elementi rilevanti ai fini della stima, così come evincibili da visure catastali e documentazione fotografica di immobili, asseritamente analoghi, siti nella stessa zona ed anche ricompresi all’interno della stessa particella catastale della proprietà del contribuente stesso;
- queste argomentazioni difensive, integrative di un vero e proprio motivo di opposizione all’avviso di classamento, erano state anche corroborate in grado di appello mediante la produzione di documentazione e di una perizia tecnica, avente lo scopo di confutare la maggiore rendita risultante dalla stima UTE richiamata dall’Ufficio;
- la Commissione Tributaria Regionale non aveva mostrato di farsi minimamente carico degli elementi fattuali e tecnici così introdotti, e ciò sulla base di una motivazione che si poneva in effetti in aperto contrasto con i principi di difesa e di “parità delle armi” nel processo, oltre che con le regole di valutazione probatoria e di formazione del convincimento del giudice.
In particolare, in conclusione, emergeva chiaramente che i giudici di merito non avevano deliberatamente preso in esame la perizia di parte contribuente per il solo fatto della sua provenienza, laddove, così facendo, non avevano considerato che prendere in esame e valutare la perizia di parte (motivando poi sul proprio convincimento) non ne implicava di certo, per ciò soltanto, il recepimento “acritico” e che, sotto diverso aspetto, quanto paventato con riferimento alla perizia della parte contribuente si verificava invece a favore dell’Amministrazione finanziaria, la cui stima UTE era stata dai giudici tributari condivisa proprio in assenza di qualsivoglia vaglio critico in grado di dare conto delle diverse ragioni e risultanze istruttorie offerte dalla parte contribuente.
Infine, era invece infondato il sesto motivo di ricorso, con il quale si deduceva la violazione e falsa applicazione dell’articolo 61 del Dpr. 1142 del 1949, il quale fa obbligo di far precedere il classamento da visita-sopralluogo.
Rileva la Corte che è già stato in proposito stabilito (Cass., n. 374/17) che:
“In tema di estimo catastale, la revisione delle rendite catastali urbane in assenza di variazioni edilizie non richiede la previa “visita sopralluogo” dell’ufficio, né il sopralluogo è necessario quando il nuovo classamento consegua ad una denuncia di variazione catastale presentata dal contribuente, atteso che le esigenze sottese al sopralluogo ed al contraddittorio si pongono solo in caso di accertamento d’ufficio giustificato da specifiche variazioni dell’immobile”.
Nel senso della non-necessità di sopralluogo in assenza di variazioni edilizie e stante l’assenza di un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale si è poi espressa anche Cass., n. 21923/12, la quale ha aggiunto che l’esigenza di visita-sopralluogo va senz’altro esclusa “quando il nuovo classamento consegua ad una denuncia di variazione catastale presentata dal contribuente”, secondo quanto si desume dall’art. 11, comma 1, d.l. n. 70 del 1988, convertito nella legge n. 154 del 1988.
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