Per la detrazione dell'IVA il contribuente deve anche provare che le operazioni passive sono state effettivamente compiute nell'esercizio d'impresa, in stretta connessione di strumentalità con le finalità imprenditoriali. Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione in materia
In materia di IVA, mentre le cessioni di beni da parte di società commerciali sono da considerare “in ogni caso” effettuate nell’esercizio di impresa, per gli acquisti di beni e servizi il requisito dell’inerenza, ai fini della detraibilità dell’imposta, non può presumersi sulla base della sola qualità di imprenditore dell’acquirente, essendo onere di chi invoca la detrazione provare che tali operazioni passive sono state effettivamente compiute nell’esercizio d’impresa, cioè in stretta connessione di strumentalità con le finalità imprenditoriali.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 34359/2023.
Operazioni preparatorie: per la detrazione dell’IVA l’onere della prova spetta al contribuente, la sentenza
Il procedimento deriva da un avviso di accertamento notificato a una società, con il quale l’ufficio recuperava l’IVA, avendo rilevato l’inesistenza di alcuna attività commerciale.
Il contribuente proponeva ricorso, rigettato dalla CTP. Stessa sorte in sede di appello, in cui la CTR ha respinto l’impugnazione della società ritenendo non fornita alcuna prova della destinazione ad attività commerciale delle spese sostenute per le quali è stata chiesta la detrazione.
Di conseguenza, il giudice di merito ha ritenuto contrastante la detrazione dell’IVA con le risultanze della dichiarazione nella quale, nel quadro VE, non si indica alcuna operazione imponibile IVA, così ritenendo legittimo il recupero di detto importo.
Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per Cassazione, denunciando violazione degli artt. 4 e 19 del DPR n. 633/1972, per avere la CTR - così come il giudice del primo grado - considerato elemento fondamentale per la detraibilità l’esercizio attuale dell’attività commerciale.
Nel ritenere inammissibile il motivo di ricorso, la Corte di Cassazione ha ritenuto che l’imprenditore fosse in concreto sprovvisto della qualifica di soggetto esercente attività commerciale di impresa, valevole per la detrazione dell’IVA.
La giurisprudenza della Corte di legittimità ha ricordato che, in tema di IVA, in base alla disciplina dettata dall’art. 4, secondo comma, DPR n. 633/1972, nonché dalla sesta direttiva del Consiglio n. 77/388/CEE 1977, ai fini della detrazione o del rimborso dell’imposta assolta sulle operazioni passive (come gli acquisti di beni) non è sufficiente rivestire formalmente la qualifica di imprenditore, dovendosi verificare in concreto l’inerenza e la strumentalità del bene o del servizio acquistato rispetto alla specifica attività imprenditoriale, compiuta o anche solo programmata.
Ne consegue che la compatibilità dell’operazione con l’oggetto sociale costituisce mero indizio della inerenza all’effettivo esercizio dell’impresa, della cui dimostrazione è onerato il contribuente.
Detrazione dell’IVA: spetta al contribuente dimostrare il requisito dell’inerenza del bene all’attività d’impresa
Va peraltro ricordato che la nozione tributaristica dell’esercizio di imprese commerciali non coincide con quella civilistica, giacché il DPR n. 633/1972, art. 4, in materia di IVA (così come l’art. 55 del TUIR, in materia di imposte sui redditi) intende per esso l’esercizio professionale e abituale, ancorché non esclusivo, delle attività indicate dall’art. 2195 c.c., nonché delle attività indicate dall’art. 2135 c.c., anche se le stesse non siano organizzate in forma di impresa, dunque prescindendo dal requisito organizzativo, che al contrario rappresenta un elemento qualificante e indispensabile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti civilistici.
In particolare, quanto alla detrazione in base alla disciplina dettata dagli artt. 4, secondo comma, n. 1, e 19, primo comma, del DPR n. 633 del 1972, mentre le cessioni di beni da parte di società commerciali sono da considerare “in ogni caso” - cioè senza eccezioni - effettuate nell’esercizio di impresa, per gli acquisti di beni da parte delle stesse società il requisito dell’inerenza, ai fini della detraibilità dell’imposta, non può presumersi sulla base della sola qualità di imprenditore dell’acquirente, essendo onere di chi invoca la detrazione provare che tali operazioni passive sono state effettivamente compiute nell’esercizio d’impresa, cioè in stretta connessione di strumentalità con le finalità imprenditoriali.
Nel caso di specie, pur confermandosi che in linea generale rientrano nel concetto di strumentalità anche le attività meramente preparatorie, risulta dirimente l’accertamento di fatto operato dalla CTR, secondo il quale dal registro degli acquisti si rilevano soltanto gli estremi delle fatture e la denominazione dei fornitori, ma nulla è dato riscontrare in ordine alla natura delle operazioni.
Il contribuente, da parte sua, non ha dato prova del collegamento tra i costi e l’attività d’impresa - anche quella programmata come da svolgersi nel futuro - perché non ha prodotto le fatture attestanti la tipologia dei costi.
Infatti, è onere del contribuente dimostrare il requisito dell’inerenza del bene all’attività d’impresa, vale a dire non solo che l’atto di acquisto del bene in parola ha natura preparatoria rispetto all’attività d’impresa che ha dichiarato di voler avviare, ma che esso è tale rispetto ad una attività imprenditoriale effettiva, per quanto da materializzarsi nel futuro.
Alla luce di tali considerazioni il ricorso proposto dalla società è stato rigettato.
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