Decreto Dignità, abrogazione necessaria? Serve maggiore flessibilità nella gestione dei contratti a termine, secondo l'avvocato Gabriele Fava audito il 10 marzo 2021 presso la Commissione Lavoro della Camera. A dargli ragione i dati Istat riportati dai Consulenti del Lavoro nell'approfondimento del 9 marzo 2021.
Il Decreto Dignità, per la parte relativa al contratto a termine, è ancora una volta sotto la lente di ingrandimento, e si inizia a paventare l’ipotesi di una sua abrogazione.
Si ritorna a valutare in Parlamento un possibile superamento delle causali relative ai rinnovi dei contratti a tempo determinato, introdotte in un’ottica di lotta al precariato e stabilizzazione del mercato del lavoro.
La discussione riguarda proprio l’attuale disciplina del contratto a termine che, in estrema sintesi, vincola il rinnovo a dei motivi specifici, le “cause del termine del contratto”. In loro assenza il contratto si deve trasformare in indeterminato o non può essere rinnovato.
È stata un’occasione di confronto l’audizione dell’avvocato Gabriele Fava presso la Commissione Lavoro della Camera, tenutasi il 10 marzo 2021 nell’ambito della discussione della risoluzione “Rizzetto”, concernente l’applicazione della normativa in materia di contratti a tempo determinato introdotta dal Decreto Dignità.
Un tema che oggi assume ancora più importanza alla luce delle deroghe introdotte in via transitoria per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 che dovrebbero trovare applicazione fino al 31 marzo 2021.
Deroghe che, tra le previsione coinvolte, hanno “congelato” sino alla fine di marzo l’obbligo per il datore di lavoro di indicare la causale che giustifichi la proroga o il rinnovo di un contratto a termine.
Un superamento del sistema della causali, peraltro, trova ragione sia nelle rimostranze degli esperti e delle parti sociali sia da quanto emerge dai dati Istat sull’occupazione negli ultimi anni riportati dalla Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro, che nell’approfondimento del 9 marzo 2021 mostrano un quadro non particolarmente roseo.
Decreto Dignità: contratto a termine con causali da abrogare?
Le finalità della disciplina introdotta con il Decreto Legge n. 87 del 12 luglio 2018 (Decreto Dignità), e quindi delle regole che dovrebbero tornare applicabili dal 1° aprile, erano di contrastare la precarietà, scoraggiando il ricorso ai contratti a termine, in favore di una stabilizzazione del lavoratore attraverso la trasformazione in rapporti a tempo indeterminato.
- Fondazione Studi Consulenti del Lavoro - approfondimento del 9 marzo 2021
- Scarica l’approfondimento sugli effetti del decreto Dignità
La scelta tra l’assumere stabilmente e mettere alla porta un dipendente, secondo i dati Istat illustrati dai Consulenti del Lavoro nell’approfondimento citato, si è tradotta paradossalmente in una diminuzione dei contratti a tempo indeterminato nei primi 12 mesi di vigenza del Decreto Dignità (luglio 2018 - luglio 2019).
Se da una parte, infatti, viene confermato un aumento generale dell’occupazione di 114.000 unità (0,5 per cento in più rispetto al 2017), dall’altra si registra un calo dei rapporti indeterminati di 53.000 unità (0,4 per cento in meno rispetto al 2017) e, paradossalmente, un ampliamento di 142.000 occupati a termine (più 4,9 per cento).
Il dato sull’aumento dell’occupazione nel primo anno di vita del Decreto Dignità, tra l’altro, va letto in rapporto con quanto si registra nell’analogo periodo immediatamente precedente (luglio 2017 - giugno 2018), in cui si era riscontrato un incremento di 279 mila unità a fronte dei citati 142 mila occupati in più da luglio 2018.
Decreto Dignità sotto osservazione: le proposte di alcuni esperti
Che il Decreto Dignità abbia disatteso le iniziative lo sostengono in molti, uno fra tutti il deputato Walter Rizzetto, capogruppo della Commissione Lavoro alla Camera e primo firmatario della risoluzione 7-00156 con cui si richiede la modifica proprio del decreto del 2018.
In occasione dell’ultima audizione sul tema il 10 marzo 2021, l’avvocato Gabriele Fava ha ribadito la necessità di ritornare ad una maggiore flessibilità e semplificazione del regime dei contratti a termine che, in forza della disciplina attuale sembra imbrigliare sia lavoratori che imprese, a detta dei promotori di una riforma.
Durante la sua relazione, infatti, l’avvocato Fava ha avuto modo di avanzare delle proposte per una modifica del regime ordinario, con l’eliminazione delle causali giustificative dei rapporti a tempo determinato in un’ottica di maggiore elasticità al passo con le concitate tempistiche delle aziende.
La prima proposta ha riguardato il fondamentale ruolo delle parti sociali a cui deve essere attribuita ampio spazio di manovra.
La contrattazione collettiva, secondo quanto sostenuto dall’avvocato Fava, deve infatti essere chiamata a delineare una formula di contratto a tempo determinato più vicino all’esigenze del singolo comparto produttivo e dei lavoratori che vi appartengono.
Un compito demandato alla contrattazione collettiva che, però, dovrebbe essere al contempo sostenuto dal Legislatore con l’introduzione di una normativa generale senza le rigidità che, a detta dei suoi detrattori, presenta il Decreto Dignità.
“Si propone l’introduzione di una disciplina normativa semplice ed immediata che sia in grado di garantire il repentino accesso al contratto di lavoro a tempo determinato, sorretto però dalla disciplina di dettaglio introdotta dalla contrattazione collettiva nazionale e decentrata, frutto naturalmente del compromesso delle parti sociali”,
ha commentato l’avvocato Gabriele Fava.
Proposte di riforma che, peraltro, siano corredate da un ulteriore intervento normativo volto a incentivare l’attività di formazione adeguata del lavoratore precario, con lo scopo di favorire la conversione del rapporto da determinato a indeterminato.
In tal senso si pone l’ultima proposta presentata, che ipotizza un obbligo formativo in capo al datore di lavoro, sorretto da idonei incentivi statali, al fine di incoraggiare la stabilizzazione del lavoratore in azienda, in risposta ad un interesse non solo del lavoratore ma anche del datore di lavoro.
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