Con la sentenza n. 26707/2023, la Corte di Cassazione si è espressa sul tema della non deducibilità dei costi nel caso di illeciti penalmente rilevanti
I giudici della Suprema Corte ritengono sussista un limite alla deducibilità riferito alla diretta utilizzazione di costi o spese per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo.
Con la sentenza n. 26707/2023, la Corte di Cassazione si è espressa sul tema. Una panoramica del caso in esame.
La fattispecie all’attenzione della Corte: confronto con i precedenti gradi di giudizio
L’Agenzia delle Entrate si è vista accogliere il ricorso presentato dinanzi alla Corte di Cassazione dopo essere stata soccombente nei primi due gradi di giudizio in relazione ad una fattispecie avente ad oggetto la deducibilità dei costi collegati a condotte penalmente rilevanti.
In particolare, in esito al giudizio di primo grado veniva accolto il ricorso della società contribuente, riconoscendosi come deducibili i costi relativi all’impiego di manodopera in mobilità, sulla base dell’assunto che il costo sopportato per la manodopera realmente impiegata nel ciclo della lavorazione fosse un costo effettivo e pertanto non collegato all’attività posta in essere dalla società per sottrarsi al pagamento dei contributi previdenziali relativi e per lucrare le corrispondenti agevolazioni.
Analogamente, la competente CTR in appello ha confermato la decisione di primo grado, ritenendo che la società ha dedotto costi relativi al personale regolarmente assunto, trattandosi di costi che hanno retribuito il lavoro lecito svolto dal personale.
I giudici di secondo grado hanno quindi ritenuto si trattasse di costi estranei all’illecito per i quali non può trovare applicazione il limite della tassazione posta alle attività illecite.
Ciò premesso, a diverse conclusioni sono pervenuti con la pronuncia in commento i giudici della Suprema Corte, sulla base delle seguenti argomentazioni, che tengono conto della disciplina recata dall’articolo 14, comma 4-bis della legge n. 537 del 1993, e s.m.i.
Tale disposizione prevede che:
“nella determinazione dei redditi di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale (…).”
Limiti alla deducibilità dei costi: il perimetro tratteggiato dalla giurisprudenza
L’articolo 14, comma 4-bis opera alla stregua di “ius superveniens” avente efficacia retroattiva “in bonam partem”, ed applicabile al caso di specie.
In relazione a tale disciplina, la giurisprudenza ha precisato che l’acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, anche nell’ipotesi in cui sia consapevole del loro carattere fraudolento, salvi i limiti derivanti, dai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità, mentre è esclusa la deducibilità dei costi delle operazioni oggettivamente inesistenti.
Un limite alla deducibilità è riferito alla diretta utilizzazione di quei costi o spese per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo.
È stato a tal fine chiarito che in tema di tassabilità dei proventi da attività illecita, ai sensi della legge n. 537/1993, nella formulazione introdotta dall’articolo 8, comma 1, del DL n. 16 del 2012, norma integrante “ius superveniens”, astrattamente più favorevole al contribuente e quindi avente efficacia retroattiva, l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, con la richiesta di rinvio a giudizio, è sufficiente ad escludere la deducibilità dei costi e delle spese dei beni o delle prestazioni di servizi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo.
Non sono pertanto deducibili i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività nel caso di illeciti penalmente rilevanti.
Inoltre, ai sensi del predetto articolo 14, comma 4-bis, devono ritenersi costi o spese direttamente “utilizzati” per il compimento del delitto, ed in quanto tali non deducibili, anche quelli sostenuti in un momento successivo al perfezionamento della fattispecie delittuosa ogni volta in cui il loro sostenimento trovi titolo nell’assunzione, da parte dell’agente, di una obbligazione strutturalmente funzionale alla realizzazione del delitto.
Con riferimento alla fattispecie in esame, il costo relativo al reclutamento del personale - collocato nelle liste di mobilità di una società - per quanto regolarmente sostenuto e appostato in bilancio, era direttamente connesso alla fattispecie di reato (vale a dire truffa ai danni dell’INPS) e quindi indeducibile ai sensi della norma indicata. Ciò in quanto l’illecito commesso al momento della irregolare assunzione dalle liste di mobilità per ottenere i benefici economici consistenti nella riduzione dell’aliquota contributiva ha dato titolo all’obbligazione funzionale alla realizzazione del delitto, consistita nel pagamento dello stesso personale.
Al riguardo, la Corte ha già stabilito che, in tema di reati tributari, l’indeducibilità dei componenti negativi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di delitti non colposi non deriva esclusivamente dal loro impiego per finanziare atti immediatamente qualificabili come delitto doloso, ma anche dalla loro inerenza a più generali attività delittuose alle quali l’impresa non sia estranea e per il cui perseguimento abbia sostenuto i costi fittiziamente fatturati, ancorché realmente sostenuti.
Costi non deducibili, liceità del lavoro e notizia di reato
Pertanto, va confermato il principio per cui non sono deducibili dal reddito i costi sostenuti da una società per ingaggiare personale collocato nelle liste di mobilità da altre società del gruppo, fruendo di indebite agevolazioni contributive ai danni dell’INPS, in quanto direttamente connessi al reato di truffa nei confronti dell’ente.
La Corte di Cassazione contesta pertanto l’interpretazione fornita dai giudici di secondo grado che avevano deciso in ordine alla deducibilità dei costi di manodopera, basandosi unicamente sulla liceità del lavoro retribuito e svolto dai dipendenti, senza che fosse attribuita rilevanza alla esistenza o meno di un legame strutturale-funzionale tra il costo del lavoro recuperato a tassazione e il compimento delle fattispecie di reato, oggetto di un processo penale.
Infatti, per quanto in linea generale le prestazioni lavorative non possono integrare di per sé un atto delittuoso, occorre considerare che affinché i relativi costi possano essere dedotti è necessario che tali attività non siano inerenti a più generali attività delittuose svolte dall’impresa.
In presenza di una notizia di reato, il giudice di merito, per riconoscere la deducibilità dei costi in esame, avrebbe dovuto indagare se l’acquisizione di fattori produttivi (costo della manodopera) funzionali allo svolgimento dell’attività lecita d’impresa, fossero in un rapporto di strumentalità con la commissione del reato.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Costi indeducibili in presenza di reato