La Corte di Cassazione precisa che non assumono rilevanza i limiti probatori di cui all'articolo 20 del TUR. I chiarimenti della sentenza n. 12450 del 2024
Nella controversia esaminata dalla Corte di Cassazione, l’Agenzia delle entrate emetteva un avviso di accertamento nei confronti di una società esercente attività alberghiera, con cui recuperava l’Iva indebitamente detratta in relazione ad una compravendita immobiliare.
In particolare, l’Ufficio riteneva che l’operazione non costituisse una compravendita immobiliare ma una cessione di azienda, relativa all’esercizio di una attività alberghiera, come tale non soggetta ad Iva.
La cessione di azienda e il trasferimento di immobili: a cavallo tra imposta di registro ed Iva
Il ricorso, proposto dalla società che contestava la qualificazione dell’atto come cessione di azienda, veniva rigettato dalla Commissione tributaria di primo grado e la sentenza veniva confermata dal giudice di appello.
In premessa, si fa presente che la cessione di azienda, nel sistema delle imposte indirette, figura come un atto fuori dal campo di applicazione dell’Iva e pertanto soggetto ad imposta di registro in misura proporzionale; diversamente, laddove non riconducibile allo schema della cessione di azienda, il trasferimento di un bene immobile posto in essere da un soggetto passivo Iva, è soggetto ad Iva.
Ciò premesso, la Corte di Cassazione, adita dalla società già soccombente nei due precedenti gradi di giudizio, procedeva ad un inquadramento sistematico della fattispecie ai fini delle imposte indirette.
In particolare, la Corte osserva che l’Iva è una imposta generale sul consumo e sugli scambi, che si applica alle attività commerciali che comportano la produzione e la distribuzione di beni e la prestazione di servizi a titolo oneroso.
Come noto, il meccanismo di calcolo tiene conto del valore aggiunto ai beni e ai servizi per ogni fase della produzione e/o della distribuzione e l’imposta grava sul consumatore finale in proporzione al prezzo finale di vendita, mentre per gli operatori economici viene assolta in regime di neutralità.
Dunque, l’Iva è un’imposta indiretta sulla cifra d’affari poiché ciò che assume rilievo è l’operazione economica.
Al riguardo, la Corte UE si è ripetutamente pronunciata sulla natura delle attività e sulle condizioni rilevanti per il loro assoggettamento ad Iva, precisando che esse debbono:
- essere riconducibili alle attività economiche di cui all’art. 9 della direttiva n. 2006/112/CE;
- essere effettuate a titolo oneroso;
- comportare lo sfruttamento di un bene al fine di conseguirne introiti.
Ai fini di tale verifica, inoltre, non rilevano né lo scopo perseguito dall’attività, né il conseguimento di risultati ed è necessario che:
- sussista un nesso diretto tra la cessione di beni o la prestazione di servizi ed il corrispettivo realmente percepito dal soggetto passivo, ossia un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni;
- l’attività sia diretta al conseguimento stabile di introiti.
I relativi accertamenti, infine, sono svolti con pienezza di strumenti e con piena rilevanza di tutti gli elementi, compresa l’intenzione della parte e le altre circostanze di fatto relative alla specifica vicenda.
L’imposta di registro, invece, è un’imposta d’atto: ciò che assume fondamentale rilievo è l’atto, vale a dire la sua riconducibilità ad uno specifico schema negoziale, che viene tassato in sé e non per il valore dell’operazione economica in esso contenuta o per l’arricchimento che da esso può derivare, che resta nozione estranea a questa imposizione.
La Corte di Cassazione aveva privilegiato - con orientamento pressoché unanime una interpretazione causale e sostanziale della disposizione recata dall’articolo 20 del TUR.
Successivamente, in seguito alla modifica del predetto articolo 20, tale ultima norma prevede che:
“L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi.”
Dunque, ai fini dell’imposta di registro, è ininfluente la sostanza dell’operazione economica poiché assume esclusivo rilievo la formale riconduzione dell’atto ad uno schema negoziale, valutazione che può e deve essere operata esclusivamente “sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo”.
Si tratta di un principio coerente con la natura dell’imposta e “con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione”, idoneo a ricondurre la norma all’interno del suo alveo originario dove l’interpretazione, in linea con le specificità del diritto tributario, risulta circoscritta agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, senza che possano essere svolte indagini circa effetti ulteriori, salvo che ciò sia espressamente stabilito dalla stessa disciplina del testo unico.
Sulla base della disciplina normativa vigente, dunque, Iva e imposta di registro si fondano su presupposti impositivi diversi: nell’un caso assume rilievo l’operazione economica in concreto realizzata; nell’altro, invece, rileva solamente la specifica connotazione (e riconduzione ad uno schema legale) dell’atto giuridico da registrare, risultando irrilevante, di per sé, la complessiva fattispecie sostanziale.
Cessione di azienda senza limiti probatori
Tra le due imposte, oltre ad essere differenti i presupposti impositivi, sono differenti l’oggetto della prova e il contenuto della stessa.
Il principio di alternatività pone un nesso funzionale tra di esse, ma questo ha natura unilaterale ed impone solamente che, ove sia stata accertata la debenza dell’Iva, l’imposta di registro sia dovuta in misura fissa.
Esula invece dalla fattispecie normativa, l’ipotesi di operazione non soggetta ad Iva, dato che, in questo caso, l’imposta di registro va determinata ai sensi dell’articolo 20 del TUR.
Esula altresì l’ipotesi simmetrica: l’accertamento dell’imposta di registro – e la sua determinazione in misura fissa o proporzionale - non influisce sulla debenza o meno dell’Iva, la cui valutazione resta autonoma ed ancorata al complessivo contesto in cui si inserisce l’operazione (e non riguarda l’atto).
Ne deriva, in particolare, che i limiti probatori di cui all’articolo 20 del TUR (il solo dato testuale dell’atto) riguardano solo l’imposta di registro e non rilevano ai fini dell’accertamento dell’Iva.
Ciò premesso, la Corte afferma che: in tema di Iva, l’accertamento che l’operazione economica posta in essere sia riconducibile o meno ad una cessione d’azienda va operato effettuando una valutazione globale di tutte le circostanze del caso di specie senza che assumano rilievo i limiti probatori di cui all’articolo 20 del TUR, trattandosi di disposizione applicabile solo ai fini della determinazione dell’imposta di registro; né rileva il principio di alternatività di cui all’art. 40 TUR, che pone un nesso funzionale unilaterale tra Iva e imposta di registro per la sola ipotesi in cui sia stata accertata la debenza dell’Iva, derivandone l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa.
Tutto ciò premesso, l’articolo 20 del TUR è estraneo all’accertamento ai fini Iva.
Ad ogni modo, il giudice d’appello, non solo, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, non ha fatto alcun esplicito riferimento a tale norma, ma, in concreto, ha compiuto una verifica del tutto in linea con i principi della Corte di Giustizia e, dunque, con la necessità di un accertamento di tutti gli elementi comunque rilevanti nello specifico contesto.
Inoltre, tale accertamento risulta effettuato con una motivazione articolata, ancorata a puntuali riscontri in fatto, come tale non suscettibile di sindacato in sede di legittimità.
La ricorrente inoltre contesta la qualificazione dell’operazione di vendita immobiliare come cessione d’azienda non avendo adeguatamente tenuto in considerazione il (vero) oggetto del contratto intercorso tra le parti.
A tal proposito, la Corte ritiene che la censura lamenta irritualmente l’erronea interpretazione del contratto “inter partes”, neppure denunciando la violazione dei criteri di interpretazione contrattuale.
In ogni caso, la valutazione operata sulla configurabilità della cessione d’azienda è conforme ai principi affermati dalla Suprema Corte.
Al riguardo, la Corte di Cassazione, nel ricostruire il pregresso “iter” processuale, ha evidenziato che la Commissione di secondo grado, con ampia ed articolata motivazione, ha posto in risalto gli elementi di fatto riscontrati in occasione dei sopralluoghi operati sia quanto alle dotazioni dell’immobile trasferito, destinato ad attività alberghiera, sia in relazione alle circostanze relative alla concreta gestione dell’azienda già prima del rogito, sia con riferimento ai vari passaggi proprietari che hanno caratterizzato la vicenda, così da concludere che attraverso l’apparente acquisto del solo immobile la società ha acquisito l’azienda e i suoi beni strumentali, che nel caso di un albergo non possono essere sostanzialmente che l’arredo e altri beni, tali - nel caso di specie - da costituire quantomeno quel residuo di organizzazione necessario perché si versi in ipotesi di cessione d’azienda.
Obiettivo della nuova società non poteva che essere l’azienda alberghiera.
Appare così evidente, conclude la Corte, come si sia qualificato come alienazione di immobile quella che è una cessione di azienda (costituita dall’immobile e dal complesso dei beni mobili).
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Per appurare l’esistenza di una cessione di azienda occorre valutare tutte le circostanze