Essere convocati per fornire chiarimenti in merito a verifiche effettuate nei confronti di altri soggetti implicati in reati diversi non significa essere stati avvertiti dello svolgimento di un accertamento nei propri confronti. Il principio è oggetto della sentenza della Corte di Cassazione del 19 giugno
L’essere stato convocato per chiarimenti nell’ambito di verifiche svolte nei confronti di un soggetto eventualmente implicato in un diverso reato, non equivale ad avere avuto cognizione di un accertamento compiuto nei propri confronti, tanto più alla luce dell’attributo “formale” della conoscenza richiesta, il quale postula che l’accertamento sia quantomeno riferito al soggetto interessato.
È questo il principio dettato dalla sentenza della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26274 del 19 giugno 2023.
Sapere di accertamenti verso terzi non inficia il ravvedimento: la pronuncia della Corte di Cassazione
Il fatto oggetto di intervento da parte della Corte di Cassazione, e deciso con la sentenza n. 26274 del 19 giugno 2023, trae origine dall’impugnazione, da parte di una Procura della Repubblica, della sentenza con la quale il giudice per l’udienza preliminare aveva assolto l’imputato dal reato di cui all’articolo 2, del Dlgs n. 74/2000, per aver indicato nella dichiarazione dei redditi elementi passivi fittizi, avvalendosi di fatture aventi ad oggetto operazioni inesistenti, per essere il fatto non punibile ai sensi dell’art. 13 del Dlgs n. 74/2000, avendo provveduto al pagamento integrale del debito tributario.
La Procura deduce erronea interpretazione della disposizione di cui all’art. 13, comma 2, del citato decreto, in quanto il ravvedimento operoso con integrale pagamento del debito tributario, non era intervenuto prima che l’autore del reato avesse avuto formale conoscenza di accessi, verifiche, ispezioni o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimento penale, ma successivamente ad esso, essendo stato convocato dall’Agenzia delle Entrate per fornire chiarimenti nel corso di una verifica compiuta nei confronti di un terzo, che aveva emesso fatture per operazioni che si ipotizzavano inesistenti, indirizzate alla ditta individuale dell’imputato.
In particolare, la Procura si duole del fatto che il giudice non abbia considerato le richieste di chiarimenti rivolte all’imputato dall’Agenzia delle Entrate come uno degli atti in grado di determinare formalmente la conoscenza di un accertamento amministrativo, non potendosi ritenere che in quella fase le indagini nei confronti della società emittente le fatture false non fossero indirizzate anche all’imputato, quale utilizzatore delle fatture false: ciò in quanto la norma in questione non richiede, secondo il ricorrente, che l’attività di accertamento amministrativo debba essere rivolta al soggetto potenzialmente interessato al ravvedimento, essendo carente l’espressione linguistica “nei suoi confronti”.
Richiama in proposito la parallela previsione contenuta nella legge n. 186/2014, in tema di discovery closure, ove il legislatore ha ritenuto espressamente di precisare che la preclusione alla collaborazione volontaria scatta anche quando il contribuente abbia avuto conoscenza di accessi e indagini “anche nei confronti di obbligati solidali o concorrenti nel reato”.
Il pensiero degli Ermellini
Gli Ermellini prendono le mosse dall’articolo 13, del Dlgs n. 74/2000, secondo cui i reati di cui agli articoli 2, 3, 4, e 5 non sono punibili se i debiti tributari, compresi sanzioni e interessi, siano stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito di ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa, entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo:
“sempre che il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo di procedimenti penali.”
Si tratta di una:
“causa di esclusione della punibilità in senso stretto, in quanto si innesta su un fatto tipico, antigiuridico e colpevole, cui tuttavia il legislatore, al verificarsi di circostanze esterne al fatto che non ne attenuano il disvalore, per ragioni di convenienza e di opportunità, rinuncia all’irrogazione ed esecuzione della pena.”
La ratio sottostante è stata individuata dalla Relazione illustrativa alla riforma nella scelta di concedere al contribuente la possibilità di eliminare la rilevanza penale della propria condotta attraverso una piena soddisfazione dell’Erario, e dunque quella di far prevalere le pretese dell’Erario su quelle inerenti alla potestà punitiva.
Tale speciale istituto premiale, finalizzato ad ottenere il “ravvedimento” e la percezione, in capo all’Erario, del debito fiscale dovuto, esprime l’esigenza di una sorta di “spontaneità” individuata in un agire tempestivo e anticipatorio rispetto alla formale conoscenza di un accertamento fiscale o di un procedimento penale.
“In tal senso, deve essere interpretato il limite, di natura soggettiva, che l’estinzione del debito tributario avvenga prima che l’interessato abbia avuto formale conoscenza di qualunque accertamento, di natura penale o amministrativa.”
La norma infatti preclude l’effetto della esclusione della punibilità qualora l’interessato abbia avuto la conoscenza formale dell’inizio di qualunque attività di accertamento, amministrativo o penale, elencando alcuni atti tipici, quali accessi, ispezioni, verifiche, e facendo riferimento all’inizio di “qualunque attività di accertamento amministrativo”, ove l’espressione suddetta comprende, in via residuale, tutti i casi in cui l’interessato abbia avuto formalmente notizia di un accertamento di natura amministrativa.
Tuttavia, mentre con riferimento al procedimento penale, il concetto di “formale conoscenza” rinvia ad atti tipici, descritti nel codice di rito, con cui l’indagato acquisisce conoscenza formale di un procedimento penale, diversamente per quanto concerne la seconda parte della norma in esame, la nozione di “formale conoscenza” di un accertamento amministrativo non richiama esemplificativamente gli atti tipici dell’accertamento tributario.
Orbene, nel caso in disamina, l’Agenzia delle Entrate, nell’ambito di accertamenti avviati nei confronti di una SRL, ovverossia del soggetto emittente le fatture false, aveva invitato l’imputato a fornire chiarimenti, successivamente ai quali, prima che venisse compiuto alcun accertamento nei suoi confronti, lo stesso ha provveduto al ravvedimento operoso, con il pagamento delle imposte dovute, comprensive di interessi e sanzioni.
La norma elenca espressamente gli atti amministrativi attraverso cui il contribuente può venire a conoscenza della pretesa tributaria, quali “accessi, ispezioni, verifiche o l’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimento”, senza contenere ulteriori indicazioni.
Pertanto, il giudice di merito:
“ha ritenuto, correttamente, che fosse carente il predicato della formalità, richiedendo l’art. 13 comma 2 del Dlgs n. 74/2000 che l’autore del reato abbia avuto «formale conoscenza» di tali atti, con riferimento alla comunicazione con cui l’Agenzia delle Entrate aveva invitato il [Omissis] a chiarimenti nell’ambito della verifica fiscale compiuta nei confronti di un altro soggetto in relazione al reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti.”
Risiedendo la ratio della causa di non punibilità prevista per i reati di cui alla norma in esame nel subordinare l’applicabilità alla mancata attivazione dell’amministrazione finanziaria o dell’autorità penale, con dispendio di energie e di risorse, non può ritenersi:
“che ad escluderne l’operatività valgano riferimenti non contenuti nella sua formulazione testuale.”
La sua natura di norma eccezionale ne preclude l’interpretazione basata sul raffronto con altre disposizioni, quali quelle dettate in materia di voluntary disclosure menzionate nel ricorso.
“Al contrario, è proprio la precisazione contenuta nella Legge n. 186/2014, secondo la quale la collaborazione volontaria non è ammessa quando il contribuente abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni e verifiche (con formula fin qui identica a quella della norma in esame) «anche nei confronti di obbligati solidali o concorrenti nel reato» ad escludere che tale interpretazione possa adottarsi, nel silenzio del legislatore, per l’art. 13 comma 2 del Dlgs n. 74/2000. Conseguentemente, l’essere stato chiamato a chiarimenti nell’ambito di verifiche svolte nei confronti di un soggetto eventualmente implicato in un diverso reato, non equivale ad avere avuto cognizione di un accertamento compiuto nei propri confronti, tanto più alla luce dell’attributo «formale» della conoscenza richiesta, il quale postula che l’accertamento sia quantomeno riferito al soggetto interessato.”
Pertanto, per la Corte, in assenza di una espressa specifica previsione limitatrice, deve ritenersi conforme alla voluntas legis, la soluzione interpretativa che non limita l’applicazione della norma premiale nei confronti di un soggetto, quale è l’utilizzatore delle fatture per operazioni inesistenti ex art. 2 del Dlgs n. 74/2000, che resta estraneo all’attività di accertamento compiuto sul soggetto emittente le suddette fatture, che neppure è un concorrente.
Peraltro, l’interpretazione che afferma sussistente tale condizione ostativa in relazione alla conoscenza di qualunque procedimento amministrativo o penale, nei confronti di chiunque, anche totalmente estraneo, comporterebbe una eccessiva ed indeterminata dilatazione del limite suddetto che, se interpretato in modo estensivo e senza riferimenti specifici, finirebbe, comunque, per comprimerne l’applicazione in ambiti eccessivamente ristretti, con effetto frustrante della ratio, che è, viceversa quella di incentivare comportamenti virtuosi.
Sapere di accertamenti verso terzi non inficia il ravvedimento: alcune note
Come è noto, l’articolo 13, comma 2, del Dlgs n. 74/2000, come modificato dall’art. 39, comma 1, lettera q-bis), del DL n. 124/2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 157/2019, dispone – per i reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o documenti per operazioni inesistenti ovvero mediante altri artifici, nonché di dichiarazione infedele ed omessa (articoli 2, 3, 4 e 5 del medesimo Dlgs n. 74/2000) – l’esclusione della punibilità:
“se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo.”
Tale esimente opera a decorrere dal 24 dicembre 2019 per le fattispecie di cui agli articoli 2 e 3 del Dlgs n. 74/2000:
“sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.”
Ricordiamo, altresì, che con decorrenza dal 22 ottobre 2015, l’articolo 12, comma 1, del Dlgs n. 158/2015, ha introdotto nel Dlgs n. 74 del 2000 l’articolo 13-bis, rubricato “Circostanze del reato”, il cui comma 1 prevede che, al di fuori dei casi di non punibilità dei reati tributari, il pagamento integrale dei debiti tributari – ivi compresi gli interessi e le sanzioni amministrative, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento, previste dalle norme tributarie – comporta la diminuzione fino alla metà delle pene previste per i delitti di cui al Dlgs n. 74 del 2000, al quale si aggiunge la non applicazione delle pene accessorie indicate nell’art. 12, dello stesso Dlgs n. 74/2000, a condizione che lo stesso pagamento avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.
Le pene accessorie previste sono:
- interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a tre anni;
- incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni;
- interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a cinque anni;
- interdizione perpetua dall’ufficio di componente di commissione tributaria;
- pubblicazione della sentenza a norma dell’art.36 del codice penale.
Il successivo comma 2 dell’articolo 13-bis, del Dlgs n. 74/2000, subordina la richiesta di patteggiamento (art. 444 c.p.p.) al ricorrere delle circostanze indicate nel comma 1, ovvero in caso di pagamento integrale degli importi dovuti per estinguere i debiti tributari, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché al ricorrere del ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’articolo 13, commi 1 e 2, del Dlgs n. 74 del 2000.
La circolare n. 11/E del 12 maggio 2022 sintetizza il complesso e articolato quadro normativo sopra ricordato:
“ad oggi, dopo la riforma intervenuta con il Dlgs n. 158 del 2015, l’estinzione del debito tributario mediante pagamento del quantum dovuto, a seconda del tipo di reato tributario commesso, può consentire l’esclusione della punibilità (articolo 13 del Dlgs n. 74 del 2000), oppure l’applicazione di una circostanza attenuante (articolo 13-bis, comma 1, del medesimo Dlgs n. 74).”
Inoltre, sulla base dei citati artt. 13 e 13-bis del Dlgs n. 74 del 2000, lo specifico riferimento al ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del Dlgs n. 472 del 1997:
“- costituisce una causa di esclusione della punibilità per i reati di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, sempreché sia intervenuto prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, e per i reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1), se sia intervenuto prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado;”
“- rappresenta uno dei presupposti (insieme agli altri istituti di definizione previsti dalle norme tributarie) ai fini della richiesta di patteggiamento.”
Precisa la circolare n. 11/E/2022 che l’esclusione della punibilità disposta per il reato di cui all’art. 5, del Dlgs n. 74/2000, dal citato art. 13, comma 2, ricorre anche nell’ipotesi di presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, al verificarsi delle condizioni ivi contemplate.
Nello specifico trattasi della estinzione dei debiti tributari, comprese sanzioni e interessi:
“mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.”
Nel caso in cui la dichiarazione sia omessa, perché presentata oltre il termine di 90 giorni di cui agli artt. 2, 7 9 comma 7, del DPR n. 322/98, le sanzioni ad essa relative non possono essere oggetto di spontanea regolarizzazione mediante ravvedimento operoso e, pertanto, sono da versare in misura piena.
L’evoluzione normativa tratteggiata, e in particolare, l’inserimento, al comma 2 dell’art. 13 del Dlgs n. 74 del 2000, del riferimento esplicito agli articoli 2 e 3 del medesimo decreto ha, in estrema sintesi, disciplinato, nelle ipotesi di estinzione del debito tributario, l’estensione delle cause di non punibilità anche ai reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici.
Tale previsione conferma la volontà del legislatore di incentivare progressivamente il ricorso al ravvedimento operoso ai fini degli effetti penali, senza alcuna distinzione circa la tipologia di reato tributario contestato.
Pertanto, come specificato nella circolare n.11/E/2022:
“Il predetto comma 2 dell’articolo 13 del Dlgs n. 74 del 2000, nonché il comma 2 del successivo articolo 13-bis, nella versione attualmente vigente, legittimano, quindi, l’accesso all’istituto del ravvedimento operoso anche per le condotte dichiarative fraudolente, regolandone le conseguenze penali e precisando le condizioni alle quali tali effetti si realizzano. Disciplinando gli effetti penali prodotti dal ravvedimento – mediante integrale pagamento degli importi dovuti – prima e dopo l’avvio di qualunque attività istruttoria, la norma ammette di fatto la legittimità del ravvedimento stesso anche sotto il profilo sanzionatorio amministrativo.”
Ciò fermo restando che la legittimità del ravvedimento in ambito amministrativo non soggiace ai limiti posti dalla normativa sanzionatoria penale.
A titolo di esempio, le Entrate indicano quanto previsto dall’art. 13, comma 2, del Dlgs n. 74 del 2000 (cioè la formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali), che spiega i suoi effetti solo ai fini penali e non anche ai fini del perfezionamento del ravvedimento ai sensi dell’articolo 13 del Dlgs n. 472 del 1997.
Per l’Amministrazione finanziaria, quindi, alla luce delle intervenute modifiche legislative:
“deve dunque ritenersi superata la preclusione al ravvedimento in presenza di condotte fraudolente come espressa con la circolare n. 180/E del 1998, riconoscendo al contribuente la possibilità di accedere allo strumento del ravvedimento operoso per regolarizzare anche le violazioni fiscali connesse a condotte fraudolente.”
Resta fermo che la possibilità di ricorrere al ravvedimento operoso per regolarizzare violazioni fiscali anche connesse a condotte fraudolente:
- incontra i limiti propri di tale istituto, come individuati negli articoli 13 e 13-bis del Dlgs n. 472 del 1997 e cioè il rispetto delle regole amministrative previste, a prescindere dalle valutazioni che competono al giudice in sede penale;
- deve comunque tener conto delle situazioni concretamente in essere e dei relativi riflessi sul quantum della sanzione base.
“Così, ad esempio, a fronte di un processo verbale dell’autorità competente che constati violazioni legate a condotte fraudolente, sarà possibile il ravvedimento ex articolo 13, comma 1, lettera b-quater), del Dlgs n. 472. Questo, tuttavia, quale regolarizzazione che avviene dopo la constatazione della violazione, dovrà prendere a riferimento la sanzione determinata applicando a quella per infedele dichiarazione la maggiorazione del cinquanta per cento prevista quando la violazione è realizzata mediante l’utilizzo di fatture o altra documentazione falsa o per operazioni inesistenti, mediante artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente (cfr. articoli 1, comma 3 e 5 comma 4-bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471);”
- non pregiudica in alcun modo le valutazioni sull’efficacia e gli effetti del ravvedimento amministrativo o su quelli dell’estinzione totale o parziale del debito in ambito penale demandate all’Autorità giudiziaria, rimanendo peraltro fermo l’obbligo per gli Uffici di procedere, al ricorrere dei requisiti legislativamente fissati, alla denuncia della notitia criminis ex articolo 331 c.p.p..
Nel caso di specie, oggetto della pronuncia di Cassazione n. 26274/2023, il concetto di “formale conoscenza” rinvia ad atti tipici, descritti nel codice di rito; diversamente, la nozione di “formale conoscenza” di un accertamento amministrativo non richiama esemplificativamente gli atti tipici dell’accertamento tributario, così che gli accertamenti avviati nei confronti di un soggetto emittente fatture false e i chiarimenti richiesti al presunto utilizzatore non incidono sulla possibilità di quest’ultimo di accedere al ravvedimento operoso (eventualmente implicato in un diverso reato).
Particolarmente interessante sul punto è la posizione espressa dalla GDF, subito dopo le modifiche normative del 2019. Atteso che analoga causa di non punibilità non è prevista per l’emittente, nel corso di TeleFisco 2020, la GDF, dopo aver rilevato che in concreto, per accedere all’effetto premiale, il contribuente deve presentare una dichiarazione integrativa, emendata degli elementi fraudolenti, e versare gli importi dovuti, comprensivi di imposte, interessi e sanzioni, ha affermato che:
“”l’interessato non è tenuto a dichiarare in modo puntuale i motivi per cui ha inteso rettificare in aumento il proprio reddito. Quindi, in base alle notizie rese disponibili, in prima battuta, all’Amministrazione finanziaria, la dichiarazione integrativa non ha ricadute dirette e immediate nei confronti dell’emittente delle fatture, permanendo in capo agli organi di controllo l’onere di dimostrare la responsabilità penale di quest’ultimo, per violazione dell’art. 8 del decreto legislativo n. 74 del 2000.
Come è noto, l’art. 8 del Dlgs n. 74/2000 punisce chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
Ai fini dell’applicazione della disposizione, l’emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato. Trattasi, come indicato nella relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione (n. 3 del 9 gennaio 2020), di:
“reato istantaneo che si consuma nel momento di emissione della fattura ovvero, ove si abbiano plurimi episodi nel medesimo periodo d’imposta, nel momento di emissione dell’ultima di esse, non essendo richiesto che il documento pervenga al destinatario, né che quest’ultimo lo utilizzi (sez. 3, n. 47459/2018).”
Il reato di emissione – in considerazione della particolare offensività della condotta – è integrato indipendentemente dalla circostanza che la fattura sia poi effettivamente utilizzata dal destinatario nella propria dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto (“al fine di consentire a terzi l’evasione”). Come rilevato dalla GDF nella circolare n. 1/2018, il riferimento all’emissione anche di “documenti”, senza ulteriore specificazione, relativi ad operazioni fittizie, determina la configurazione del delitto in esame quale reato comune, così che lo stesso può essere posto in essere non soltanto da soggetti tenuti all’impianto e alla conservazione di scritture contabili.
Infatti, nella dichiarazione integrativa il contribuente si limiterà ad aumentare il proprio reddito, che sarà riliquidato dall’Ufficio, ai sensi dell’articolo 36-bis del DPR n. 600/1973 e 54 del DPR n. 633/1972.
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