Per la Corte Costituzionale è illegittima la revoca dell'assegno sociale, come di tutti trattamenti assistenziali, a seguito di condanne per mafia e terrorismo quando scontate ai domiciliari. La Consulta, nella sentenza n. 137, depositata il 2 luglio 2021, motiva la propria decisione partendo dal presupposto che, anche per l'individuo colpevole di tali reati, devono essere garantiti i mezzi per sopravvivere.
La revoca dell’assegno sociale, come di tutti i trattamenti assistenziali, per chi è stato condannato per i reati di mafia e terrorismo e stia scontando la pena ai domiciliari è costituzionalmente illegittima.
Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con un’importante pronuncia, la sentenza numero 137 del 2 luglio 2021.
“L’illegittimità della revoca, infatti, deriva dal pregiudizio al diritto all’assistenza per chi necessiti dei mezzi per sopravvivere, che deve essere comunque garantito a ciascun individuo, pur se colpevole di determinati reati”.
Questo il principio alla base della decisione della Corte che, nei fatti, “abroga” la Legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), nelle parti in cui impone la revoca dei trattamenti assistenziali nei confronti di coloro che scontino la pena in regime alternativo alla detenzione in carcere.
Assegno sociale: illegittima la revoca in caso di condanna per mafia o terrorismo scontata ai domiciliari
I condannati in via definitiva per reati di mafia o terrorismo, che scontano la pena ai domiciliari, hanno il diritto di continuare a percepire indennità di disoccupazione, l’assegno sociale, la pensione sociale e la pensione per gli invalidi civili.
La Consulta, con la sentenza del 2 luglio, ha ritenuto irragionevole e contrario ai precetti costituzionali l’art. 2, comma 58 e 61, che in presenza di reati di grande allarme sociale prevede che il giudice disponga la sanzione accessoria della revoca delle prestazioni citate.
La pronuncia accoglie le questioni di legittimità sollevate da due diversi tribunali, di Fermo e di Roma, riferite alla sola revoca dell’assegno sociale, reputando una norma del genere contraria a due precetti costituzionali:
- l’articolo 3 della Costituzione che esprime il principio di uguaglianza sostanziale e di ragionevolezza, un principio cardine del testo costituzionale per cui situazioni soggettive differenti, per ristabilire l’equilibrio, devono essere trattate in maniera adeguata, ancorché diversa.
- l’articolo 38 della Costituzione, espressione del principio di sicurezza sociale che prevede l’obbligo in capo allo Stato di assicurare un livello dignitoso di vita agli inabili al lavoro e a coloro che sono “sprovvisti dei mezzi necessari per vivere”.
In buona sostanza, l’illegittimità della revoca trova la sua ragione nel pregiudizio al diritto all’assistenza per chi necessiti dei mezzi per sopravvivere. Un diritto che, per la Consulta, deve essere comunque garantito a ciascun individuo pur se colpevole di reati gravi.
L’applicazione indiscriminata della pena accessoria, tra l’altro, senza alcuna considerazione della specificità dei casi concreti, lede il citato principio di uguaglianza, che impone trattamenti differenziati per situazioni diverse.
“Risulta così violato lo stesso principio di ragionevolezza, perché l’ordinamento valuta un soggetto meritevole di accedere forme alternative di detenzione, ma lo priva poi dei mezzi per vivere, ottenibili, in virtù dello stato di bisogno, solo dalle prestazioni assistenziali”.
Si legge, infatti, nella motivazione della sentenza.
- Corte Costituzionale - sentenza numero 137 del 2 luglio 2021
- Scarica la sentenza sull’illegittimità della revoca di prestazioni assistenziali in caso di condanna per reati di mafia e terrorismo scontati ai domiciliari.
La revoca delle misure assistenziali quale pena accessoria: l’indirizzo della Corte Costituzionale
Già il mese scorso, con la sentenza numero 126, la Corte aveva affrontato una questione inerente alla revoca di prestazioni assistenziali in ipotesi di provvedimenti giurisdizionali, nello specifico la sospensione del reddito di cittadinanza in caso di misura cautelare personale.
Allora la Consulta aveva ritenuto legittima la sospensione dell’assegno nel caso di applicazione di una misura cautelare personale dal momento che una limitazione tale della libertà avrebbe reso vana la misura nella sua funzione principale: il percorso di inclusione lavorativa.
Ebbene, seppure apparentemente di senso opposto queste due pronunce seguono uno stesso indirizzo interpretativo per cui la prestazione assistenziale, quando necessaria alla sopravvivenza del reo, deve essere comunque garantita.
Il reddito di cittadinanza, infatti, non è una misura assistenziale in senso stretto e la revoca a seguito dell’applicazione di un provvedimento restrittivo della libertà non costituisce una pena accessoria ma una conseguenza giustificata dalla ratio posta alla base del beneficio, ossia la ricerca di un lavoro.
Del resto, già nella precedente pronuncia, la Corte aveva specificato che l’interessato a cui sia stato sospeso l’assegno può comunque, ove ne ricorrano i presupposti, accedere ad altre forme di assistenza sociale previste dall’ordinamento a cui, per le ragioni suddette, ha pienamente diritto.
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