La norma che imputa al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti si applica non solo ai casi di interposizione fittizia di persona, ma anche ai casi di interposizione reale: lo ha chiarito la Corte di Cassazione
La norma che imputa al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordati, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona, si applica non solo ai casi di interposizione fittizia di persona (e quindi quando i redditi vengano imputati direttamente all’interponente), ma anche ai casi di interposizione reale, e quindi quando il soggetto interposto sia il reale percettore dei redditi, e questi vengano ritrasferiti all’interponente.
Ai fini dell’applicazione della presunzione, l’Amministrazione finanziaria deve dare prova della relazione dell’interponente con la fonte di reddito del soggetto interposto, la quale prescinde dalla natura dell’interposizione.
Questo il contenuto dell’Ordinanza della Corte di cassazione n. 939 del 15 gennaio 2025.
L’amministratore di fatto e reddito della società: il caso analizzato dalla Corte di Cassazione
Sulla base delle risultanze di una verifica fiscale condotta nei confronti di una società l’Agenzia delle entrate ha notificato due avvisi di accertamento con i quali accertava induttivamente maggiori redditi d’impresa per gli anni 2007 e 2008, con conseguente rideterminazione delle imposte IRES, IRAP ed IVA, ed applicazioni di sanzioni ed interessi.
Gli avvisi in questione venivano notificati a colui che l’Ufficio aveva ritenuto amministratore di fatto della società medesima.
Successivamente, l’Agenzia delle Entrate notificava a questi, come persona fisica, gli avvisi di accertamento per mezzo dei quali, in forza dell’art. 37, comma 3, del DPR 29 settembre 1973, n. 600 imputava al predetto contribuente, in qualità di reale percettore, i redditi accertati nei confronti della società.
Avverso tali avvisi di accertamento il contribuente proponeva separati ricorsi dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, eccependo la carenza della qualità di amministratore di fatto e l’inapplicabilità dell’art. 37, comma 3, DPR n. 600/73.
La CTP di Roma, riuniti i ricorsi, li accoglieva, ritenendo che il contribuente non potesse essere considerato amministratore di fatto della società. La stessa sorte è toccata in sede di appello e avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Ufficio, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 37, comma 3, del DPR n. 600/73 perché erroneamente la CTR aveva ritenuto inapplicabile l’art. 37, comma 3, cit., nell’ipotesi di interposizione reale, in quanto tale norma, con riferimento alla nozione di “possessore” del reddito, si riferisce tanto ai casi di interposizione fittizia, quanto ai casi di interposizione reale di persona.
La Corte di cassazione ha ritenuto fondato il motivo e ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.
La CTR ha ritenuto che la disposizione di cui all’art. 37, comma 3, DPR n. 600/73, nel caso di specie non sarebbe applicabile, in quanto si verterebbe in un’ipotesi di interposizione reale, e non di interposizione fittizia.
Partendo dal tenore letterale della norma, che testualmente recita che, in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordate, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona, la Corte ritiene pacificamente applicabile la disposizione suddetta non solo ai casi di interposizione fittizia di persona (e quindi quando i redditi vengano imputati direttamente all’interponente), ma anche ai casi di interposizione reale, e quindi quando il soggetto interposto sia il reale percettore dei redditi, e questi vengano ritrasferiti all’interponente (così anche Cass. 17 febbraio 2022, n. 5276).
Invero, la funzione della norma appare essere quella di evitare che il contribuente, che venga accertato come effettivo possessore del reddito altrui, si sottragga al prelievo nascondendo all’Amministrazione finanziaria la propria identità di contribuente, ricorrendo a interposizioni negoziali tali da attribuire a terzi il possesso del reddito.
L’amministratore di fatto può rispondere del reddito della società: le conclusioni della Corte di Cassazione
Il possesso del reddito “per interposta persona” costituisce il fatto ignoto oggetto della prova logica a carico dell’Amministrazione finanziaria, quale elemento che lega il reddito prodotto dal soggetto interposto al titolare effettivo.
La rilevanza dell’effettivo possesso del reddito rispetto alla sua titolarità formale sancisce la prevalenza della sostanza (possesso del reddito) sulla forma (titolarità effettiva del reddito) e della realtà sull’apparenza, dovendosi individuare non la natura fittizia o ingannevole della titolarità del reddito, bensì l’effettività dell’esercizio del possesso del reddito a dispetto di chi ne sia il formale titolare.
La relazione di fatto tra contribuente e reddito, di cui alla locuzione “effettivo possessore per interposta persona”, va ricercata in relazione alla tipologia di reddito oggetto di accertamento (nella specie, reddito di impresa), al fine di operare la traslazione del reddito prodotto all’effettivo titolare accertato.
In caso di reddito di impresa diviene rilevante (come osservatosi anche in dottrina) la figura dell’amministratore di fatto del soggetto imprenditoriale formalmente titolare del reddito.
Tale ruolo deve, tuttavia, assumere una particolare pregnanza al fine di integrare la presunzione del possesso del reddito perché deve essere tale da comportare la traslazione del reddito realizzato dall’ente collettivo percettore interposto nel suo complesso (e, quindi, anche ai fini IRAP e IVA) al soggetto persona fisica interponente, come se fosse stato prodotto da quest’ultimo.
L’interponente non deve, pertanto, costituire un mero gestore dell’ente collettivo - la cui qualifica rileverebbe ai fini reddituali solo in caso di società di persone interposte, ovvero, in caso di socio, quale maggior reddito da partecipazione e solo ai fini IRPEF - dovendo accertarsi che l’interponente disponga delle risorse del soggetto interposto uti dominus.
Si configura, pertanto, in relazione all’interponente, una fattispecie simile a quella della holding unipersonale, ossia di chi eserciti professionalmente, con stabile organizzazione, l’indirizzo, il controllo e il coordinamento delle società.
In caso di reddito di impresa deve, quindi, trattarsi di una prova alquanto rigorosa, che dimostri il totale asservimento della società interposta all’interponente, tale da dimostrare la relazione di fatto tra l’interponente e la fonte di reddito del soggetto imprenditoriale interposto.
È, quindi, nella prova della relazione dell’interponente con la fonte di reddito del soggetto interposto che si risolve la prova del “possesso” del reddito , la quale prescinde dalla natura dell’interposizione (ossia, se l’interposizione possa ricomprendere anche quella reale), atteso che la norma in oggetto imputa al contribuente i redditi formalmente intestati a un altro soggetto laddove, in base a presunzioni, egli ne risulti l’effettivo possessore, senza distinguere tra interposizione fittizia e reale.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: L’amministratore di fatto può rispondere del reddito della società