Presupposti per spettanza agevolazione prima casa

Giovambattista Palumbo - Imposte di registro, ipotecarie e catastali

Presupposti per spettanza dell'agevolazione prima casa: un focus sulla decadenza dai benefici nell'Ordinanza della Corte di Cassazione n. 27430 del 2021.

Presupposti per spettanza agevolazione prima casa

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 27430 dell’8 ottobre 2021, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di agevolazione prima casa.

Nel caso di specie, la contribuente ricorreva per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale aveva ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione con cui l’Agenzia delle Entrate aveva liquidato maggiori imposte di registro e ipocatastali, dichiarando la stessa ricorrente decaduta dalle agevolazioni prima casa previste dall’art.1 della parte prima della tariffa allegata al Dpr. 26 aprile 1986, n.131 e relativa nota II bis, fruite il 9 febbraio 2005, in relazione all’acquisto di un immobile in comproprietà con il marito, per non avere la stessa adibito a propria abitazione principale l’appartamento acquistato in data 4 agosto 2009, previa vendita, in pari data, al marito della quota di comproprietà del primo immobile.

La contribuente, per quanto di interesse, lamentava quindi la violazione del comma 4 della nota II bis all’art.1 della tariffa, parte prima, allegata al Dpr. 131 del 1986, per avere la CTR affermato che, al fine di evitare la decadenza dalle agevolazioni, correlata alla vendita infraquinquennale del primo immobile, sarebbe stato necessario che la casa oggetto del secondo contratto di acquisto fosse stata effettivamente utilizzata come abitazione principale.

Corte di Cassazione - Ordinanza numero 27430 dell’8 ottobre 2021
Ordinanza della Corte di Cassazione numero 27430 dell’8 ottobre 2021

Presupposti per spettanza agevolazione prima casa: i fatti dell’Ordinanza n. 27430 del 2021

Argomentava a tal proposito che la norma prevedeva solo che il secondo acquisto dovesse avvenire entro l’anno dalla vendita dell’immobile in relazione al cui acquisto erano state fruite le agevolazioni e dovesse avere ad oggetto un immobile da utilizzare come abitazione principale, laddove, come reso evidente dalla mancata previsione di un termine entro il quale il secondo immobile dovesse poi essere effettivamente utilizzato per la destinazione programmata nel contratto di acquisto, la norma non imponeva l’effettivo, immediato, utilizzo, potendo l’Amministrazione dichiarare la decadenza solo allegando e dimostrando l’impossibilità di attuazione a tale scopo, anche solo programmato.

Con un secondo motivo di ricorso, la contribuente lamentava inoltre la violazione del comma 4 della nota II bis all’art.1 della tariffa, parte prima, allegata al Dpr. 131 del 1986, per avere la CTR affermato che essa contribuente avrebbe potuto evitare la decadenza correlata alla mancata effettiva destinazione dell’immobile ad uso abitativo solo allegando e provando la riconducibilità di detta mancanza ad una situazione di forza maggiore, laddove invece la CTR - che aveva negato in concreto potersi ravvisare gli estremi della forza maggiore nelle circostanze (inadempimenti della venditrice ad obblighi assunti nel contratto di compravendita dell’immobile di cui trattavasi; questioni edilizie insorte nell’immobile a confine) addotte - avrebbe dovuto ritenere sufficiente la persistente attuabilità del dichiarato intento di destinazione dell’immobile ad abitazione principale.

Con il terzo motivo di ricorso la contribuente lamentava infine la violazione dell’art.2697 c.c. per avere la CTR posto in capo al contribuente l’onere di dimostrare le circostanze impeditive del trasferimento della propria abitazione, anziché pretendere che fosse l’Amministrazione a dimostrare la mendacità o irrealizzabilità dell’intento dichiarato nell’atto.

Secondo la Suprema Corte le censure erano infondate.

Evidenziano i giudici di legittimità che l’art.1 della parte prima della tariffa allegata al Dpr. 26 aprile 1986, n.131 e relativa nota II bis prevedono, per l’acquisto di c.d. prima casa, l’applicazione dell’imposta proporzionale di registro con aliquota inferiore a quella in via generale stabilita per i trasferimenti immobiliari a titolo oneroso.

L’art.1 della tariffa allegata al Dpr. 31 gennaio 1990, n.347 stabilisce poi l’applicazione delle imposte ipotecarie e catastali in misura fissa anziché proporzionale.

Il comma 4 della nota II bis all’art.1 della tariffa, parte prima, allegata al Dpr. n.131 del 1986 prevede inoltre che:

“In caso di dichiarazione mendace, o di trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con i benefici di cui al presente articolo prima del decorso del termine di cinque anni dalla data del loro acquisto, sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonché una sovrattassa pari al 30 per cento delle stesse imposte.

Se si tratta di cessioni soggette all’imposta sul valore aggiunto, l’ufficio dell’Agenzia delle entrate presso cui sono stati registrati i relativi atti deve recuperare nei confronti degli acquirenti la differenza fra l’imposta calcolata in base all’aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata, nonché irrogare la sanzione amministrativa, pari al 30 per cento della differenza medesima. Sono dovuti gli interessi di mora di cui al comma 4 dell’articolo 55 del presente testo unico. Le predette disposizioni non si applicano nel caso in cui il contribuente, entro un anno dall’alienazione dell’immobile acquistato con i benefici di cui al presente articolo, proceda all’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale”.

Presupposti per spettanza agevolazione prima casa: la posizione della Corte di Cassazione

La controversia in esame, rileva la Corte, verteva dunque proprio sulla applicazione di quest’ultima parte della norma, laddove, al riguardo, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità è stato di recente richiamato e confermato dalla sentenza n. 34572 del 2019, relativa a fattispecie in fatto identica a quella all’origine della vicenda processuale in esame.

Nella motivazione di tale sentenza viene, in primo luogo, ricordato che con la decisione n. 22944 del 2013 è stato affermato:

“Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. SU. n. 1196 del 2000; n. 9149 del 2000; n. 3608 del 2003; n. 18300 del 2004; n. 20066 del 2005; nn. 20376 e 21718 del 2006; n. 13491 del 2008), alla quale si presta adesione, i benefici fiscali sono subordinati al raggiungimento dello scopo per il quale vengono concessi: in caso di vendita infraquinquennale di un immobile comprato con le agevolazioni c.d. prima casa, il mantenimento dell’agevolazione è accordato se il contribuente entro il successivo anno proceda all’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale”.

Evidenzia la Cassazione come la dichiarazione di volontà, in tal senso espressa dell’acquirente, non è pertanto riferita ad una qualità astratta del bene, né costituisce una mera “dichiarazione di intenti”, ma comporta l’assunzione di un vero e proprio obbligo verso il fisco e cioè quello di adibire la casa acquistata a propria abitazione principale, dovendo, perciò, affermarsi che il beneficio fiscale, concesso al momento della registrazione dell’atto, in base alla sola dichiarazione di volontà, possa esser conservato solo se il contribuente realizzi l’intento dichiarato entro il termine triennale di decadenza fissato (dall’art. 76 del Dpr. n. 131 del 1986) per l’esercizio del potere di accertamento d (cfr. Cass. SU n. 1196 del 2000).

E ciò vale sia nel caso di vendita infraquinquennale seguita dall’acquisto di altra abitazione entro l’anno, e sia nel caso disciplinato dal primo comma della norma in esame, tenuto conto che l’agevolazione per l’acquisto della prima casa è, comunque, volta ad incentivare l’acquisto di un’unità immobiliare da destinare ad abitazione del compratore, in attuazione del precetto di cui all’art. 47 Cost.

Sottolinea ancora la Corte che, nella sentenza 1196 del 2000, le Sezioni unite avevano lasciato variabile il termine entro cui il contribuente avrebbe dovuto realizzare l’intento abitativo dichiarato al momento dell’acquisto, sulla considerazione per cui detta realizzazione avrebbe potuto “essere immediatamente successiva al contratto ma … anche implicare un certo lasso di tempo, da quello minimo occorrente per il trasloco, a quello maggiore che sia richiesto da lavori di restauro o ristrutturazione, a quello ancora più lungo che sia imposto dalla momentanea indisponibilità del bene per effetto di temporanei diritti di godimento ad altri spettanti o di altre analoghe cause”.

Le Sezioni unite avevano quindi statuito che il termine in questione non avrebbe potuto essere dilazionato “oltre il limite di ragionevolezza” correlato al singolo caso.

Limite di ragionevolezza individuabile appunto nel citato termine di tre anni, che, affermano i giudici, decorre dalla data del contratto, dato che, come per ogni termine inderogabilmente assegnato per porre in essere un determinato atto od un determinato comportamento, il termine stesso è computabile a partire dal momento in cui sussista il potere di compiere o tenere l’atto od il comportamento stesso.

Come dunque già sottolineato, nella sentenza n. 34572 del 2019, al fine di consentire al contribuente di evitare la decadenza dalle suddette agevolazioni sono previste, con riferimento all’acquisto del secondo immobile, condizioni diverse rispetto a quelle stabilite, per la concessione delle agevolazioni medesime per l’acquisto del primo immobile.

In particolare, mentre il riconoscimento del beneficio è subordinato - oltre al fatto di non essere titolare di diritti di proprietà (o di diritti a tal fine assimilati) su altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare e di non essere titolare di diritti di proprietà (o diritti, assimilati) su altra abitazione acquistata con agevolazioni fiscali prima casa - al trasferimento della residenza del contribuente nel Comune ove è ubicato l’immobile acquistato, il mantenimento dello stesso in caso di alienazione dell’immobile acquistato è subordinato alla più restrittiva condizione dell’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale.

E tale differenza di disciplina - ritenuta non irragionevole dalla Corte costituzionale (cfr., ord. del 13 febbraio 2009, n. 46) - trova giustificazione nell’intenzione del legislatore di favorire l’acquisto della casa di proprietà, tutelato anche a livello costituzionale, anche a coloro i quali siano costretti a ripetuti trasferimenti di residenza, per le contingenti necessità della vita e, al contempo, di evitare che l’agevolazione possa assecondare intenti speculativi (cfr., Cass. 28 giugno 2016, n.13343; Cass., ord., 30 aprile 2015, n.8847).

Le conclusioni dell’Ordinanza n. 27430 del 2021 sull’agevolazione prima casa

In conclusione, la Cassazione ribadisce quindi il seguente principio di diritto: il contribuente che, in sede di registrazione del contratto di acquisto di un immobile, abbia goduto del trattamento agevolato per la c.d. prima casa, abbia rivenduto l’immobile prima di cinque anni dall’acquisto, abbia, entro l’anno dalla vendita, acquistato altro immobile da destinare ad abitazione principale, è tenuto, a pena di decadenza da tale trattamento, a destinare concretamente l’immobile ad abitazione principale.

L’ufficio può dichiarare la decadenza nel caso in cui il secondo immobile sia, già al momento del relativo acquisto, inidoneo a fini abitativi e non possa divenire idoneo a tali fini entro un termine ragionevole (SU 1196/2000) e comunque entro i tre anni successivi (Cass. n.34572/2019 e n.22944/2013), talché la dichiarazione resa dal contribuente di destinare l’immobile stesso a propria abitazione principale si appalesa mendace.

L’ufficio può inoltre dichiarare il contribuente decaduto dai benefici nel caso in cui insorgano “fatti (prevedibili o meno all’epoca del contratto) che evidenzino l’abbandono dell’iniziale proposito, quale lo stabile trasferimento dell’abitazione in un altro immobile o la mancata acquisizione del godimento diretto del bene comprato dopo averlo liberato da persone e cose”.

E così, ancora, nel caso in cui il secondo immobile, prima di essere occupato dal contribuente quale sua abitazione principale, diventi inidoneo alla destinazione abitativa, ovvero, nel caso in cui diventi non realizzabile entro il termine ragionevole e comunque triennale il proposito abitativo manifestato all’atto dell’acquisto riguardo ad un immobile a quel momento non immediatamente utilizzabile (ad esempio perché da restaurare o completare).

Va poi aggiunto che, in caso di eccessivo ritardo nella destinazione del bene ad abitazione principale, la decadenza dalle agevolazioni può essere comunque evitata laddove detto ritardo sia dovuto non ad un comportamento direttamente o indirettamente ascrivibile all’acquirente, bensì ad una causa esterna, sopravvenuta, imprevedibile ed inevitabile, tale da configurare la forza maggiore, ciò rendendo inesigibile, secondo una regola generale immanente nell’ordinamento, il comportamento richiesto dalla norma nel termine previsto (v. Cass. SU. 8094/2021, in tema di agevolazione di cui all’art.33, comma 3, della l. n.388 del 2000, ma riferibile anche alle agevolazioni qui in discussione).

La causa di forza maggiore deve essere comunque in ogni caso allegata e provata dal contribuente che voglia avvalersene (art.2697 c.c.).

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