L'accertamento integrativo che riporta fatti già noti all'ente impositore e non contestati risulta nullo: la posizione della Corte di Cassazione nell'Ordinanza numero 4650 del 14 febbraio 2023
L’accertamento integrativo, che segue a quello parziale, non può basarsi su atti o fatti acquisiti e già conosciuti dall’ente impositore fin dall’origine ma non contestati.
Ciò infatti pregiudicherebbe il diritto del contribuente ad una difesa unitaria e complessiva, a cui presidio si pone il predetto principio generale.
Pertanto l’accertamento integrativo deve necessariamente fondarsi su nuovi elementi atti a giustificarlo, non essendo ammissibile un accertamento a singhiozzo, senza che di essi debba darsi indicazione in modo specifico a pena di nullità.
Questo il testuale principio affermato dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 4650 del 14 febbraio 2023.
Accertamento integrativo privo di fatti nuovi: atto impositivo nullo
La vicenda processuale ha origine dal ricorso proposto da una società avverso un avviso di accertamento parziale, emesso a seguito di PVC , con cui veniva recuperata maggiore la IRAP quale effetto della mancata contabilizzazione dei proventi finanziari relativi ad interessi attivi su un finanziamento alla controllata transfrontaliera.
La Commissione Tributaria Regionale, a cui era giunta la controversia, ha rigettato l’appello dell’Ufficio ritenendo che l’atto impositivo fosse nullo, avendo l’Ufficio già proceduto con un precedente avviso di accertamento al recupero dell’IRAP per il medesimo periodo di imposta, senza addurre nuovi e ulteriori elementi di fatto, sopraggiunti al precedente avviso, ai fini della integrazione dell’accertamento originario.
La CTR ha ritenuto che il nuovo atto impositivo fosse fondato su una semplice riconsiderazione degli stessi elementi di fatto posti a fondamento dell’atto impositivo preesistente.
L’Ufficio ha impugnato la sentenza della CTR nella parte in cui ha statuito la decadenza dal potere di accertamento per mancata allegazione di nuovi elementi in fatto.
L’Ufficio ricorrente ha osservato che il precedente atto impositivo fosse stato predisposto come accertamento parziale a termini dell’art. 41-bis d.P.R. n. 600/1973, che non avrebbe potuto pregiudicare la successiva attività accertatrice attuata nel caso di specie, non essendo l’avviso di accertamento parziale preclusivo di una successiva azione accertatrice.
Nullo l’accertamento integrativo privo di fatti nuovi: la posizione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha considerato infondato tale motivo di censura, nella parte in cui l’Ufficio ha dedotto che un avviso di accertamento parziale, se seguito da un ulteriore avviso di accertamento parziale, possa essere emesso anche sulla base del medesimo corredo documentale e fattuale senza incorrere nel divieto di doppia imposizione.
La Corte di cassazione ha chiarito che l’avviso di accertamento parziale non esonera l’Ufficio, che intenda procedere con un nuovo avviso di accertamento per il medesimo periodo di imposta, dall’addurre nuovi fatti, dovendo il nuovo accertamento fondarsi su fonti diverse da quelle poste a base del primo o comunque su dati la cui conoscenza, da parte dell’ente impositore, sia ad esso sopravvenuta, in applicazione del generale principio della tendenziale unicità degli accertamenti, altrimenti pregiudicandosi il diritto del contribuente ad una difesa unitaria e complessiva che tale principio garantisce.
Il collegio di legittimità ha dato quindi continuità al principio secondo cui l’accertamento integrativo, susseguente a quello parziale, non può basarsi su atti o fatti acquisiti e già conosciuti dall’ente impositore fin dall’origine ma non contestati, in quanto ciò pregiudicherebbe il diritto del contribuente ad una difesa unitaria e complessiva, a cui presidio si pone il predetto principio generale.
Pertanto l’accertamento integrativo deve necessariamente fondarsi su nuovi elementi atti a giustificarlo, non essendo ammissibile un accertamento a singhiozzo, senza che di essi debba darsi indicazione in modo specifico a pena di nullità, come invece sancito dall’art. 43 del citato d.P.R.
Sulla base di tali ragioni la Corte di cassazione ha quindi rigettato il ricorso dell’Agenzia delle entrate.
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