Riforma fiscale 2021, non c'è terreno per una gender tax. Ma la discussione sul nuovo sistema tributario tiene conto del binomio tassazione-occupazione femminile valutando la possibilità di introdurre agevolazioni per il secondo coniuge che entra nel mondo del lavoro, rappresentato nella maggior parte dei casi dalle donne.
Secondo i dati Eurostat, nel 2020 meno di una donna su due, tra i 15 e i 64 anni, ha lavorato in Italia. L’occupazione femminile, ancor più dopo la pandemia, è un problema. Ma una soluzione, la soluzione, non esiste.
Esistono tante soluzioni possibili per una questione che ha radici lontane nel tempo e nella cultura del Paese. Intervenire sulla tassazione, con una spinta gentile o con una terapia d’urto, è una di queste. E la riforma fiscale 2021 è un’opportunità da non perdere per metterla in atto.
Il documento elaborato e pubblicato dalle Commissioni Finanze di Camera e Senato, al termine del ciclo di audizioni sul tema, lo scorso 30 giugno 2021 sembra tenerne conto propendendo, però, per la via della gentilezza.
Si definisce la possibilità di introdurre un’agevolazione temporanea e non specificamente dedicata alle donne, ma in ogni caso finalizzata a rafforzare l’occupazione femminile.
La riforma fiscale 2021 non dimentica le donne, ma la gender tax è fuori discussione
Nel testo che pone le basi per la prossima riforma fiscale 2021 non c’è spazio, invece, per una terapia d’urto sull’occupazione femminile: l’introduzione di una gender tax, una tassazione sul lavoro differenziata per genere e più favorevole per le donne.
Si tratta dell’ennesima occasione persa per la proposta formulata oltre 15 anni fa da Andrea Ichino, professore presso l’Università di Bologna e l’European University Institute, e Alberto Alesina della Harvard University e analizzata nei suoi punti di forza e debolezza dalla redazione di Informazione Fiscale con un una serie di approfondimenti sul tema.
L’introduzione di una tassazione agevolata sul lavoro per le donne, così da migliorare l’occupazione femminile e la distribuzione dei carichi di cura nelle famiglie, poggia le basi sulla regola di Ramsey.
La sintesi estrema è una metafora eloquente: il lavoro dell’uomo è un bene di prima necessità, meno elastico, che si può tassare di più, quello della donna è un bene di lusso, più elastico, che si deve tassare di meno.
Secondo il suo ideatore, Andrea Ichino, la gender tax non è entrata ancora a far parte del sistema fiscale italiano perché la parità di genere è un risultato che non si vuole ancora raggiungere.
I fatti e i dati, in effetti, dicono che l’obiettivo non è stato ancora raggiunto e che è ancora lontano. È anche vero però che, come emerso dal ciclo di interviste dedicate alla gender tax, la proposta ha una serie di punti deboli.
Due su tutti? La proposta di una tassazione differenziata per genere da adottare per favorire l’occupazione femminile tiene conto solo di un modello di famiglia tradizionale che si basa sullo schema moglie, marito, figli e figlie, escludendo tutti gli altri.
E ancora, ci sono anche dubbi sulla costituzionalità della proposta, un trattamento fiscale differenziato in base al sesso potrebbe entrare in contrasto con l’articolo 3:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
O anche con l’articolo 53: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
La riforma fiscale 2021 non dimentica le donne, tassazione agevolata per l’ingresso nel mondo del lavoro
Ed è proprio aggiustando il tiro su questo aspetto che si profila una soluzione alternativa: con un intervento sulla tassazione non legato esplicitamente al genere si può provare a ottenere un risultato simile aggirando l’ostacolo.
In questa direzione, infatti, vanno i lavori preparatori della riforma fiscale 2021. Nel documento che rappresenta la base per la definizione delle legge delega, pubblicato dalle Commissioni Finanze di Camera e Senato lo scorso 30 giugno, non emerge l’idea di mettere in campo uno strumento forte e netto destinato esclusivamente alle donne. Ma non manca l’attenzione al secondo percettore di reddito, che solitamente è donna.
Il binomio tassazione-occupazione femminile è centrale nella scelta dell’unità impositiva dell’imposta sui redditi.
Deve essere l’individuo o la famiglia? Il sistema fiscale italiano dal 1976 è basato sul reddito individuale.
Se è vero che un cambiamento potrebbe ridurre o eliminare la discriminazione nei confronti dei nuclei familiari in cui la ripartizione del reddito è disomogenea, o in particolar modo quelli monoreddito, dall’altro con un nuovo paradigma si correrebbe il rischio di “disincentivare l’offerta di lavoro del secondo percettore di reddito, che solitamente nel nostro Paese è di sesso femminile”.
Nel testo si legge:
“Ogni scelta in tal senso, pertanto, deve essere fatta sulla base dell’obiettivo di fondo.
Se si consideri, cioè, più grave il trattamento differenziato tra nuclei monoreddito e nuclei bi-reddito, o il problema della scarsa convenienza all’offerta di lavoro femminile”.
Sul punto la Commissione non ha dubbi: è la questione femminile a prevalere. Ma la situazione attuale dimostra che lasciare tutto così com’è non basta.
“Si propone di considerare l’introduzione di una tassazione agevolata per un periodo predefinito in caso di ingresso al lavoro del secondo percettore di reddito, il cui ammontare sia congruamente superiore alla detrazione per familiare a carico”.
Con questa proposta si supera, quindi, il legame col genere e si pone un limite temporale ai benefici da concedere.
Quella tracciata dalla riforma fiscale 2021 non è semplicemente una strada alternativa alla gender tax, è totalmente diversa: è più lunga, meno diretta, ma almeno sulla carta più percorribile.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: La riforma fiscale 2021 non dimentica le donne, ma la gender tax è fuori discussione