Accertamento su compravendite immobiliari, ecco l'esame di alcuni principi importanti con un focus particolare sul presupposto indiziario dell'antieconomicità.
La Corte di Cassazione, con un’Ordinanza dello scorso anno, ha nuovamente chiarito alcuni fondanti principi in tema di accertamento su compravendite immobiliari, con riferimento anche al presupposto indiziario dell’antieconomicità.
Nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria, nel ricorrere in Cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, denunciava la violazione degli artt. 2709, 2727 e 2729 c.c., nonché degli artt. 39, primo comma, lett. d), Dpr. n. 600 del 1973 e 54 Dpr. n. 633 del 1972.
L’Ufficio lamentava, in particolare, che, nonostante la rilevazione dei numerosi elementi e in particolare:
a) il conseguimento di risultati economici irrisori per più periodi d’imposta consecutivi tra il 2005 e il 2010, pur a fronte di consistenti volumi d’affari (di qualche milione di euro), del tutto disallineati rispetto alle medie di settore;
b) la rilevante divergenza dei prezzi di vendita rispetto ai valori FLAIP (Federazione italiana agenti immobiliari e professionisti);
c) l’antieconomicità dell’attività di cantiere, i cui esiti fornivano un risultato positivo minimo e, anzi, ove considerati i costi generali da ripartire, in perdita;
d) le indagini finanziarie che avevano evidenziato la concessione di un mutuo per un importo superiore al saldo in fattura, con perizia allegata al mutuo che rilevava un valore dell’immobile pari al 150 per cento del prezzo stesso;
e) le indagini finanziarie che avevano evidenziato un anomalo e non giustificato prelevamento da parte dei clienti della somma di Euro 10.000,00 il giorno precedente il rogito; etc.
La CTR, con un travisamento del ragionamento presuntivo e in violazione delle norme sulle presunzioni, secondo l’Agenzia delle Entrate, non aveva quindi effettuato una valutazione complessiva degli elementi individuati in sede di indagine.
La ricorrente deduceva, inoltre, l’errata valutazione in punto di antieconomicità, per aver la CTR ritenuto la nozione ancorata all’assoluta incapacità dell’azienda di sopravvivere nel mercato di riferimento.
Accertamenti immobiliari, presunzioni e antieconomicità: la decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte, evidenzia che il giudice d’appello aveva ribaltato la decisione di primo grado, ritenendo che i fatti emersi in giudizio non consentissero di ritenere sussistente la presunzione di maggior valore delle vendite.
La CTR, in particolare, aveva affermato che:
- “per i valori OMI e, per analogia anche per quelli Flaip, si può parlare di presunzione semplice munita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, idonea a fondare l’accertamento, solo qualora sussistano ulteriori elementi quali dichiarazioni degli acquirenti, documentazione extracontabile, contratti preliminari che espongano importi diversi rispetto a quelli indicati nei rogiti, indagini bancarie che denotino comportamenti anomali, comparazione con immobili simili da indicare nello specifico. In assenza di queste evenienze non può essere rettificato il corrispettivo indicato negli atti di vendita”;
- “in molte sentenze i giudici di merito si sono espressi nel senso di non ritenere rilevanti i valori dei mutui, ben potendo la differenza rilevata tra prezzo dichiarato e il valore risultante dal mutuo riferirsi a esigenze di finanziamento per spese di altra natura”;
- “la supposta antieconomicità ... non può essere ritenuta di natura rilevante nei termini in cui è stata rilevata. Infatti il concetto di antieconomicità deve essere il punto di arrivo di un percorso logico compiutamente evidenziato e documentato che, partendo dall’esame dei dati di parte dichiarati nell’arco di un sufficiente intervallo temporale di riferimento, dimostri l’assoluta incapacità dell’azienda di sopravvivere nel mercato di riferimento e la sua inspiegabile esistenza in vita, ovvero l’incomprensibilità delle sue scelte sotto il profilo della economicità e ragionevolezza. Elementi non presenti nel caso di specie”.
Ed aveva quindi concluso che gli elementi presi in considerazione dall’Agenzia per rettificare i prezzi di vendita non risultavano idonei a legittimare l’accertamento di maggior valore.
Rileva quindi la Cassazione che la Commissione Tributaria Regionale, come poteva evincersi dai passaggi argomentativi riportati, si era dilungata (in termini astratti rispetto alle risultanze in atti) nella ricerca di giustificazioni alternative delle circostanze emerse in istruttoria, caratterizzate - all’evidenza – da indiscutibili e plurime anomalie, giungendo a negare a ciascuna di esse una concreta valenza indiziaria, senza tuttavia valutarne la significatività concreta alla luce dell’intero contesto probatorio.
Evidenziano i giudici di legittimità che non era tuttavia consentito isolare le singole circostanze emerse (unitariamente considerate nello stesso accertamento), senza apprezzare globalmente le plurime anomalie che avevano caratterizzato la vicenda in esame.
Nella valutazione degli elementi presuntivi, rileva la Cassazione, il giudice è infatti tenuto ad una duplice operazione, dovendo prendere in esame gli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale, o almeno potenziale, di efficacia probatoria.
È dunque censurabile in sede di legittimità, per violazione di legge, la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio, senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (cfr., Cass. n. 27410 del 25 ottobre 2019; Cass. n. 9059 del 12 aprile 2018; Cass. n. 10973 del 05 maggio 2017; Cass. n. 5374 del 02 marzo 2017; Cass. n. 9108 del 06 giugno 2012).
In definitiva, pertanto, i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza richiesti dalla legge (art. 2729 c.c.) vanno in tali casi ricercati in relazione al complesso degli indizi ed in base ad una valutazione complessiva e globale e non meramente atomistica.
Fondata, poi, secondo la Corte, era anche l’altra censura relativa al contestato comportamento antieconomico del contribuente. La CTR, infatti, nell’esprimere il proprio giudizio, aveva del tutto omesso di esaminare tale aspetto.
Circostanza invece sicuramente rilevante e decisiva, laddove non si poneva una questione di non condivisibilità delle scelte di politica aziendale per la loro apparente distanza dai canoni di normalità del mercato, ma piuttosto l’esigenza di valutare, in base ad elementi anche solamente indiziari, una situazione obbiettivamente anomala, non giustificabile con la mera, generica, invocazione della libertà delle scelte imprenditoriali.
Accertamenti immobiliari, presunzioni e antieconomicità: alcune osservazioni
Al di là dello specifico caso processuale, si osserva che, in caso di accertamenti immobiliari, la presunzione basata sulla concessione di mutui di importo superiore al prezzo dichiarato in sede di compravendita, è senz’altro valida ed efficace e per contrastarla non sarà possibile ricorrere all’ipotesi di una asserita prassi da parte delle banche di concedere mutui di importo superiore al valore degli immobili offerti in garanzia.
L’erogazione dei mutui per l’acquisto di abitazioni viene infatti concessa sempre in misura inferiore al valore periziato dell’immobile e solo in casi eccezionali, particolari agevolazioni, ovvero ulteriori garanzie, possono indurre alcuni istituti di credito a finanziare fino al 100 per cento del valore dell’immobile.
Ai fini dell’accertamento analitico induttivo è del resto sufficiente il semplice scostamento tra l’importo del mutuo erogato ed il prezzo dichiarato nel contratto di compravendita, in quanto anche un solo fatto, se presenta i caratteri della gravità e della precisione, può essere idoneo a costituire la fonte della presunzione (cfr., Cass., n. 2481 del 04 febbraio 2020, Cass., n. 26485/2016; Cass., 9 giugno 2017, n. 14388).
In termini generali, quindi, gli accertamenti si basano, in questi casi, sul principio dell’id quod plerumque accidit, laddove la prova presuntiva dell’avvenuto occultamento del prezzo effettivamente corrisposto può essere rilevata da una serie di elementi univoci, precisi e concordanti.
Nella valutazione degli indizi, del resto, il giudice deve seguire del resto un corretto procedimento logico, laddove la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno desunti da un esame complessivo, fermo restando, naturalmente, il diritto del contribuente a fornire la prova contraria.
L’accertamento di un maggiore reddito derivante dalla cessione di beni immobili non può ad esempio essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene, quale risultante dalle quotazioni OMI, che rappresenta una presunzione semplice.
Ma l’accertamento sarà fondato se (come era appunto anche nel caso in esame) poggia su una serie articolata di elementi di riscontro probatorio.
Non contestabile, poi, che il ricorso all’accertamento analitico-induttivo, ex art.39, primo comma, lett. d), del Dpr. 29 settembre 1973, n. 600, è legittimo anche in presenza di una contabilità formalmente corretta, ma complessivamente inattendibile, potendosi evincere l’esistenza di maggiori ricavi, o minori costi, in base a presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, anche dall’antieconomicità di un’operazione in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza.
L’analisi della economicità o meno della gestione di impresa può essere, in sostanza, utilizzata dall’Amministrazione Finanziaria per riscontrare la congruenza del reddito dichiarato.
È noto, del resto, che l’antieconomicità della gestione dell’azienda viene spesso individuata come un sintomo di sottofatturazione.
Pertanto, in presenza di un comportamento che sfugga a parametri di “buon senso” imprenditoriale , è legittimo il sospetto che l’incongruenza sia soltanto apparente e che dietro di essa si celi una diversa realtà.
La posizione dell’Ufficio, comunque, anche in questo caso, non deve rappresentare un’astratta posizione di principio, ma deve fondarsi su un riscontro effettivo, operato sulla base di gravi e precise incongruenze, verificate in sede di accertamento ed eventualmente non chiarite dal contribuente, quali, per esempio, la produzione costante di perdite consistenti in un arco temporale rappresentativo.
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