In quali casi sono deducibili per l’acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti?
In tema di imposte sui redditi, sono deducibili per l’acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, se non utilizzati per il reato, salvo che si tratti di costi che, a norma del DPR n. 917/1986 non siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità.
Così ha stabilito la Corte di cassazione con l’Ordinanza n. 29226/2024.
Deducibili i costi soggettivamente inesistenti se non utilizzati per il reato
La controversia ha preso le mosse dalla contestazione di un avviso di accertamento di maggiore reddito imponibile a fini IRPEF per l’anno di imposta 2007, derivante dall’accertamento nei confronti della società di cui era socio al 50 per cento, alla quale era stata contestata la indeducibilità dei costi, ritenendo quindi le operazioni inesistenti.
Il ricorso è stato respinto in entrambi i gradi di giudizio e la controversia è giunta in Cassazione, laddove il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 4-bis, della legge n. 537/1993, lamentando, in primo luogo, che in tema di operazioni soggettivamente inesistenti non sia preclusa la deducibilità dei costi, in assenza di sentenza penale, ove essi siano inerenti, certi, effettivi e determinati o determinabili e, in secondo luogo, che l’ufficio non aveva mai contestato o disconosciuto la conformità dei documenti depositati agli originali, originali che peraltro erano stati depositati nel giudizio relativo all’altro socio, risoltosi in suo favore, e che quindi egli si era riservato di depositare.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del contribuente e ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.
Quando sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti?
Secondo costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, in tema di imposte sui redditi, a norma dell’art. 14, comma 4-bis, della citata legge, nella formulazione introdotta con l’art. 8, comma 1, del DL n. 16/2012, sono deducibili per l’acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, se non utilizzati per il reato, salvo che si tratti di costi che, a norma del DPR n. 917/1986, non siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (cfr. Cass. n. 11020/2022; Cass. n. 24426/2013; Cass. n. 10167/2012).
Nel giudizio di cui si parla la Corte ha affrontato anche la questione della produzione in giudizio di una copia fotografica di scrittura.
Sul tema il collegio ha affermato che il disconoscimento di conformità previsto rispettivamente dagli artt. 2719 e 2712 del codice civile deve aver luogo nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione, valendo il medesimo onere di tempestività previsto dall’art. 157, comma 2, del codice di procedura civile con riferimento al rilievo del difetto di un requisito di forma-contenuto dell’atto processuale stabilito nell’interesse della parte.
In secondo luogo, il disconoscimento delle copie fotostatiche di scritture prodotte in giudizio, ai sensi dell’art. 2719 cod. civ., impone che, pur senza vincoli di forma, la contestazione della conformità delle stesse all’originale venga compiuta, a pena di inefficacia, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all’originale, non essendo invece sufficienti né il ricorso a clausole di stile né generiche asserzioni.
A tali principi non si è attenuta la CTR nel ritenere, senza indagare se vi fosse espresso e specifico disconoscimento, genericamente informali i documenti prodotti e irrituale la riserva di depositare gli originali (peraltro posti a base del ricorso dell’altro socio, accolto da altra sezione della CTR).
Da qui l’accoglimento del ricorso, con cassazione della sentenza e rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado.
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