Assegno unico: Italia deferita alla Corte di Giustizia UE, che succederà al sussidio?

Francesco Rodorigo - Leggi e prassi

La Commissione UE ha deciso di deferire l'Italia alla Corte di Giustizia Europea per il mancato rispetto del diritto comunitario da parte della normativa che disciplina l'assegno unico per i figli a carico. Verso lo stop della misura?

Assegno unico: Italia deferita alla Corte di Giustizia UE, che succederà al sussidio?

Il futuro dell’assegno unico potrebbe essere a rischio.

La Commissione UE ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di Giustizia Europea perché non ha tenuto sufficientemente conto dei rilievi evidenziati nella procedura di infrazione avviata a febbraio 2023.

La Commissione contesta una discriminazione causata dal requisito per ottenere l’assegno, legato alla residenza in Italia per almeno 2 anni nello stesso nucleo familiare insieme ai figli, il quale va contro le norme UE in materia di coordinamento della sicurezza sociale e di libera circolazione dei lavoratori.

Quali possono essere le conseguenze del differimento del caso alla Corte di Giustizia Europea?

Assegno unico: Italia deferita alla Corte di Giustizia UE, che succederà al sussidio?

Arriva un nuovo capitolo per la vicenda che riguarda la procedura di infrazione che la Commissione Europea ha avviato contro l’Italia per quanto riguarda l’assegno unico.

Come si legge nel comunicato stampa pubblicato il 25 luglio 2024, la Commissione Europea ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di Giustizia UE per il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori mobili di altri Stati membri dell’Unione in relazione alle prestazioni familiari loro concesse.

Il procedimento di infrazione è partito a febbraio 2023, quando la Commissione ha inviato una lettera di costituzione in mora e successivamente, a novembre, un parere motivato relativo appunto al mancato rispetto delle norme UE in materia di coordinamento della sicurezza sociale (regolamento (CE) 2004/883) e di libera circolazione dei lavoratori (regolamento (UE) n. 492/2011 e articolo 45 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea).

In particolare, uno dei requisiti per poter beneficiare dell’assegno unico per i figli a carico prevede che i lavoratori che non risiedono in Italia per almeno 2 anni o i cui figli non risiedono in Italia non possono beneficiare della prestazione.

Una previsione che secondo la Commissione non è compatibile con il diritto dell’Unione in quanto costituisce una discriminazione nei confronti dei lavoratori mobili degli altri Stati membri.

“In base al principio della parità di trattamento, i lavoratori mobili dell’UE che lavorano in Italia ma non sono residenti in Italia, quelli che si sono trasferiti solo di recente in Italia o quelli i cui figli risiedono in un altro Stato membro dovrebbero beneficiare delle stesse prestazioni familiari concesse agli altri lavoratori in Italia. Inoltre il principio dell’esportabilità delle prestazioni previsto nel regolamento relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale vieta qualsiasi requisito di residenza ai fini della percezione di prestazioni di sicurezza sociale quali le prestazioni familiari.”

Proprio sulla base di queste motivazioni, la Commissione ha chiesto all’Italia di adeguarsi al diritto comunitario.

Possibile uno stop dell’assegno unico?

Con la procedura di infrazione, dunque, la Commissione ha chiesto all’Italia di adeguarsi al diritto comunitario.

La risposta dell’Italia, però, come si legge nel comunicato del 25 luglio, non ha tenuto sufficientemente conto dei rilievi presentati, e pertanto la Commissione ha deciso di deferire il caso alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

Cosa succederà ora?

La Corte può emettere una sentenza che obblighi l’Italia a conformarsi. Cosa non semplice dal punto di vista delle risorse economiche a disposizione, dato che una simile apertura difficilmente sarebbe sostenibile per il sistema attuale.

In mancanza dell’adeguamento alla decisione della Corte, allo Stato interessato, in questo caso l’Italia, viene imposto il pagamento di sanzioni pecuniarie.

Tali sanzioni, si legge sul sito della Commissione, sono calcolate tenendo conto:

  • dell’importanza delle norme violate e l’impatto della violazione sugli interessi generali e particolari;
  • del periodo in cui il diritto dell’UE non è stato applicato;
  • della capacità di pagamento del paese, garantendo che le ammende abbiano un effetto deterrente.

La Commissione propone un importo sulla base di questi fattori, ma è il tribunale a decidere in merito all’importo finale che deve essere pagato dal Paese.

Al contrario, nel caso in cui la Corte di Giustizia dovesse decidere che l’Italia non ha commesso alcuna violazione, non ci sarà alcun provvedimento. Non resta che attendere la pronuncia del tribunale.

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